Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 agosto 2020, n. 16597

Riconoscimento del diritto al beneficio contributivo per
esposizione ad amianto, Limite soglia prevista dalla normativa, Accertamento

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza
del Tribunale di Rieti nella parte in cui questa aveva rigettato il ricorso
proposto da C.N. e F.S. volto ad ottenere il riconoscimento del diritto al
beneficio contributivo per esposizione ad amianto di cui all’articolo 13 comma 8 della I. n. 257 del
1992, come modificata dal d.lgs n. 271 del 1993.

2. La Corte riferiva che i ricorrenti avevano
dedotto di aver lavorato nel periodo da ciascuno indicato alle dipendenze della
T. I. Italia spa presso lo stabilimento di Cittaducale (Rieti), e che il manto
di copertura dello stabilimento era composto da lastre di eternit
(cemento-amianto) a diretto contatto con l’ambiente di lavoro, che avevano
rilasciato con il tempo fibre aerodisperse di asbesto in conseguenza sia del
loro deterioramento sia del fatto che i locali privi di finestre e
controsoffitti erano raffreddati e riscaldati con sistema a ricircolo d’aria,
con conseguente accumulo di circolazione di fibre e scorie del materiale
deteriorato. Avevano altresì evidenziato che nell’agosto 1995 lo stabilimento a
causa di infiltrazioni di acqua piovana era stato decontaminato mediante
rimozione dell’eternit. Argomentava che i ricorrenti avevano quindi dedotto
l’esposizione solo con riferimento all’ambiente nel quale avevano prestato
l’attività lavorativa e non con riguardo alla natura e/o alle caratteristiche
di tale attività ed agli strumenti utilizzati. Sulla base di tali allegazioni,
il CTU aveva accertato che l’esposizione ad amianto non aveva superato la
soglia richiesta dalla normativa per il riconoscimento del beneficio.

3. Né potevano avere rilievo le relazioni tecniche
asportate in altri processi promossi da dipendente della T. I. Italia s.p.a. in
quanto ai fini della valutazione dell’esposizione ad amianto occorre aver
riguardo alle singole lavorazioni e mansioni, nonché alla specifica postazione
di lavoro del singolo dipendente; i poteri istruttori officiosi non potevano
inoltre superare le decadenze istruttorie e soprattutto di allegazione delle
parti e pertanto era inammissibile la prova testimoniale formulata per la prima
volta nell’atto di appello alla quale l’INPS si era opposta, avente ad oggetto
la descrizione del luogo ove si trovava la postazione di lavoro dei ricorrenti,
nonché la distanza dai forni e dalle apparecchiature coibentate in amianto.

4. Per la cassazione della sentenza C.N. e F.S.
hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui l’Inps non ha opposto
attività difensiva.

 

Considerato che

 

5. come primo motivo i ricorrenti deducono la
violazione e falsa applicazione dell’articolo
13 comma 8 della legge n. 257 del 1992 e successive integrazioni e
modifiche con riferimento agli articoli 421 e 437 c.p.c. Argomentano che in tema di
maggiorazione contributiva per esposizione ad amianto l’onere probatorio a
carico dell’aspirante al beneficio deve essere inteso in termini meno rigorosi
di quelli del processo civilistico puro, dovendo essere accertata attraverso la
consulenza tecnica ambientale la quantità di amianto alla quale il lavoratore è
stato esposto; a ciò conseguirebbe che, alla luce della corretta
interpretazione della normativa di riferimento, il consulente non avrebbe
dovuto limitare la propria indagine alle fibre di amianto rilasciate dal manto
di copertura dello stabilimento, ma estenderla a tutte quelle disperse nel
luogo di lavoro. Censurano quindi la decisione per non avere, in adesione alle
istanze formulate dalla parte privata, disposto un supplemento di perizia
destinato a tale accertamento e per non avere attivato i poteri istruttori
officiosi in presenza della rilevata carenza dell’indagine peritale.

6. Come secondo motivo deducono la violazione e
falsa applicazione dell’articolo 111 della
Costituzione in relazione all’articolo 132
c.p.c. e all’art. 115 c.p.c. in relazione all’articolo 2727 c.c. Si dolgono che la sentenza
gravata non si sia pronunziata su un fatto decisivo per il giudizio costituito
dal complessivo valore delle polveri d’amianto disperse nell’ambiente di
lavoro. In questa prospettiva lamentano che il giudice territoriale non abbia
preso atto delle numerose  decisioni
prodotte unitamente al ricorso di appello che, recependo le conclusioni dei
consulenti di ufficio nominati in quei giudizi, avevano accolto le domande
proposte dai colleghi dei ricorrenti che avevano lavorato nel medesimo luogo di
lavoro e nel medesimo arco temporale. Tali allegazioni, costituenti fonti
indirette di prova, in quanto non contestate dall’INPS, dovevano considerarsi
definitivamente acquisite al giudizio.

7. Come terzo motivo deducono la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 116 c.p.c., nonché
l’omesso esame circa il fatto decisivo il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti inerente i precedenti giurisprudenziali, coperti da
giudicato, pronunciati sui medesimi fatti e le consulenze tecniche espletati in
altri ricorsi proposti da impiegati e dirigenti della T..

8. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati
congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati, dovendosi dare continuità
alla soluzione adottata in precedente analogo da questa Corte nell’arresto n.
16614 del 3 agosto 2016.

9. Si premette che parte ricorrente non contesta che
la allegazione formulata nel ricorso di primo grado, correlata alla deduzione
di esposizione qualificata alle polveri di amianto, concernesse soltanto la
dispersione nell’ambiente di lavoro di fibre di amianto relative alla copertura
dello stabilimento, copertura composta da lastre di eternit, sulla quale si è instaurato
il contraddittorio con l’INPS.

10. A tanto consegue, in primo luogo, che non
possono ritenersi acquisite al giudizio, in quanto asseritamente non contestate
dall’INPS, le circostanze emergenti dalla documentazione versata in atti (e
cioè dalle sentenze favorevoli ai colleghi di lavoro degli odierni ricorrenti e
dalle consulenze tecniche espletate in quei giudizi). Costituisce infatti ius
receptum che nel rito del lavoro, stante la circolarità esistente tra oneri di
allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, intanto la mancata
contestazione da parte del convenuto può rendere un fatto incontroverso in
quanto questo sia stato esplicitato in modo specifico ed esaustivo nel ricorso
di primo grado (Cass. n. 11353 del 2004). Consegue, in secondo luogo, che
correttamente l’indagine peritale devoluta al consulente di ufficio è stata
incentrata solo sulla verifica delle fibre aerodisperse rilasciate dalla
copertura dello stabilimento e non su altri elementi quali quelli connessi alle
specifiche mansioni espletate e all’esposizione a fibre di amianto aerodisperse
provenienti dalle apparecchiature installate o comunque da altri elementi
presenti nell’ambiente di lavoro. Come chiarito, infatti, da questa Corte, le
parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei
propri diritti all’attività del consulente neppure nel caso di consulenza
tecnica d’ufficio cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa
stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l’accertamento
di  determinate situazioni di fatto,
giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano
quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti
(Cass. n. 24620 del 2007).

Consegue, infine, che non sussisteva alcuna carenza
dell’indagine peritale di ufficio tale da giustificare l’ammissione di un
supplemento di perizia, destinata, nell’ottica dei ricorrenti, a estendere la
verifica della sussistenza della esposizione qualificata ad amianto anche in relazione
a circostanze di fatto non oggetto di rituale allegazione.

11. Infine, inammissibile risulta la censura di
omessa/inadeguata considerazione delle sentenze favorevoli ottenute da colleghi
di lavoro dei ricorrenti, così come delle consulenze tecniche di ufficio
espletate in tali giudizi, involgendo tale censura la valutazione del materiale
lato sensu probatorio e quindi un profilo esclusivamente di merito sottratto al
controllo di legittimità, se non nei limiti del vizio di motivazione.

12. Con riguardo a quest’ultimo aspetto, premesso
che nel caso di specie trova applicazione, in ragione della data di
pubblicazione della sentenza impugnata, l’art. 360
n. 5 cod. proc. civ. nella formulazione attualmente vigente, si osserva che
il motivo di ricorso non è articolato con modalità coerenti a tale
formulazione, secondo la lettura che della stessa è stata data dalle Sezioni
unite di questa Corte (Cass. n.8053 e 8054 del
2014). Parte ricorrente omette, infatti, di individuare qual è il fatto storico
decisivo, oggetto di discussione tra le parti, il cui esame sarebbe stato
omesso dal giudice di seconde cure nel pervenire alla statuizione di rigetto
del gravame.

13. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

14. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in
assenza di attività difensiva della parte intimata.

15. L’esito del giudizio determina la sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1.bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

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