Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 luglio 2020, n. 15608
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato,
Licenziamento comminato verbalmente, Domanda di ripristino del rapporto per
nullità, Differenze retributive, Potere di eterodirezione sulla prestazione
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale stessa sede, ha accertato la sussistenza di un
rapporto di lavoro subordinato fra G.F. ed E.Z., titolare dell’omonima
officina, intercorso dal giugno 1997 al gennaio 2012 ed ha rigettato la domanda
di ripristino del rapporto per nullità del licenziamento comminato verbalmente
perché non sufficientemente provata;
ha condannato quindi E.Z. a corrispondere a G.F. le
differenze retributive, con detrazione di quanto richiesto a titolo di
festività, ferie e permessi avendo accertato che non ipe era stato
specificamente provato il godimento;
la cassazione della sentenza è domandata da E.Z.
sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;
G.F. ha resistito con tempestivo controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3 e n.5 cod. proc. civ., parte
ricorrente contesta “Violazione e falsa applicazione delle norme di
diritto in relazione alle norme relative alla qualificazione del lavoro
autonomo (art. 2222 c.c.) e del lavoro
subordinato (art. 2094 c.c.) – Omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio”;
ritiene erronea la statuizione della Corte
territoriale circa l’accertata sussistenza degli indici della subordinazione
nel rapporto di lavoro;
contesta, in particolare, che vi siano state la
stabile messa a disposizione delle energie lavorative e la soggezione al potere
organizzativo del titolare dell’impresa, anche considerata la natura elementare
e ripetitiva nelle modalità di esecuzione delle mansioni di gommista affidate
al lavoratore;
lamenta l’omesso esame del fatto decisivo
consistente nella inesistenza di elementi certi e inequivocabili dai quali
poter ricavare che E.Z. esercitasse un potere di eterodirezione sulla
prestazione dell’odierno controricorrente;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3 e n.5 cod. proc. civ.,
lamenta “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto in
relazione alle norme relative alla qualificazione del lavoro subordinato (art. 2094 c.c.) in relazione al CCNL Metalmeccanica Artigianato”;
contesta l’errata applicazione dell’art. 2103 cod. civ., anche per l’omessa
comparazione, da parte del giudice dell’appello, fra le mansioni svolte dal F.
e le declaratorie contrattuali;
in particolare, la Corte territoriale avrebbe omesso
di conferire il giusto rilievo alla circostanza secondo cui dagli atti di causa
non era emerso nessun elemento logico – giuridico utile ad inquadrare il
rapporto di lavoro nel V livello “gommista” del CCNL Metalmeccanica – Artigianato;
lamenta, altresì, l’omessa motivazione in merito al
rigetto dell’eccezione sollevata dall’odierno ricorrente avente ad oggetto la
misura della condanna alle differenze retributive, in quanto la Corte d’appello
avrebbe ignorato quanto già percepito dal lavoratore;
il primo motivo è infondato, non essendo idoneo a
contrastare la ratio decidendi della sentenza impugnata;
la Corte territoriale ha svolto un attento esame
delle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro controverso, riscontrando
la sussistenza degli indici sintomatici della subordinazione, alla luce delle
testimonianze rese nel giudizio di merito;
in particolare, dando conto della difficoltà
d’individuazione del fondamentale indice dell’assoggettamento al potere
direttivo del datore per le mansioni elementari, ripetitive e predeterminate
nell’esecuzione, ha fatto ricorso a criteri distintivi supplementari (p. 3
sent.) dai quali ha ricavato la conferma dell’esistenza del vincolo di
subordinazione;
sotto il profilo dell’omessa pronuncia, lo stesso
motivo è inammissibile, ponendosi fuori dai parametri dell’art. 360, co. 1, n.5 cod. proc. civ.;
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012,
non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà
e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto
il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola
verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle
ipotesi – che si convertono in violazione dell’art.
132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di
“mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento
giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta
ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia. (Così, ex plurimis, Cass. n.23940 del
2017);
nel caso in esame il ricorrente non ha indicato il
fatto storico decisivo di cui la sentenza avrebbe omesso l’esame, limitandosi a
lamentare che la motivazione non avrebbe chiarito su quali fatti la Corte
territoriale ha basato la propria valutazione riguardo all’assoggettamento del
lavoratore al potere direttivo, valorizzando unicamente quanto emerso dalle
prove testimoniali escusse in corso di causa (p. 2 della memoria difensiva);
va in proposito ribadito che le Sezioni Unite di
questa Corte hanno precisato che «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il
ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie» ( Sez. Un. n.
8053/2014);
la formulazione della doglianza da parte del
ricorrente finisce per denunciare non già l’omesso esame di un fatto storico
decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si
assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale; il secondo motivo è
inammissibile; parte ricorrente non ha allegato né prodotto il CCNL;
la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene
che qualora venga dedotta nel giudizio di legittimità la violazione di norme di
un contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti del settore
privato, il contratto si ritiene conoscibile solo con la collaborazione delle
parti, le quali sono tenute ad adempiere all’onere di allegazione e produzione,
in base alle regole processuali sulla distribuzione dell’onere della prova e
sul contraddittorio, le quali non vengono meno neppure nell’ipotesi di
acquisizione giudiziale ex art. 425, comma 4, cod.
proc. civ. (da ultimo cfr. Cass. n. 6394 del 2019);
In definitiva, il ricorso va rigettato;
le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza;
in considerazione dell’esito del giudizio,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del
giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200
per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali
nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.