Con due recenti decisioni di merito, i giudici del lavoro hanno delineato alcune essenziali caratteristiche della prestazione agile svolta dai lavoratori durante il periodo di vigenza delle regole eccezionali di contrasto alla pandemia da Covid-19.
Nota a Trib. Mantova 26 giugno 2020 e Trib. Venezia 8 luglio 2020
Gennaro Ilias Vigliotti
Le norme varate dal Governo in materia di lavoro durante i mesi apicali dell’emergenza sanitaria hanno dato ampio spazio al c.d. “smart-working” (o “lavoro agile”), ossia la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa da remoto.
Prima con il D.L. n. 18/2020 (c.d. “Cura Italia”) e poi con il D.L. n. 34/2020 (c.d. “Decreto “rilancio”) si è essenzialmente semplificata la procedura amministrativa per attivare quest’istituto (originariamente previsto ed introdotto nell’ordinamento dalla L. n. 81/2017) e si è stabilita la priorità di accesso allo stesso per una serie di categorie lavorative (su tutti i c.d. “lavoratori fragili”, più esposti al rischio contagio in ragione della loro condizione psico-fisica).
Nonostante le norme in questione abbiano sostanzialmente agevolato il ricorso allo smart-working, molti aspetti sono rimasti poco chiariti dagli interventi del Legislatore: su tutti, il problema della esistenza o meno di un vero diritto soggettivo al lavoro agile in capo al dipendente, e quello della persistenza del diritto del lavoratore a godere dei buoni pasto durante lo svolgimento da remoto della prestazione.
Sul punto, due interessanti sentenze di merito sono intervenute a fornire alcune prime interessanti indicazioni.
Il provvedimento del Tribunale di Mantova.
Con decreto del 26 giugno 2020, emesso al termine di un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., il Tribunale di Mantova ha rigettato il ricorso proposto da un dipendente di una multinazionale di parcheggi che aveva richiesto e non ottenuto l’adibizione allo svolgimento delle mansioni contrattuali in modalità di lavoro agile per ragioni di cura genitoriale ai sensi dell’art. 90 del D.L. n. 34/2020.
Il Giudice del Lavoro ha infatti accertato l’insussistenza dei presupposti indefettibili del periculum in mora e del fumus boni iuris.
In particolare, il Tribunale ha affermato che l’art. 90, D.L. n. 34/2020 prevede come condizione necessaria per avvalersi del diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità di lavoro agile, la compatibilità della suddetta modalità con le caratteristiche della prestazione richieste al dipendente.
Nel caso di specie è stato accertato che il ricorrente svolge mansioni riferibili alla gestione in generale dei parcheggi, dalla fase iniziale della loro progettazione fino alla relativa gestione operativa: in particolare compie visite presso gli stessi per incontrare i referenti tecnici dei committenti al fine di condividere lo stato delle attività in essere, lo stato manutentivo o eventuali integrazioni richieste e/o sopravvenute.
Inoltre, il ricorrente ricopre il ruolo di Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), compiendo verifiche sulla sicurezza nei parcheggi, oltre a tutta una serie di attività ulteriori, straordinarie e non prevedibili in quanto connesse a possibili emergenze, da gestire quotidianamente con il confronto di altre figure professionali, e che possono richiedere la presenza fisica dell’addetto per il futuro e nell’immediatezza.
Ad avviso del Giudice si tratta dunque di mansioni diversificate che “risultano caratterizzarsi – quanto meno in misura rilevante se non prevalente – per la necessità della presenza fisica del dipendente”.
È inoltre emerso che la moglie del lavoratore svolge con regolarità la propria prestazione lavorativa in smart-working presso il proprio domicilio di residenza, dove vive con la figlia ed il marito.
Il provvedimento del Tribunale di Venezia.
Con decreto dell’8 luglio 2020, emesso al termine di un procedimento ex art. 28, L. n. 300/1970, il Tribunale di Venezia ha stabilito che il lavoro agile è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto.
Secondo il Giudice del Lavoro per la maturazione del buono pasto sostitutivo del servizio mensa è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio.
Quando la prestazione di lavoro è resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della collocazione temporale.
Sul punto il Giudice di Venezia richiama una decisione della Suprema Corte che ha escluso la natura di elemento “normale” della retribuzione del buono pasto, trattandosi di “un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale” (Cass. 29 novembre 2019, n. 31137).
Pertanto – ad avviso del Tribunale – i buoni pasto non rientrano sic et simpliciter nella nozione di trattamento economico e normativo che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart-working ex art. 20, L. n. 81/2017.