Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 agosto 2020, n. 17573
Violazione delle normative vigenti in materia di
antiriciclaggio, Licenziamento per giusta causa, Fiducia del datore di lavoro
– Continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, Potenziale
influenza del comportamento del lavoratore, Porre in dubbio la futura
correttezza dell’adempimento, Sindacato del giudice di merito in merito alla
congruità della sanzione espulsiva, Valutazione non astratta dell’addebito, ma
tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, Apprezzamento unitario e
sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto
di lavoro
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Torino, riformando la
sentenza del Tribunale di Alessandria che aveva ritenuto la decisività delle
eccezioni preliminari sollevate dal datore di lavoro, ha – con sentenza n. 554
depositata il 24.10.2018 – respinto la domanda di annullamento del
licenziamento per giusta causa intimato da Banca popolare di Milano s.p.a., in
data 23.9.2016, a C.A.P., per aver effettuato – in qualità di cassiere e nel
periodo settembre 2015-aprile 2016 – 54 operazioni irregolari in violazione
delle normative vigenti in materia di antiriciclaggio e di assegni bancari
nonché delle regole interne alla banca, omettendo di identificare e censire i
clienti con riferimento a determinate operazioni, eseguendo bonifici senza
previamente acquisire il necessario modulo e la disposizione scritta
dell’ordinante ovvero senza previa costituzione della provvista, apponendo
falsi visti su alcune operazioni, frazionando importi di un’unica operazione ed
effettuando false registrazioni, eseguendo operazioni fittizie, apponendo false
firme al posto della madre e della cliente B..
2. La Corte riteneva che i fatti contestati al
lavoratore, ammessi dal P., integravano senz’altro una giusta causa di recesso
ex art. 2119 cod.civ. in quanto comportamenti
reiterati e connotati da sicura gravità, che – oltre ad aver determinato un
danno per la banca (con riguardo alla perdita delle commissioni sui bonifici) –
denotavano una elevata negligenza, trascuratezza e noncuranza dei doveri tipici
del cassiere con conseguente lesione dell’affidamento non solo del datore di
lavoro ma anche del pubblico, che deve poter riporre estrema fiducia nella
lealtà e nella correttezza di questi funzionari, dovendo altresì considerarsi
che il P. era recidivo.
3. Per la cassazione di tale sentenza C.A.P. ha
proposto ricorso affidato a tre motivi. La società ha resistito con
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod.proc.civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia
violazione o falsa applicazione degli artt. 2119
cod.civ. e 18, comma 4,
della legge n. 300 del 1970 (in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale,
errato nella valutazione del rispetto del principio di proporzionalità tra
infrazioni e sanzioni disciplinari posto che non è stato tenuto conto di tutte
le circostanze oggettive e soggettive che hanno determinato la condotta
addebitata trattandosi di episodi di lieve entità ed avendo, il P., sempre
operato – nel corso del suo rapporto ultra ventennale – nel massimo rispetto
delle regole e delle direttive aziendali, svolto con professionalità e
diligenza le mansioni e i compiti affidati senza mai contravvenire ai propri
doveri bensì garantendo il funzionamento e l’operatività aziendale (come
dimostrato dalle dichiarazioni scritte di numerosi clienti). Inoltre, buona
parte dei comportamenti addebitati dalla banca erano stati contestati
“nella loro essenza di infrazioni”, trattandosi in alcuni casi di
clienti comunque noti alla banca o della propria madre oppure di condotte prive
di qualsivoglia effetto negativo.
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame di
un fatto decisivo (in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato di
valutare la legittimità di due precedenti sanzioni disciplinari intimate, nel
2015, dalla banca, avendo – nella sostanza – il lavoratore dedotto, nel ricorso
introduttivo del giudizio, l’insussistenza delle condotte sanzionate nel 2015
con due provvedimento conservativi.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia
violazione dell’art. 7 della legge n. 3400 del 1970 (ndr art. 7 della legge n. 300 del 1970)
(in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto rispettato il
principio di immediatezza sia con riguardo alla contestazione disciplinare (del
27.7.2016) sia con riguardo alla lettera di licenziamento (consegnata il
29.9.2016) nonostante la banca fosse venuta a conoscenza dei fatti sin da
aprile 2016 (in occasione dell’erronea duplicazione di un bonifico da parte del
lavoratore, episodio che generava un accertamento ispettivo) e comunque in via
definitiva sin dal primo colloquio con il servizio Audit del 30.5.2016 nel
corso del quale il P. aveva riconosciuto espressamente tutti gli addebiti
contestati e nonostante il dipendente fosse stato sentito a sua difesa il
23.8.2016.
4. Il primo motivo del ricorso non è fondato.
4.1. In tema di licenziamento per giusta causa e
giustificato motivo soggettivo ed ai fini della proporzionalità tra addebito e
recesso, questa Corte ha affermato che rileva ogni condotta che, per la sua
gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la
continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo
determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del
lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di
riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento,
denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a
diligenza, buona fede e correttezza.
Spetta al giudice di merito valutare la congruità
della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta
dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce
di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad
un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla
configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva,
all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto
dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla
durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla
tipologia del rapporto medesimo (cfr. Cass. n.
2013 del 2012 e, precedentemente, in senso analogo, tra le tante, Cass. nn. 13574, 7948,
5095, 4060 del 2011).
4.2. Tanto premesso in diritto, è conforme ai
principi richiamati l’operato della Corte territoriale che ha ritenuto
ricorrente una infrazione disciplinare di particolare gravità, sussumibile
nella nozione legale di giusta causa, a fronte della violazione di numerose
regole interne nonché di disposizioni di fonte normativa che disciplinano
l’attività tipica del cassiere: invero, il P., effettuando 17 bonifici per
cassa privi di disposizione scritta dell’ordinante e di qualsiasi
documentazione a supporto “ha violato le disposizioni interne contenute
nella circolare Processo e Ambito Bonifici in partenza- BPM CIPRO 00068”;
per le operazioni effettuate in proprio ha violato le disposizioni interne che
richiedono il visto del preposto; la falsa registrazione di presentatori
diversi dal reale esecutore dell’operazione e la effettuazione di bonifici di
cassa a nome di persone che non erano clienti della banca né erano previamente
censite sono state poste in violazione di disposizione interne “ma, prima
ancora, di norme di legge, segnatamente della normativa antiriciclaggio”; il
frazionamento di un unico bonifico nella procedura BI02 ha violato disposizioni
interne, come anche le operazioni di bonifici che presentavano sottoscrizioni
non riconducibili a nessun operatore della filiale oppure eseguiti senza la
preventiva costituzione della provvista oppure in assenza di preventiva
costituzione di fondi oppure effettuati senza incassare le relative commissioni
(la violazione di questo ultimo obbligo ha, inoltre, comportato un danno
economico per la banca) oppure eseguiti a fronte di moduli incompleti o
impropriamente redatti; infine, l’esecuzione di operazioni in presenza di
sottoscrizioni manifestamente difformi rispetto alle firme depositate
(specimen) è stata posta in violazione della normativa relativa agli assegni
bancari. La Corte distrettuale, rilevando che il P. ha dedotto di contestare
tali operazioni “non in quanto condotte insussistenti ma perché, a suo
dire, di modesta rilevanza e comunque causate da una condotta certamente
emendabile”, ha sottolineato che si è trattato di comportamenti non di
modesta rilevanza in quanto “essi, al contrario, denotano una elevata
noncuranza dei doveri tipici del cassiere di banca, contretandosi nella
violazione delle normative interne della stessa, dirette ad assicurare, anche
mediante la corretta compilazione dei moduli, i doverosi controlli e la
registrazione degli ordinanti e quindi la tracciabilità delle operazioni
bancarie compiute, ciò che viene tutelato anche da normativa di rango
primario”.
Trattasi di argomentazione plausibile, commisurata a
tutte le circostanze del caso concreto che compete al giudice del merito
apprezzare e che è sottratta al controllo di legittimità, per cui la diversa
opinione della parte soccombente non è idonea a determinare la cassazione della
sentenza impugnata.
Parimenti questa Corte insegna come anche il
giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito
contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è
censurabile in sede di legittimità (ex pluribus: Cass.
n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011;
Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass.
n. 444 del 2003), se non nei limiti in cui lo sia il vizio di motivazione
secondo la disciplina dell’art. 360 cod.proc.civ.,
tempo per tempo vigente.
Trattandosi di una decisione che è il frutto di
selezione e valutazione di una pluralità di elementi, la parte ricorrente, per
ottenere la cassazione della sentenza impugnata, non può limitarsi ad invocare
una diversa combinazione di detti elementi ovvero un diverso peso specifico di
ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare l’omesso esame di un fatto, ai
fini del giudizio di proporzionalità, avente valore decisivo, nel senso che
l’elemento trascurato avrebbe condotto ad un diverso esito della controversia
con certezza e non con grado di mera probabilità (v. Cass. n. 18715 e 20817
del 2016).
5. Il secondo motivo è inammissibile in quanto
prospettato con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di
ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto,
quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto del ricorso introduttivo del
giudizio (quantomeno i tratti salienti), fornendo al contempo alla Corte
elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti
processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente
previsto a presidio del suddetto principio dall’art.
366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369
c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014,
n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass.
SU 3 novembre 2011, n. 22726).
Invero, la sentenza impugnata ha precisato che
“l’odierno reclamante era anche recidivo (e la recidiva è stata
regolarmente contestata nella lettera del 26.7.2016), senza che le precedenti
sanzioni (sospensione dal servizio e dal trattamento economico di 8 giorni,
comunicata con lettera del 24.8.2015, e sospensione dal servizio e dal
trattamento economico, comunicata con lettera del 27.11.2015) siano mai state
impugnate dal P., nemmeno incidentalmente nel presente giudizio”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata
rilevando di aver “nella sostanza” contestato la legittimità delle
precedenti sanzioni disciplinari ma non fornisce alcun riscontro della sua
deduzione.
6. Il terzo motivo non è fondato.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che nel
licenziamento per motivi disciplinari, l’immediatezza della contestazione va
intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare
il ritardo (quali il tempo necessario per l’accertamento dei fatti o la
complessità della struttura organizzativa dell’impresa), con valutazione
riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, se
sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. n. 16841 del 2018 e ivi ampia citazione di
precedenti giurisprudenziali).
La Corte distrettuale ha fornito ampia motivazione
sulla tempestività sia della contestazione disciplinare sia della lettera di
licenziamento, rilevando, rispettivamente che: l’indagine ispettiva della banca
aveva preso avvio a seguito della duplicazione del bonifico di euro 550,00 del
5.4.2016 e solamente nell’ambito di tale indagine erano emerse – con
valutazione a ritroso – le numerose altre irregolarità compiute dal P. sin da
settembre 2015; il provvedimento espulsivo era intervenuto entro un
ristrettissimo periodo di tempo (circa due mesi) ed entro un solo mese
dall’audizione (del 23.8.2016) del dipendente assistito da un rappresentante
sindacale.
7. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese
di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
8. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dal D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare
le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi
e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.