Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16138
Sgravio contributivo, Fruizione, Requisiti, Cartella
esattoriale, Opposizione
Rilevato che
1. la Corte d’Appelio di Catania – in parziale
riforma della sentenza del Tribunale della stessa città che, dopo avere
rigettato l’opposizione proposta da R.V. avverso la cartella esattoriale con la
quale gli veniva richiesto il pagamento in favore dell’INPS di contribuzione
relativa ai lavoratori dipendenti per gli anni dal 1995 al 1999, aveva revocato
la cartella opposta e dichiarato dovute all’Inps le somme in essa portate –
rigettava l’opposizione alla cartella tout court e condannava il R.al pagamento
delle spese processuali.
2. La Corte argomentava che il R.non aveva offerto
la prova della sussistenza delle condizioni per poter fruire dello sgravio
contributivo derivante dall’applicazione dei contratti di riallineamento
retributivo, avendo prodotto solo l’accordo di riallineamento e la
documentazione attestante il deposito dell’atto di adesione all’UPLMO e
all’INPS, ma non la documentazione necessaria (accordo di riallineamento,
contratto aziendale di recepimento, buste paga quietanzate di tutto il periodo
interessato al riallineamento ecc.) a dimostrare il suo assunto. Inoltre, aveva
chiesto in corso di causa il termine per produrre le buste paga con istanza
rigettata dal Tribunale e successivamente, all’udienza del 29 ottobre 2008,
aveva chiesto che venisse disposta una consulenza tecnica, con istanza
espressamente respinta dal Tribunale con ordinanza motivata in ragione del
fatto che essa non costituisce un mezzo di prova e presuppone la tempestiva
produzione della documentazione necessaria al suo eventuale espletamento.
3. La Corte accoglieva invece l’appello incidentale
dell’Inps, argomentando che una volta respinti tutti i motivi dell’opposizione
alla cartella, non vi era alcuna ragione per revocarla, considerato che
l’opposizione per motivi attinenti il merito della pretesa si propone nei
confronti dell’ente impositore ai sensi dell’articolo 24 del d.lgs n. 46 del
1999 e non nei confronti della società concessionaria del servizio di
riscossione.
4. Per la cassazione della sentenza R.V. ha proposto
ricorso, affidato a due motivi, cui l’INPS – anche per S.C.C.I. s.p.a. – e
Riscossione Sicilia s.p.a hanno resistito con controricorso.
Considerato che
5. Il ricorrente deduce come primo motivo la
violazione e falsa applicazione degli artt. 100 del
codice di procedura civile e 2909 del codice
civile e lamenta che il giudice del gravame abbia ritenuto ammissibile
l’impugnazione della sentenza di primo grado proposta dall’INPS, laddove la
revoca della cartella aveva arrecato pregiudizio soltanto nella sfera giuridica
dell’agente della riscossione, che a seguito della pronuncia giudiziale avrebbe
dovuto riavviare la procedura esecutiva.
6. Il motivo non è fondato.
7. In via generale occorre premettere che
l’opposizione al ruolo esattoriale per motivi attinenti al merito della pretesa
contributiva ai sensi del d.lgs.
26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, va proposta entro il termine di quaranta
giorni dalla notifica della cartella di pagamento nei confronti dell’ente
impositore, come prevede il comma V nel testo modificato dall’art. 4, D.L. 24 settembre 2002, n.
209, integrato dalla relativa legge di conversione.
8. Questa Corte ha ribadito in più occasioni (cfr.
Cass. n. 5763 del 2002; n. 13982 del 2007; n. 26359 del 2013; n. 12333 del
2015; nn. 11515 e 18262 del 2017; n. 8543 del 2018) che l’opposizione a
cartella esattoriale dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione sui
diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio, con la
conseguenza che la ritenuta illegittimità del procedimento di iscrizione a
ruolo non esime il giudice dall’accertamento nel merito della fondatezza
dell’obbligo di pagamento dei premi e/o contributi.
9. L’opposizione per vizi di forma della cartella
invece va proposta nella forma e nei termini dell’opposizione agli atti
esecutivi (Cass. nn. 15116 e 21080 del 2015; Cass.
n. 6704 del 2016) nei confronti del concessionario della riscossione, che è
il soggetto cui è affidato l’esercizio dell’azione esecutiva (art. 10 d.P.R. n. 602 del 1973).
10. La distinzione tra le due azioni non esclude che
le stesse possano essere proposte contestualmente ed in tal caso, trattandosi
di un unico atto che introduce due diverse azioni, quella relativa al merito
andrà notificata all’ente creditore (art. 24, comma 5, d.lgs. n. 46 del
1999) e quella relativa alla regolarità formale della cartella al
concessionario della riscossione, che è il soggetto cui è affidato l’esercizio
dell’azione esecutiva (art. 10
d.P.R. n. 602 del 1973). Non si realizza comunque un’ipotesi di
litisconsorzio necessario tra ente creditore e concessionario per la
riscossione, ma la presenza di entrambi è mera conseguenza della duplicità di
azioni (v. Cass. n. 16425 del 19/06/2019).
11. La distinzione tra titolarità del credito e
titolarità della procedura di riscossione coattiva non comporta tuttavia che
con l’affidare la riscossione al concessionario l’ente impositore si spogli del
proprio credito, né che la sua posizione resti insensibile alle vicende della
riscossione. Poiché la cartella di pagamento costituisce titolo esecutivo, è
infatti evidente che il titolare della pretesa ha interesse alla formazione del
titolo per un più celere realizzazione del credito.
12. Ciò comporta che nel giudizio ex art. 24 comma V del d.lgs. 26
febbraio 1999, n. 46 l’ente impositore ha interesse ad impugnare la
sentenza che abbia revocato o annullato la cartella di pagamento, e ciò anche
se sia stata contestualmente emessa una pronuncia dichiarativa del credito,
venendo in tal modo privato del titolo esecutivo che ne consente la
realizzazione coattiva.
13. Nel caso, la Corte territoriale ha dunque
correttamente rilevato che, poiché il Tribunale di primo grado aveva respinto
tutti i motivi della proposta opposizione, non vi era ragione perché revocasse
la cartella di pagamento, e che l’Inps aveva interesse ad impugnare la
pronuncia, pur a fronte di una sentenza dichiarativa del medesimo credito
portato nella cartella.
14. Come secondo motivo il ricorrente deduce la
violazione degli articoli 2697 del codice civile
e 61, 191, 421 e 437 del codice
di procedura civile nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio e lamenta che la Corte d’Appello abbia ritenuto non provata
l’applicazione nel tempo del contratto di riallineamento retributivo che era
stato sottoscritto, mentre erano stati forniti al giudicante principi di prova
alla luce dei quali questi avrebbe dovuto ammettere la CTU contabile richiesta
od in ogni caso ammetterla d’ ufficio. Sarebbe stato inoltre onere
dell’Istituto previdenziale provare che la ditta in base alle dichiarazioni di
manodopera presentate ai dipendenti dichiarati e ai contributi versati non
avesse applicato nel tempo il contratto di riallineamento ed i minimi salariali
in esso previsti.
15. Il motivo non è fondato.
16. La Corte territoriale non ha violato le regole
sulla distribuzione dell’onere della prova, ma ha applicato il principio, più
volte ribadito in tema di sgravi contributivi, secondo il quale chi intende
giovarsi di sgravi o di altri benefici contributivi, ha l’onere di fornire la
prova dei presupposti per usufruirne (Cfr. Cass.
22 luglio 2014, n. 16639; Cass., 29 luglio 2014, n. 17179; Cass. n. 5719 del 10/03/2011; Cass., 11 novembre 2009, n. 23875).
17. Con specifico riferimento ai contratti di
riallineamento retributivo, questa Corte ha poi chiarito che «il diritto a
godere del beneficio della sospensione della condizione di corresponsione
dell’ammontare retributivo di cui all’art. 6, comma 9, lett. a) e c),
del d.l. n. 338 del 1989, convertito nella legge
n. 389 del 1989, ovvero ad usufruire della successiva sanatoria di cui all’art. 5, comma 2, del d.l. n. 510
del 1996, convertito nella legge n. 608 del 1996, è subordinato alla
compiuta realizzazione delle condizioni per l’attuazione della deroga all’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338
del 1989, previste dall’art.
6, comma 11, del medesimo d.l., e poi confermata dall’art. 5, comma 3, del
d.l. n. 510 del 1996. Ne consegue che il beneficiario, su cui incombono gli
oneri di allegazione e prova, è tenuto a dimostrare di avere: 1) recepito
l’accordo provinciale di riallineamento retributivo concluso tra le associazioni
imprenditoriali e le organizzazioni sindacali locali dei lavoratori aderenti o
collegate a quelle nazionali di categoria firmatarie del contratto collettivo;
2) rispettato le forme e i tempi stabiliti dalle indicate disposizioni,
programmando il graduale riallineamento dei trattamenti economici dei
lavoratori previsti nei corrispondenti contratti collettivi; 3) stipulato,
entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge
n. 448 del 1998, gli accordi territoriali ed aziendali di recepimento,
provvedendone al deposito nei trenta giorni successivi presso i competenti
Uffici provinciali del lavoro e della mobilità ordinaria e le sedi provinciali
INPS; 4) raggiunto e mantenuto il detto riallineamento».
18. Tale prova ad avviso del giudice di merito non è
stata fornita dall’opponente, che non aveva provveduto ad allegare e produrre
tempestivamente la documentazione necessaria – costituita dall’accordo di
riallineamento, dal contratto aziendale di recepimento, dalle buste paga quietanzate
relative al periodo in questione – per dimostrare la puntuale osservanza del
programma di riallineamento per tutta la durata dello stesso.
19. A tale proposito, il ricorrente si duole della
mancata ammissione della consulenza tecnica che era stata allo scopo richiesta,
ma questa Corte è ferma nell’affermare che I’ ammissione della consulenza
tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale è
tenuto solo a fornire la decisione di un adeguato supporto motivazionale (Cass.
n. 15219 del 05/07/2007, Cass. n. 27247 del 14/11/2008).
20. Nel caso, la Corte ha rilevato la mancata
produzione della documentazione necessaria al suo eventuale espletamento, e
dunque dell’assenza anche di principi di prova o «piste probatorie» che
consentissero l’ammissione officiosa della consulenza tecnica.
21. Tale motivazione viene censurata con
argomentazioni meramente contrappositive, al di fuori del perimetro oggi
delineato dal nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c.,
introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83,
convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, che
richiede la prospettazione dell’«omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo» (v. Cass. S.U 07/04/2014, n.
8053 e 8054).
22. Essa è inoltre coerente con l’assunto (ribadito
da ultimo da Cass. n. 32265 del 10/12/2019 e Cass. n. 33393 del 17/12/2019)
secondo il quale solo nel ricorrere dei presupposti di coerenza rispetto ai
fatti allegati dalle parti e di indispensabilità al fine di percorrere una pista
probatoria palesata dagli atti, i poteri-doveri officiosi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c.
possono essere esercitati dal giudice in deroga alle norme sull’assunzione
delle prove dettate per il rito ordinario e, quindi, può disporre una
consulenza tecnica d’ufficio in materia contabile, a prescindere dal consenso
di tutte le parti alla consultazione di documenti non precedentemente prodotti
(in deroga all’art. 198 c.p.c.).
23. Segue coerente il rigetto del ricorso.
24. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono
la soccombenza.
25. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in favore di ciascuno dei controricorrenti in €
18.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso
delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.