Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 luglio 2020, n. 15633
Congedo parentale frazionato, Giorni di fruizione, Sabati,
domeniche e giorni festivi, posti tra un periodo di congedo parentale ed un
altro, Almeno un giorno di ripresa dell’attività lavorativa
Rileva che
con ricorso in data 19 marzo 2013 i signori E.G. e
C.M.
convenivano in giudizio T. S.p.a., premesso di
essere coniugati ed entrambi dipendenti della società assumevano di avere
fruito entrambi del congedo parentale previsto dall’articolo 32 del decreto legislativo
numero 151 del 2001 per l’assistenza e la cura dei loro due figli, sicché
in relazione al godimento del congedo parentale cosiddetto frazionato,
lamentavano che parte datoriale aveva considerato come giorni di fruizione del
suddetto congedo, e non invece come riposo o festività, i sabati e le domeniche
e i giorni festivi e seguivano un periodo di congedo parentale (ove
successivamente fosse ripresa l’attività lavorativa), ovvero i sabati, le
domeniche e i giorni festivi posti tra due periodi di congedo parentale, quando
il primo periodo era seguito da un giorno di ripresa dell’attività lavorativa.
Pertanto, avevano chiesto di accertare il diritto da essi vantato al ricalcolo
delle giornate di congedo parentale fruite in maniera frazionata. Il giudice
adito con sentenza del 9 maggio 2014, accoglieva in parte le domande avanzate
dall’attrice G. volte ad accertare come non computabili quale congedo parentale
le giornate non lavorative / domenicali e festive poste tra un periodo di
congedo parentale ed un altro, allorché tali giornate fossero precedute almeno
da un giorno di ripresa dell’attività lavorativa, rigettando quindi le altre
domande e per intero quanto richiesto dal M.; l’anzidetta pronuncia veniva
impugnata da T. come da ricorso depositato il 9 luglio 2014, chiedendone la
parziale riforma con riferimento alle pretese della G. accolte in primo grado;
il gravame era, quindi, respinto dalla Corte
d’Appello di Torino con sentenza n. 139 in data 10 febbraio – 25 marzo 2015,
avverso la quale T. S.p.A. proponeva ricorso per cassazione come da atto del 7
agosto 2015, notificato a mezzo del servizio postale (avviso di ricevimento
pervenuto alla destinataria in data 12-19 agosto dello stesso anno), affidato
un solo motivo, nei confronti della sola G.E., tuttavia rimasta intimata.
Successivamente, la società ricorrente ha depositato memoria illustrativa
dell’adunanza del collegio in camera di consiglio fissata al 16 ottobre 2019.
Considerato che
a sostegno del ricorso T., ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., ha denunciato
violazione falsa applicazione dell’articolo
32 della anzidetto decreto legislativo numero 151 del 2001, nonché degli articoli 1175 e 1375
c. c. e di ogni altra norma il principio in materia di congedi parentali,
anche frazionati, nonché di correttezza e buona fede nell’adempimento del
contratto, oltre che di esercizio abusivo del diritto, anche in relazione al
principio costituzionale di solidarietà, sostenendosi inoltre l’omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le
parti. La Corte d’Appello, secondo la ricorrente, aveva sviluppato un’analisi
della ratio legis, che aveva individuato nello scopo di sovvenire alle esigenze
dei genitori, a sua volta presupposto per la compressione del diritto
dell’imprenditore, soggetto anche all’uso del cosiddetto congedo parentale
frazionato. Tuttavia, evidentemente nel caso di specie T. non aveva contestato
che in astratto la regula juris dovesse interpretarsi nei sensi prospettati
dalla Corte territoriale, avendo piuttosto sostenuto che il modo in cui
concretamente la G. aveva esercitato il suo diritto al congedo costituiva
violazione dei principi di rango costituzionale (dall’esercizio dell’attività
imprenditoriale alle regole solidaristiche), che invece dovevano ispirare
l’azione di ciascuno, e non da ultimo anche del lavoratore nel contesto del
rapporto di subordinazione. D’altra parte, che la G. avesse adottato un
frazionamento abusivo del congedo in parola era confermato dalla regolarità con
la quale il aveva ripetuto il suo comportamento: assentandosi di volta in volta
per più giorni successivi a quelli festivi, per poi presentarsi al lavoro un
solo giorno ed evitare che giorni festivi fossero computabili come congedo. In
tal modo la predetta aveva reso, per oltre un mese, una prestazione sostanzialmente
“inutilizzabile per la società datrice di lavoro ed aveva accumulato nel
solo arco temporale compreso tra sabato 8 ottobre 2011 e giovedì 1 novembre
2011 ben 14 giorni di congedo in più rispetto al dovuto, donde la violazione
del principio di solidarietà, trattandosi di comportamento posto in essere
consapevolmente e scientemente allo scopo di incrementare il proprio vantaggio,
rendendo quindi alla parte datoriale una prestazione che a causa della sua
discontinuità risultava sostanzialmente inutilizzabile. Pertanto, risultava
erronea l’impugnata sentenza, che aveva confuso il tema dell’abuso con quello
della interpretazione della norma sino a non rendersi conto, paradossalmente,
che proprio le conclusioni ivi raggiunte circa la ratio legis e la sua portata
precettivo costituivano la migliore dimostrazione della illegittimità
dell’anzidetto comportamento. Infine, la ricorrente ha fatto cenno a due
precedenti di questa Corte, non meglio indicati, laddove era stato ricondotto
all’abuso del diritto il caso di dipendenti i quali durante il tempo relativo
al congedo parentale si erano dedicati ad altre attività. Invero, l’avere
questa Corte individuato in tali casi esempi di abuso del diritto con riguardo
all’astensione parentale non era certo un motivo per affermare che
“pertanto”, nell’ambito del congedo parentale si potesse avere abuso
del diritto soltanto quando l’astensione fosse utilizzata per scopi diversi
rispetto all’assistenza e alla cura dei figli minori. In tal modo, infatti, si
trascurava di considerare che il giudizio circa la “abusività” non
tollerava schematizzazioni, dovendo essere formulato caso per caso, tenuto
conto delle specifiche modalità di adempimento dell’obbligazione contrattuale;
tanto premesso, il ricorso va disatteso in forza delle seguenti ragioni,
dovendosi in primo luogo rilevare come ad ogni modo non risulti individuato da
parte ricorrente alcun preciso fatto storico e decisivo, del quale la Corte di
merito abbia omesso l’esame ex art. 360 co. I n. 5
c.p.c., non rilevando evidentemente a tal riguardo le questioni giuridiche
in proposito dedotte da parte ricorrente (peraltro, nella specie ogni quaestio
facti di eventuale rilievo ex cit. art. 360 n.
5 appare anche preclusa ai sensi e per gli effetti dell’art. 348-ter c.p.c., co. V e IV, normativa questa
qui pure ratione temporis operante, visto che la sentenza di primo grado fu
appellata con ricorso del 9.7.2014 e quindi confermata con il rigetto
dell’interposto gravame, laddove d’altro canto la società ricorrente non ha
dedotto diversità di valutazioni in punto di fatto da parte dei giudici di
primo e di secondo grado, almeno per quanto concerne la parte della decisione
risultata favorevole alla G.);
sono altresì infondate le altre argomentazioni
addotte ex art. 360 n. 3 c.p.c., risultando
immune da errori di diritto il ragionamento decisorio seguito dalla Corte
territoriale.
Invero, in sede di merito è stato, comunque,
accertato che il diritto al congedo parentale con modalità frazionata venne
esercitato dai suddetti coniugi per le finalità proprie e cioè per la cura e
l’assistenza dei figli nei primi anni di vita. E la Corte d’Appello, nel
disattendere la prospettazione difensiva della società appellante, ha osservato
che il primo giudicante, adottando un corretto metodo logico-valutativo, aveva
ricavato principi di ordine generale dai casi concreti posti all’attenzione
della giurisprudenza di legittimità, dai quali emergeva l’integrazione
dell’abuso del diritto allorché il titolare del diritto, potestativo, lo
eserciti per finalità diverse o sviate rispetto a quelle per le quali la
posizione soggettiva di vantaggio è prevista (Cass.
nn. 16207 del 2008 e n. 4984 del 2014).
D’altro canto, la scelta di campo tra gli interessi in gioco era stata fatta
dal legislatore, che aveva ritenuto di attribuire al lavoratore un diritto di
carattere potestativo, facendo così prevalere l’interesse de/lavoratore ad
assentarsi per l’assistenza e la cura dei figli. Di conseguenza, risultava
evidente che l’esercizio del congedo parentale, pacificamente fruibile in
qualsiasi momento, anche in forma frazionata e subordinato unicamente al breve
preavviso di cui all’art. 33, comma 2, comportava necessariamente un’incidenza
negativa sull’organizzazione aziendale, però fisiologicamente connessa alla
costruzione dell’istituto da parte del legislatore.
Pertanto, era stato correttamente applicato nella
specie il principio di diritto affermato da Cass.
lav. n. 6856 del 2/2 – 7/5/2012, secondo cui in terna di congedo parentale
frazionato, l’art. 32, comma 1, del
d.lgs. n. 151 del 2001 stabilisce che la fruizione del beneficio – che
risponde ad un diritto potestativo del lavoratore o della lavoratrice – si
interrompe allorché l’interessato rientri al lavoro, e ricomincia a decorrere
dal momento in cui il medesimo riprende il periodo di astensione. Ne consegue
che, ai fini della determinazione del periodo di congedo parentale, si tiene
conto dei giorni festivi solo nel caso in cui gli stessi rientrino interamente
e senza soluzione di continuità nel periodo di fruizione e non anche nel caso
in cui l’interessato rientri al lavoro nel giorno precedente a quello festivo e
riprenda a godere del periodo di astensione da quello immediatamente
successivo, senza che rilevi che, per effetto della libera decisione del
lavoratore o della lavoratrice, possa esservi un trattamento differente (e
peggiorativo), con fruizione effettiva di un minor numero di giorni di congedo
parentale, per effetto della decisione di rientrare al lavoro in un giorno non
seguito da una festività, dovendosi ritenere tale soluzione conforme ai
principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost., che, nel dettare norme a tutela della
famiglia e nel fissare il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed
educare la prole, impongono una applicazione non restrittiva dell’istituto.
Quindi, non erano state completamente disattese le ragioni della società
appellante, ritenendo che quando i sabati e le domeniche o i giorni festivi si
collocassero tra un periodo di congedo parentale ed uno successivo di ripresa
dell’attività lavorativa, ovvero tra un periodo e l’altro di congedo parentale,
vi fosse presunzione di continuità di quest’ultimo, di modo che anche detti
giorni festivi o non lavorati dovessero rientrare nel computo delle giornate
fruite a titolo di congedo parentale. Viceversa, correttamente si era ritenuto
che non potessero computarsi a titolo di congedo parentale i giorni festivi e/o
non lavorativi quando gli stessi fossero preceduti da un periodo di congedo
parentale e anche da un solo giorno di ripresa dell’attività lavorativa, non
valendo in tal caso la presunzione di continuità, con conseguente
riaffermazione del principio secondo cui il diritto potestativo di astenersi da
una prestazione lavorativa che sarebbe altrimenti dovuta non può riferirsi a
giornate in cui tale prestazione non è comunque dovuta. In altri termini,
secondo la Corte torinese, la ripresa effettiva dell’attività lavorativa, anche
di una sola giornata, “spezza” la continuità del congedo parentale,
con la conseguente esclusione dell’attribuzione di tale titolo alle successive
giornate. Peraltro, la Corte d’Appello osservava che l’anzidetta
interpretazione, supportata dalla citata giurisprudenza di legittimità, offriva
anche una soluzione rispondente a criteri di logica e di certezza, in quanto,
mentre seguendo la tesi propugnata dalla società appellante, non si comprendeva
quale potesse essere la situazione idonea a “spezzare” la continuità del
congedo parentale, mentre ove per ipotesi non sufficiente la ripresa
dell’attività lavorativa per una sola
giornata, era evidente che stabilire un diverso parametro significava affidarsi
a valutazioni di assoluto arbitrio. Peraltro, nella specie il congedo parentale
risultava fruito dalla sig.ra G. per periodi complessivi -riferiti ai due
figli- di molto inferiori ai limiti massimi previsti dalla normativa;
il surriferito percorso argomentativo, del resto
ampiamente motivato, appare del tutto corretto, siccome non solo conforme al
principio affermato da Cass. n. 6856/12 cit.
ma anche alla restante giurisprudenza di legittimità in materia (v. Cass. lav. n. 16207 del 16/06/2008 con
riferimento al congedo parentale ex art.
32, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 151 del 2001 quale diritto potestativo
diretto al soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e del suo
inserimento nella famiglia, suscettibile di abuso per sviamento dalla funzione
dello stesso diritto ma per utilizzazione del congedo in relazione a finalità
diverse, nella specie ivi esaminata riguardo ad attività lavorativa in
esercizio commerciale di proprietà del coniuge, donde pure la configurabilità
di licenziamento per giusta causa, non rilevando che lo svolgimento di tale
attività contribuisca ad una migliore
organizzazione della famiglia. Cfr. altresì Cass.
lav. n. 509 – 11/01/2018: in tema di congedo parentale di cui all’art. 32, comma 1, lett. b), del d.lgs.
n. 151 del 2001, la verifica in concreto, sulla base dell’accertamento in
fatto della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio, della fruizione
del medesimo con modalità abusive, in quanto difformi da quelle richieste dalla
natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito, appartiene alla
competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito, al quale spetta anche
formulare il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione
all’illecito commesso e valutare l’idoneità di esso a ledere irrimediabilmente
il rapporto fiduciario, anche in forza del disvalore sociale comunemente
percepito. Pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene utilizzato
dal padre per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso
per sviamento dalla funzione del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice
ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo
rilievo che lo svolgimento di tale attività contribuisca ad una migliore
organizzazione della famiglia.
Ed in motivazione Cass.
n. 509 del 14/09/2017 – 11/01/2018 confermava la natura di diritto
potestativo del congedo parentale, all’uopo richiamando espressamente pure
quanto ribadito da questa Corte con le pronunce n. 17984 del 2010 e n. 6586 del 2012, osservando altresì:
<<… con riferimento all’analogo caso esaminato da Cass. n. 16207 del 2008, rileva la condotta
contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei
confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto di
congedo si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del
dipendente e sopporta comunque una
lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui
riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo
sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza
erogatore del trattamento economico. In base al descritto criterio della
funzione può verificarsi un abuso del diritto potestativo di congedo parentale,
allorché il diritto venga esercitato non per la cura diretta del bambino, bensì
per attendere ad altra attività di lavoro, ancorché incidente positivamente
sulla organizzazione economica e sociale della famiglia; ma analogo
ragionamento può essere sviluppato anche nel caso sottoposto all’attenzione del
Collegio in cui il genitore trascuri la cura del figlio per dedicarsi a
qualunque altra attività che non sia in diretta relazione con detta cura,
perché ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare
al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto
dedicare al minore. Anche per tale congedo, infatti, si configura una ratio del
tutto analoga a quella delineata dalla Corte costituzionale nelle pronunce che
hanno storicamente influenzato le scelte del legislatore nella emanazione della
legge delega del 2000 e del successivo testo unico del 2001: in particolare,
con le sentenze n. 104 del 2003, n. 371 del 2003 e n.
385 del 2005 … Tanto conduce la Corte nel precedente più volte citato ad
affermare il seguente principio di diritto: “Il d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, att. 32,
comma 1, lett. b), nel prevedere – in attuazione della legge-delega 8 marzo 2000, n. 53 – che il
lavoratore possa astenersi dal lavoro nei primi otto anni di vita del figlio,
percependo dall’ente previdenziale un’indennità commisurata ad una parte della
retribuzione, configura un diritto potestativo che il padre-lavoratore può
esercitare nei confronti del datore di lavoro, nonché dell’ente tenuto
all’erogazione dell’indennità, onde garantire con la propria presenza il
soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un
pieno inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti che il periodo di
congedo viene invece utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività
lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla funzione propria del
diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una
giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale
attività (nella specie, presso una pizzeria di proprietà della moglie)
contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia”. 2.3. Analoghi
percorsi argomentativi sono stati tracciati da questa Corte nel contiguo -anche
se non sovrapponibile- campo della possibilità che costituisca giusta causa di
licenziamento l’utilizzo da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex lege n. 104 del 1992 per attività diverse
dall’assistenza al familiare disabile, violando la finalità per la quale il
beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 del 2016). In coerenza con la ratio
del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in
relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è
riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Tanto meno la norma consente di
utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione
cui la norma è preordinata: il beneficio comporta un sacrificio organizzativo
per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze
riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di
superiore tutela. Ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al
disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con
la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un
abuso…>>. V. ancor più di recente Cass.
lav. n. 19580 del 19/07/2019, secondo cui in tema di congedo straordinario
ex art. 42, comma 5, del d.lgs. n.
151 del 2001, ove venga a mancare del tutto il nesso causale tra assenza
dal lavoro ed assistenza al disabile, si è in presenza di un uso improprio o di
un abuso del diritto ovvero di una grave violazione dei doveri di correttezza e
buona fede sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo);
pertanto, il ricorso va rigettato, tuttavia senza
alcun provvedimento in ordine alle spese, nonostante la soccombenza della
società ricorrente, in quanto la sig.ra G. è rimasta intimata senza svolgere
alcuna attività difensiva in proprio favore; atteso, infine, l’esito
interamente negativo dell’impugnazione qui proposta, sussistono tuttavia i
presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso articolo 13.