Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 agosto 2020, n. 16671
Rapporto di lavoro subordinato, Svolgimento di mansioni di
autista, Differenze retributive
Premesso
che con sentenza n. 306/2015, pubblicata l’8 ottobre
2015, la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale
della stessa sede che aveva respinto il ricorso di N. Z. volto a ottenere, nei
confronti dell’impresa individuale Autoservizi P.P., l’accertamento della
sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata in relazione allo svolgimento di mansioni di
autista nel periodo dal 2 aprile 2007 al 31 luglio 2009 e la condanna al
pagamento delle conseguenti differenze retributive;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione lo Z., con tre motivi, cui ha resistito con controricorso
l’Autoservizi P. P., in persona del suo titolare P.P.;
Rilevato
che con il primo motivo, deducendo sia il vizio di
cui all’art. 360 n. 3 con riferimento agli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. e all’art. 2722 cod. civ., sia
il vizio di cui all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.,
il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello
compiuto un’erronea valutazione delle prove testimoniali e per non avere
considerato che sono inammissibili le testimonianze rese sul contenuto di un
documento (nella specie, i “fogli di viaggio”) che siano in contrasto
con esso;
– che con il secondo motivo viene dedotto il vizio
di cui all’art. 360 n. 4 per avere la Corte
trascurato gli elementi di prova, circa l’esistenza di una eterodirezione nello
svolgimento della prestazione lavorativa, desumibili dai documenti prodotti dal
ricorrente, sebbene la disposta C.T.U. grafologica avesse consentito di
accertare la provenienza dal P. delle sottoscrizioni che vi compaiono;
– che con il terzo motivo viene dedotto il vizio di
cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. con
riferimento all’art. 324 cod. proc. civ. e all’art. 2909 cod. civ. per non avere la Corte
considerato che il verbale ispettivo I.N.P.S., che aveva accertato la natura
subordinata del rapporto, e la sentenza (n. 501/2013) del Tribunale di Brescia,
divenuta definitiva, che, recependolo, aveva ritenuto fondata la pretesa
contributiva dell’Istituto, avevano efficacia probatoria dirimente sulla natura
subordinata del rapporto, per la fede privilegiata che assiste tale documento e
per il giudicato che si era formato sul relativo accertamento; e per non avere,
inoltre, preso in considerazione gli elementi dì prova desumibili da una sentenza
(n. 119/2011) del Giudice di Pace di Salò, avente ad oggetto l’annullamento di
un verbale di infrazione amministrativa elevato a carico del ricorrente;
Osservato
che il ricorso non può trovare accoglimento;
– che esso, infatti, a mezzo di ciascuno dei motivi
proposti, tende ad una rivisitazione del merito della controversia,
sollecitando a questa Corte, in contrasto con le funzioni e il ruolo che le
sono propri, un nuovo esame del materiale di prova acquisito al giudizio e un
diverso apprezzamento dei fatti;
– che, d’altra parte, spetta in via esclusiva al
giudice del merito il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità
e la concludenza, di scegliere dal complesso delle risultanze del processo
quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi
(Cass. n. 6288/2011, fra le molte conformi);
– che, con riguardo al primo motivo, deve poi
ribadirsi che “in tema di valutazione delle prove, il principio del libero
convincimento, posto a fondamento degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul
piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità,
sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice
del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme
processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, c. 1, n. 4 cod. proc. civ., bensì un
errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma
normativo del difetto di motivazione e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, c. 1, n. 5 cod. proc. civ., come riformulato
dall’art. 54 del d.l. n. 83 del
2012, convertito, con modificazioni, dalla I.
n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940/2017; conforme Cass. n. 21778/2019);
– che, con riferimento al terzo motivo, è stato
precisato che il rapporto ispettivo I.N.P.S. è liberamente valutabile dal
giudice in concorso con gli altri elementi di prova (Cass. n. 14965/2012), sicché la sentenza
impugnata non è incorsa in alcun vizio là dove ne ha posto a confronto le
risultanze con altri elementi istruttori (cfr., in particolare, pp. 9-10); è
stato inoltre affermato che “nei giudizi tra I.N.P.S. e datore di lavoro
aventi ad oggetto la sussistenza o meno del rapporto di assicurazione
obbligatoria (affermato dall’Istituto e negato dal datore di lavoro) per essere
controversa la stessa sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, non vi è
necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del lavoratore, atteso che
l’accertamento con forza di giudicato è chiesto solo con riferimento al
rapporto assicurativo previdenziale, mentre la questione concernente il
rapporto di lavoro può essere risolta incidenter tantum” (Cass. n.
6673/2003; cfr. anche Cass. n. 5033/1981, n. 5429/1982, n. 149/1989, n. 5353/2004 già cit. nella sentenza impugnata,
fra le numerose conformi), con la conseguenza che non è configurabile, nella
specie, come esattamente ritenuto dalla Corte di appello, alcuna efficacia
vincolante della sentenza del Tribunale di Brescia sulla pretesa contributiva
fatta valere dall’I.N.P.S.;
Ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.