Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 luglio 2020, n. 16258
Trattamento pensionistico, Determinazione della pensione di
vecchiaia nell’importo corrispondente al dovuto, Decadenza
Fatti di causa
1. A.R., con ricorso al Tribunale del lavoro di Lecce
del 12 ottobre 2009, espose di essere titolare di pensione di vecchiaia in
convenzione internazionale dal 1° ottobre 1982 e che aveva chiesto inutilmente
all’Inps la ricostituzione di tale trattamento pensionistico ai sensi della legge n. 160 del 1975 sul presupposto che tale
trattamento, alla data del 1.1.1990, fosse superiore al trattamento minimo;
pertanto chiese la determinazione della pensione di vecchiaia nell’importo
corrispondente al dovuto, con condanna dell’INPS al pagamento delle differenze
pensionistiche maturate.
2. Il Tribunale accolse la domanda limitatamente
alle differenze sui ratei pensionistici maturati successivamente al 12 ottobre
2006, essendosi in precedenza verificata la decadenza triennale. La Corte
d’appello, dato atto che la sentenza della Corte
Costituzionale n. 69 del 2014 aveva dichiarato incostituzionale l’art. 38, comma 4, d.l. n. 98 del
2011, conv. in I. n. 111 del 2011, nella
parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1 lett. d) si
applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in
vigore del medesimo decreto, ha riformato la sentenza di primo grado ed accolto
la domanda nei limiti della prescrizione con riferimento al quinquennio
anteriore alla data della domanda amministrativa, con riconoscimento delle
differenze sui ratei dal 21 maggio 2004.
3. Avverso tale sentenza ricorre A.R. sulla base di
due motivi.
4. L’Inps non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso A.R. deduce la
violazione dell’art. 2946 c.c. e con il secondo
l’omessa applicazione dell’art. 416 c.p.c.;
nella illustrazione comune ad entrambi i motivi, il ricorrente evidenzia
l’erronea applicazione del termine di prescrizione quinquennale, posto che, per
effetto della sentenza della Corte Costituzionale
n. 69 del 2014, la disposizione contenuta nell’art. 47 bis d.P.R. n. 639/1970,
relativa alla introduzione del termine di prescrizione quinquennale in materia
di prestazioni previdenziali, era venuta meno con la conseguente necessità di
rifarsi alla precedente disciplina, contenuta nell’art.
2946 c.c.; inoltre, la Corte territoriale avrebbe errato nel rilevare la
prescrizione perché l’INPS, che avrebbe dovuto eccepirla tempestivamente, si
era costituito in primo grado il 1° febbraio 2014 in vista dell’udienza del 3
febbraio 2011 e, dunque, tardivamente.
2. I motivi, in quanto connessi, possono essere
trattati congiuntamente e sono fondati.
3. Come affermato dalla ricorrente, l’art. 38, comma 1, lettera d) n. 2,
d.l. n. 98/2011, conv. in I. 111/2011 con
modif. (che ha aggiunto al d.p.r.
n. 639/1970 I’ art. 47 bis), è stato interessato, quanto alla disciplina di
regime transitorio, dalla pronuncia della Corte
Costituzionale n. 69 del 2014 di illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, che riguarda
anche le disposizioni introdotte dall’art. 47 bis, il quale non potrà
che avere applicazione per il periodo successivo al 6/7/2011. Si legge, infatti,
nella citata sentenza della Corte Costituzionale che l’illegittimità
costituzionale è conseguenza del “vulnus arrecato al principio
dell’affidamento, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al
comma 1, lettera d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla
data di entrata in vigore del presente decreto”; è evidente, dunque, che
se il nuovo termine quinquennale di prescrizione per ratei non liquidati, in
vigore dal 6 luglio 2011, si applica solo da tale data, essendo stato proposto
il ricorso introduttivo in data 2 luglio 2009, non viene neanche in rilievo
l’applicazione dell’art. 252 disp. att. c.c.
(valevole in ogni caso in cui in corso di rapporto muti il regime della
prescrizione).
4. Anteriormente a tale nuova disciplina, come si è
detto inapplicabile al caso di specie, la soluzione della questione del termine
di prescrizione dei crediti per prestazioni non corrisposte integralmente ha
formato oggetto di numerose pronunce di questa Corte di cassazione che ha avuto
modo di elaborare il principio di diritto secondo il quale in tali casi
l’applicabilità dell’art. 2948 c.c. è preclusa
in quanto, pur trattandosi di erogazioni periodiche mensili, non sussiste il
presupposto implicito della liquidità ed esigibilità del medesimo credito
preteso; l’art. 2948 c.c., si è detto,
presuppone la liquidità ed esigibilità del credito, perché solo in tal caso il
credito stesso si può considerare pagabile periodicamente e non è sufficiente,
a questo fine, che tale sia soltanto in astratto, in base cioè alla disciplina
legale applicabile nel momento in cui esso è sorto (Cass.
21 maggio 1990 n. 6245, Cass. n 12472 del 1993, cit., Cass. n 7393 del
1994; Cass. n. 4534 del 1995; Cass. 2563 del 2016).
5. Si è affermato che alle componenti essenziali di
ratei di prestazioni previdenziali o assistenziali non liquidate si applica la
prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione quinquennale, che
presuppone la liquidità del credito, da intendere non secondo la nozione
comune, ma secondo il disposto del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827,
art. 129, secondo cui si prescrivono in cinque anni a favore dell’istituto
le rate di pensione “non riscosse”; ne consegue che il diritto di
credito relativo a qualsiasi somma (ivi compresa quella per rivalutazione ed
interessi, costituente parte integrante del credito base) che non sia stata
posta in riscossione si prescrive nel termine di dieci anni, trattandosi di
credito non liquido ai sensi e per gli effetti del citato art. 129 (Cass. n. 10955 del 2002 ed anche Cass. n. 4353 del
2009, n. 16023 del 2004, n. 17771 del 2003, n. 7030 del 2003, n. 17126 del
2002).
6. In definitiva, non essendosi la sentenza
impugnata conformata ai suddetti principi, la stessa va cassata con rinvio alla
Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, che provvederà ad esaminare
la fattispecie facendo applicazione dei principi sopra indicati ed alla luce
della condotta processuale tenuta dall’INPS, oltre che e a regolare le spese
del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le
spese del giudizio di legittimità.