La natura di ente pubblico non economico del datore di lavoro esclude la tutela ripristinatoria.

Nota a Cass. (ord.) 25 giugno 2020, n. 12627

Fabrizio Girolami

Nell’ipotesi di reiterazione abusiva di contratti di lavoro a termine con un’Autorità portuale, il dipendente non ha diritto alla conversione in un rapporto a tempo indeterminato, ma soltanto al risarcimento del danno, non potendo trovare applicazione le regole sanzionatorie vigenti per i rapporti a termine del settore privato, considerata la peculiare natura di “ente pubblico non economico” dell’Autorità portuale, e, dunque, di “pubblica amministrazione” della stessa ai sensi dell’art. 1, co. 2, D.LGS. n. 165/2001.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza 25 giugno 2020, n. 12627, di rilevante interesse operativo in quanto ripropone il tema della “specialità” della disciplina legislativa del contratto a termine nel settore delle pubbliche amministrazioni (art. 36, D.LGS. n. 165/2001 e s.m.i.) rispetto a quella vigente per il contratto a termine nel rapporto di lavoro privato (D.LGS. n. 368/2001, attualmente sostituita dagli artt. 19 ss., D.LGS. n. 81/2015).

Detta “specialità” preclude l’applicabilità al pubblico impiego della regola cardine – prevista per il lavoro privato – della “conversione” legale del contratto a termine illegittimo in contratto a tempo indeterminato in caso di accertamento, da parte del giudice, della nullità della relativa clausola appositiva, dovendosi assicurare il rispetto del principio fondamentale in materia di reclutamento del personale della P.A., che è quello dell’accesso mediante concorso (art. 97, co. 3, Cost.), ritenuto dall’ordinamento lo strumento di selezione in linea di principio più idoneo a garantire l’imparzialità e l’efficienza dell’amministrazione pubblica.

Nella controversia oggetto dell’ordinanza in commento, un dipendente in servizio presso l’Autorità portuale di Genova aveva agito in giudizio al fine di accertare l’illegittimità della successione di più contratti a termine, da lui stipulati – senza soluzione di continuità – con l’Autorità portuale, a partire dal 1° giugno 2005 e fino al 31 dicembre 2008. Secondo il prestatore di lavoro, il secondo a contratto a termine presentava una causale soltanto formalmente distinta dal primo, quando in realtà l’attività oggetto del secondo contratto era stata espletata anche nel periodo di svolgimento del primo rapporto. Il lavoratore aveva, per l’effetto, richiesto la conversione dei contratti in un rapporto a tempo indeterminato, con decorrenza dal primo contratto, nonché il pagamento delle differenze retributive (corrispondenti alle retribuzioni che avrebbe percepito se fosse stato assunto a tempo indeterminato fin dalla conclusione del primo contratto a termine e quelle effettivamente corrisposte).

Nel giudizio di merito, la Corte di Appello di Genova aveva riconosciuto la nullità della clausola appositiva del termine, ma aveva escluso la fondatezza della domanda di conversione, ritenendo ostativa all’accoglimento della stessa la natura di “ente pubblico non economico” del datore di lavoro, ritenendo, dunque, applicabile alla fattispecie il disposto dell’art. 36, co. 5, D.LGS. n. 165/2001, che sancisce “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte della P.A., non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato”. Al lavoratore riconosceva dunque soltanto il risarcimento del danno, liquidato, in via equitativa, in 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in ragione della durata del rapporto e della complessiva condotta del datore di lavoro.

La Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha confermato la correttezza della decisione di merito, respingendo il ricorso per cassazione proposto dal lavoratore, ritenendo adeguata ed effettiva la sanzione risarcitoria applicata dalla Corte di merito.

Il giudice di legittimità, in via preliminare, ha ribadito la natura “pubblica” – e non “privata” – delle Autorità portuali ed il conseguente assoggettamento dei rapporti di lavoro alla disciplina del D.LGS. n. 165/2001, ivi compreso l’art. 36 in materia di contratti a tempo determinato. Secondo la Corte, infatti, le Autorità portuali, istituite nel nostro ordinamento dalla L. 28 gennaio 1994, n. 84 (“Riordino della legislazione in materia portuale”), sono enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria e, come tali, costituiscono pubbliche amministrazioni come definite ai sensi dell’art. 1, co. 2, D.LGS. n. 165/2001.

In secondo luogo, secondo la Cassazione, nel settore del lavoro pubblico, il ricorso abusivo alla reiterazione dei contratti a termine non può determinare l’applicazione della conversione in contratto a tempo indeterminato e, dunque, una tutela di carattere ripristinatorio, ma soltanto una tutela alternativa, di natura risarcitoria. Nel rapporto di lavoro pubblico sussiste, infatti, un interesse generale che prevale sull’interesse particolare del singolo lavoratore, ovverosia quello dell’efficiente impiego delle finanze pubbliche e della buona amministrazione che impone la valutazione delle risorse economiche di cui dispone il datore di lavoro, e la necessaria selezione pubblica imparziale e meritocratica del personale, in coerenza con quanto disposto dall’art. 97, co. 3, Cost.

Dovendosi escludere l’applicabilità di una tutela di carattere ripristinatorio, il dipendente dell’Autorità portuale assunto con reiterati contratti a termine illegittimi ha diritto unicamente al “risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative” (c.d. tutela risarcitoria: art. 36, co. 5, secondo periodo, D.LGS. n. 165/2001), la cui concreta quantificazione è deputata alla valutazione del giudice di merito.

Il danno risarcibile, in favore del lavoratore, consiste – di norma – nella “perdita di chance” di un’occupazione alternativa migliore, il cui onere probatorio grava sul lavoratore medesimo ai sensi dell’art. 1223 c.c..

La soluzione risarcitoria (e non ripristinatoria), come rimarca l’ordinanza in commento, è conforme sia all’orientamento della prevalente giurisprudenza di legittimità dettato per analoghe fattispecie di contratti a termine stipulati con dipendenti di enti pubblici non economici (cfr. per i rapporti instaurati dalle Università con i collaboratori esperti linguistici: Cass. 21831/2014, Cass. n. 5220/2016, Cass. n. 14776/2016 e per i rapporti conclusi dalle Regioni con gli operai forestali: Cass. n. 24808/2015 e Cass. n. 3805/2019) sia a quanto affermato dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza 27 dicembre 2018, n. 248, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, D.LGS. n. 165/2001 perché “se da una parte non può che confermarsi l’impossibilità per tutto il settore pubblico di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato (…), dall’altra sussiste una misura sanzionatoria adeguata, costituita dal risarcimento del danno”.

Il divieto di conversione, con riconoscimento del solo risarcimento del danno, è pienamente compatibile con la normativa dell’Unione europea, in quanto la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha più volte rilevato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE “non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione del rapporto, purchè sia prevista altra misura adeguata ed effettiva, finalizzata ad evitare, e se del caso a sanzionare, il ricorso abusivo alla reiterazione del contratto a termine” (Corte di Giustizia UE 7 marzo 2018, C-494/16, in questo sito, con nota di F. DURVAL, Corte di Giustizia UE e contratti a termine nel pubblico impiego; CGUE 12 dicembre 2013, C-50/13; 7 settembre 2006, C-53/03; 7 settembre 2006, C-180/04, 4 luglio 2006, C-212/04).

Quanto alla quantificazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di abuso del ricorso ai contratti a termine, secondo l’ordinanza in commento la Corte territoriale ha correttamente applicato il principio di diritto a suo tempo affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 15 marzo 2016, n. 5072, secondo cui  “nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36 comma 5 d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio  nella misure e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010 n. 183 e quindi nella misura pari ad una indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto”, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8, L. n. 604/1966 in tema di tutela obbligatoria per i licenziamenti (ossia: numero dei dipendenti occupati; dimensioni dell’impresa; anzianità di servizio del lavoratore; comportamento e condizioni delle parti).

Reiterazione abusiva di contratti a termine ed esclusione della conversione a tempo indeterminato per i dipendenti della PA e delle autorità portuali
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