Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 28 luglio 2020, n. 16137

Rito del lavoro, Improcedibilità del ricorso, Appello non
notificato nel termine di 10 giorni, Nessuna conseguenza pregiudizievole per
la parte, Mera nullità, sanabile, Costituzione e rinvio a nuova udienza con
deposito di nuova memoria

 

Rilevato

 

Che la Corte d’appello di Reggio Calabria, per
quanto qui rileva, con sentenza n. 2265 del 2013, in riforma della sentenza di
primo grado, ha condannato N.A. e la N. s.r.l. in solido, al pagamento in
favore dell’INAIL della somma di euro 399.746,64 oltre alle spese del doppio
grado di giudizio;

che, a fondamento del decisum, la corte,
preliminarmente, ha escluso la improcedibilità del ricorso, dedotta dalle parti
appellate nella memoria difensiva, perché l’appello non sarebbe stato
notificato nel termine di 10 giorni previsto dal secondo comma dell’articolo 435 c.p.c., sulla scorta di orientamenti
di legittimità secondo cui la inosservanza di tale termine non produce
conseguenze pregiudizievoli per la parte ed il mancato rispetto del termine di
cui all’articolo 435 cit., terzo comma, non produce inesistenza della
notificazione ma mera nullità, sanata, nel caso di specie, dalla costituzione e
dal rinvio a nuova udienza con deposito di nuova memoria per l’udienza di
rinvio disposta dal collegio;

nel merito, la corte ha poi accolto la domanda di
regresso poiché ha ritenuto N.A. e N.G. quale legale rappresentante della N.
s.r.l. responsabili dell’infortunio mortale occorso al lavoratore C.A. il
9/9/1998;

che, avverso la decisione di secondo grado ha
proposto ricorso per cassazione A.N., quale rappresentante della N. Srl,
affidato a due motivi;

che l’INAIL ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte che
l’INAIL ha provveduto a depositare memorie illustrative.

 

Considerato

 

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si
censura:

1) ai sensi dell’art.
360 co. 1 n.3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 435, secondo e terzo comma, cod. proc. civ.
e degli articoli 24 e 111 Cost., in cui sarebbe incorsa la corte di
appello di Reggio Calabria erroneamente respingendo la eccezione di
improcedibilità dell’appello, ritualmente eccepita dalla difesa dei ricorrenti
nel giudizio di secondo grado, in contrasto con orientamenti affermati dalle
Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 20614 del 30 luglio
2008.

Nella prospettazione di parte ricorrente il termine
previsto dall’articolo 435 cit., comma secondo,
non avrebbe carattere perentorio solamente qualora venga almeno osservato il
termine previsto dal comma terzo dell’articolo stesso; l’inosservanza del
termine previsto dal comma terzo travolgerebbe anche il termine previsto dal
secondo comma;

2) Ai sensi dell’art.
360 co. 1 n.3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’articolo 16 del d.lgs. n.165
del 2001, in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello di Reggio Calabria
riconoscendo la legittimazione processuale attiva in capo al Direttore
regionale per la Calabria, dell’Istituto controricorrente, sull’erroneo
presupposto che l’articolo
16 cit., alla lettera F, attribuisca ai dirigenti di uffici dirigenziali
generali, comunque denominati, nell’ambito di quanto stabilito dall’articolo
quattro, diverse attribuzioni tra le quali quella di promuovere liti; nella
prospettazione di parte ricorrente, dal quadro normativo attuale, in mancanza
di specifiche disposizioni evincibili del regolamento prodotto e in mancanza
del regolamento sull’ordinamento amministrativo contabile non si potrebbe
ritenere che il dirigente regionale sia titolare di tale potere, che il primo
motivo è infondato;

Costituisce orientamento ormai consolidato di questa
Corte quello secondo il quale nel rito del lavoro, la violazione del termine di
dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435, secondo comma, cod. proc. civ., deve
notificare all’appellato il ricorso, tempestivamente depositato in cancelleria
nel termine previsto per l’impugnazione unitamente al decreto di fissazione
dell’udienza di discussione, non determina nullità, in quanto non produce
alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perché non incide su alcun
interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato,
sempre che sia rispettato il termine che, in forza del medesimo art. 435 c.p.c., terzo e quarto comma, deve
intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione
( v. ex plurimis da ultimo Cass. ord. n. 3959/2016,
ord., n. 23426 del 16/10/2013 e Cass. n. 8685 del
31/05/2012, che hanno richiamato l’ordinanza della Corte Costituzionale n.
60 del 2010, che ha ritenuto manifestamente infondata, per erroneo presupposto
interpretativo, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c., comma 2, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.,
in fattispecie in cui, malgrado l’inosservanza del termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2, la notifica del ricorso
e del decreto era intervenuta nel rispetto del termine di cui al successivo
comma 3).

E’ stato poi, anche, affermato che (sez. L – , Sentenza n. 9735 del 19/04/2018) nel rito del
lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma
dell’art. 435, comma 3, c.p.c., deve
intercorrere tra la data di notificazione dell’atto di appello e quella
dell’udienza di discussione, configura un vizio che produce la nullità della
notificazione, e ne impone la rinnovazione, solo in difetto di costituzione
dell’appellato; il vizio resta invece sanato da detta costituzione, ancorché
effettuata al solo scopo di far valere la nullità, salva la possibilità per
l’appellato di chiedere, all’atto della costituzione, un rinvio dell’udienza
per usufruire dell’intero periodo previsto dalla legge ai fini di un’adeguata
difesa. La Corte di appello ha correttamente applicato tali principi, avendo
evidenziato la natura ordinatoria del primo termine ed avendo sostanzialmente ritenuto,
in ragione del mancato rispetto del secondo termine, che la nullità conseguente
fosse sanata dalla costituzione della parte appellata all’udienza del 28.2.2012
e dalla fissazione di una nuova udienza (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);

che il secondo motivo è del pari infondato;

ed infatti correttamente la Corte di appello ha
ritenuto che il direttore regionale INAIL rientri tra i dirigenti di cui all’articolo 16 del decreto
legislativo 165 del 2001, ai quali è attribuito il potere di promuovere
liti dall’articolo quattro della medesima norma. In particolare, ha osservato
il collegio (pag. 3) come il direttore regionale dell’INAIL sia nominato fra i
dirigenti di livello dirigenziale generale ai sensi dell’articolo 34 del
regolamento di organizzazione dell’INAIL adottato con deliberazione del
consiglio d’amministrazione n. 232 del 1 luglio 1999, che prevede come la
direzione regionale sia affidata alla responsabilità dei dirigenti di livello
dirigenziale generale. Ha evidenziato, altresì, la Corte di appello, come
ciascuna direzione regionale, ai sensi del citato articolo 34, sia articolata
in varie strutture tra cui l’avvocatura regionale posta sotto la direzione reg.
concludendo nel senso che il potere in questione debba essere affermato
sussistente in capo al direttore regionale medesimo (parificato all’ufficio
dirigenziale generale e con la possibilità di rilasciare procura le liti a
coloro che fanno parte della avvocatura regionale dell’INAIL).

Questa corte, del resto, ha recentemente affermato,
proprio con riguardo all’INAIL in controversia in cui era proposta analoga
eccezione con riguardo a soggetto dirigente generale (cfr. Cassazione –
19/02/2019, n. 4806) che, in base al D.Lgs. n. 165
del 2001 (che, nel riordinare le norme in tema di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, già entrate in vigore con il D.Lgs. n. 29 del 1993, all’art. 16
espressamente dispone che “i dirigenti generali promuovono e resistono
alle liti che hanno il potere di conciliare e transigere”) deve ritenersi
attribuita ai dirigenti generali della pubblica amministrazione la
legittimazione processuale attiva e passiva nelle controversie riguardanti
l’amministrazione cui sono preposti, con la conseguenza che è valida la procura
a ricorrere per cassazione rilasciata dal dirigente generale dell’INAIL
nominato con delibera depositata, come è avvenuto nel caso di specie, unitamente
al ricorso stesso (v. anche Cass. n. 3445 del 2004); che alla stregua di quanto
esposto il ricorso deve, pertanto, essere rigettato;

che al rigetto segue la condanna della ricorrente,
secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente
giudizio di legittimità;

che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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