Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 agosto 2020, n. 17705

Contributi non più utili ai fini pensionistici, Art. 14 bis, co. 4, D.Lgs. n.
96/1993, Restituzione ai contributi effettivamente versati dal dipendente
– Esclusione di quelli facenti direttamente carico al datore di lavoro, Tenore
letterale della disposizione presenta carattere eccezionale e quindi di stretta
interpretazione, Regola della solidarietà, nell’ambito del sistema previdenziale
generale obbligatori, Esclusione, in via di principio, della necessaria
restituzione dei contributi legittimamente versati, ma inutilizzabili per la
maturazione del diritto a pensione

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la
sentenza del Tribunale di rigetto della domanda di F.G., già dipendente della
disciolta A., volta ad ottenere la condanna dell’Inpdap al pagamento di Euro
190.971,00 quale eccedenza dei contributi non più utili ai fini pensionistici
in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 14 bis dlgs n. 96/1993
e da ultimo DL n 32/1995 conv. in L. n 104/1995.

Secondo la Corte il tenore testuale della normativa
era chiaro nel riferire la restituzione ai contributi effettivamente versati
dal dipendente e non anche a quelli facenti direttamente carico al datore di
lavoro.

Circa le somme dovute la Corte ha rilevato la
correttezza delle somme già ricevute dal ricorrente e la genericità delle
contestazioni proposte dal G..

2. Avverso la sentenza ricorre G. con tre motivi
ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378
c.p.c.

Resiste l’Inps.

 

Ragioni della decisione

 

3. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione del D.Lgs.
n. 96 del 1993, art. 14 bis, comma 4, (così come introdotto dal D.L. n. 355 del 1994, convertito in L. n. 104 del 1995), nonché violazione dell’art. 12 disp. legge in generale . Si censura la
limitazione della restituzione ai soli contributi versati dal lavoratore.

4. Con il secondo motivo si denuncia violazione
dell’art. 2697 cc . La sentenza è censurata con
riferimento alla quantificazione dei contributi che il ricorrente aveva
contestato e che era onere dell’Inps provarne la correttezza.

5. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt 91 e 92 c.p.c.
mancando la motivazione della condanna a pagare le spese processuali.

6. Il ricorso è infondato.

L’art. 14 bis, comma 4,d.lgs.
n. 96 del 1993, come introdotto dall’art. 9 del d.l. n. 32 del 1995
conv. in I. n. 104 del 1995 , dispone: «Il
personale cessato dal servizio dopo la data del 13 ottobre 1993 e prima della
data di entrata in vigore del presente decreto, che non abbia optato per il
mantenimento della posizione pensionistica di provenienza, può chiedere la
restituzione dei contributi versati se non computati ai fini della
ricongiunzione dei periodi previdenziali».

7. Questa Corte di legittimità ha espresso un
consolidato orientamento secondo cui (cfr. Cass. sentt. 27 maggio 2010 n. 12959
e 9 dicembre 2010 n. 24909; 19 maggio 2015 n. 16689, nonché Cass. ord. 29 dicembre 2011 n. 29910) il tenore
letterale della disposizione indicata presenta carattere eccezionale e quindi è
di stretta interpretazione, in ragione del fatto che la regola, nell’ambito del
sistema previdenziale generale obbligatorio, è piuttosto quella della
solidarietà ex art. 38 Cost., la quale porta ad
escludere in via di principio la necessaria restituzione dei contributi
legittimamente versati, ma inutilizzabili per la maturazione del diritto a
pensione (cfr. anche Cass. 29 ottobre 2001 n. 13382 e Corte Cost. sent. 31 luglio 2000 n. 404).

8. Si è, altresì, affermato (cfr Cass. n. 7319/2018, n. 28761/2019 ) che dalla
natura eccezionale e di stretta interpretazione della norma invocata deve
trarsi l’ulteriore corollario della individuazione della contribuzione
possibile oggetto di restituzione, in quella effettivamente versata dal dipendente
e non già della parte dell’onere contributivo assolto dall’ente datore di
lavoro, posto che secondo un generale principio del nostro sistema delle
assicurazioni sociali, improntato al criterio solidaristico, non esiste in via
generale il diritto alla restituzione dei contributi legittimamente versati, in
relazione ai quali non si siano verificati i presupposti per la maturazione del
diritto alla prestazione previdenziale (cfr., con riferimento ad altre
previsioni normative, Cass. n. 10649 del 1990, Cass. ord., n. 16419 del 2014, Cass. n. 4470 del 2015, Cass. n. 4471 del 2015; Cass. n. 19469 del 2015), per cui, quando la
legge dispone la liquidazione di tali contributi, o di una parte di essi, si è
in presenza di un beneficio attribuito all’interno del rapporto previdenziale,
con intento, dunque, non retributivo, né restitutorio.

9. Nei precedenti citati si è sottolineato che
“ciò significa che l’ammontare della restituzione non coincide
necessariamente con l’integralità di quanto versato, ma dipende dalla specifica
previsione normativa che la dispone; nel caso in esame, la finalità della
previsione, alla quale occorre avere riguardo, è quella di consentire al
dipendente transitato presso il Ministero, nell’arco temporale sopra indicato,
che ha optato per il ricongiungimento presso la nuova posizione assicurativa
della contribuzione relativa al periodo di lavoro prestato presso A., di
ottenere la restituzione dei contributi dallo stesso versati sole se tali
contributi non siano da computare ai fini della ricongiunzione dei periodi
previdenziali. La disposizione vuole consentire la compensazione della
posizione sfavorevole in cui si sono venuti a trovare i soggetti che, sul piano
trattamento previdenziale, non fruiscono dei vantaggi riconosciuti dalla
medesima legge al personale cessato definitivamente alla data del 12 ottobre
1993 (e quindi in data non molto lontana dalla loro) e non possono vantare
prospettive di consolidamento e sviluppo nel tempo del nuovo assetto del
rapporto previdenziale, come chi poté proseguire il rapporto di lavoro con la
pubblica amministrazione oltre la data indicata del 9 febbraio 1995. tale
effetto è certamente realizzato attraverso la restituzione dei contributi
legittimamente versati dal dipendente mentre, se si dovesse accedere alla tesi
sostenuta dal ricorrente, si otterrebbe il diverso risultato di attribuire ai
soggetti indicati dalla norma in esame una misura premiale e non compensatoria
che non troverebbe valida giustificazione a fronte della portata generale del
principio di divieto di restituzione della contribuzione legittimamente versata
e non utilizzata. “.

10. Circa la correttezza delle somme dovute la
censura risulta generica non confrontandosi con le motivazioni della Corte che,
a fronte di un conteggio specifico depositato dall’INPS , ha affermato che le
uniche contestazioni sollevate per la prima volta in appello era inconcludenti.

La Corte manifesta, comunque, di aver esaminato le
contestazioni concludendo per loro inconsistenza. Anche sotto tale profilo le
censure contenute in ricorso sono assolutamente generiche.

11. Risulta, altresì, infondato il terzo motivo
atteso che la condanna al pagamento delle spese processuali consegue al rigetto
della domanda.

10. Sulla base delle considerazioni di cui sopra il
ricorso va rigettato.

La mancanza di specifici precedenti di legittimità
all’epoca di proposizione del ricorso determina la compensazione delle spese
del giudizio di legittimità.

L’esito del ricorso integra i presupposti per
l’applicazione dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui
all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.
n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Spese compensate

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis ,
dello stesso art. 13.

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