Anche nel pubblico impiego la clausola di apposizione del termine è nulla se il datore di lavoro non ha attuato la valutazione dei rischi.

Nota a Cass. (ord.) 24 giugno 2020, n. 12499

Rossella Rossi

La disposizione di cui all’art. 20, D.LGS. n. 81/2015  che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, è una “norma imperativa, la cui ‘ratio’ è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro, con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla”.

È quanto sottolinea la Cassazione (ord. 24 giugno 2020, n. 12499, conforme ad App. Firenze n. 194/2014) con riguardo all’art. 3, D.LGS. n. 368/2001, oggi sostituito dall’art. 20, D.LGS. n. 81/2015 che in merito alla valutazione dei rischi (v. spec. art. 15 ss. D.LGS. n. 81/2008) ripropone lo stesso principio (v. pure Cass. n. 21683/2019) ed afferma che “in caso di violazione dei divieti di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato” (co.2).

La Corte precisa altresì che la medesima ‘ratio’ di protezione sussiste nell’ipotesi in cui il contratto a termine sia stato stipulato con una pubblica amministrazione.

Legenda

– Ai sensi dell’art. 36, D.LGS. n. 165/2001, co. 2, lett. b) “Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell’impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l’applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui al primo periodo del presente comma soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall’articolo 35. I contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, escluso il diritto di precedenza che si applica al solo personale reclutato secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 1, lettera b), del presente decreto…”.

– L’art. 20, D.LGS. n. 81/2015 recita:

“1. L’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:

a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;

c) presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;

d) da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

2. In caso di violazione dei divieti di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato”.

– In base all’art. 28, co. 2, D.LGS. n. 81/2015: “Nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n. 604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.

Contratto a termine e valutazione dei rischi
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