Giurisprudenza – TRIBUNALE DI SALERNO – Ordinanza 31 gennaio 2020, n. 97
Straniero, Accoglienza dei richiedenti protezione
internazionale, Previsione che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo
non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica., D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 4,
co. 1-bis, inserito dall’art. 13,
co. 1, lett. a), n. 2), del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, conv. in L. 1° dicembre 2018, n. 132
Il giudice designato, dott. I.G.; letti gli atti ed
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 29 gennaio 2020, ha emesso
la seguente ordinanza nel procedimento cautelare ante causam ex art. 700 del codice di procedura civile iscritto
al n. 11519 del ruolo generale dell’anno 2019, proposto con ricorso depositato
in data 2 dicembre 2019 da S. S., nato in C. D’A. il … rappresentato e difeso
dall’avv. G.D. per procura allegata al ricorso; ricorrente;
nei confronti di Comune di C. rappresentato e difeso
dall’avv. F.D. per procura allegata alla memoria difensiva;
resistente.
Il cittadino extracomunitario S. S. chiede
l’emissione di un provvedimento cautelare ante causam contenente l’ordine al
sindaco del Comune di C., anche nella sua qualità di ufficiale di Governo
responsabile della tenuta dei registri dello stato civile e di popolazione, di
immediata iscrizione nel registro anagrafico della popolazione residente.
Espone che è
titolare del permesso di soggiorno per richiesta asilo, rilasciato dalla
questura di S. in data … e dimora da più di tre mesi a C… (fraz. P…) alla
via P…, presso il c…, di a … O…; che in data 31 ottobre 2019 si è
presentato presso l’ufficio anagrafe del Comune di C. per formalizzare la sua
domanda di iscrizione nell’anagrafe del comune ove dimora; che il responsabile
dell’ufficio demografico gli ha comunicato di non poter accettare la richiesta,
ai sensi dell’art. 13 del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 poiché il permesso di soggiorno per
richiesta asilo non costituirebbe valido titolo per procedere all’iscrizione
anagrafica; che l’art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018 non contiene alcun divieto esplicito di
iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo ma si limita semplicemente ad
escludere che la particolare tipologia di permesso di soggiorno possa essere
documento utile per la formalizzazione della domanda di residenza; che il
regolamento anagrafico della popolazione residente (decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223) ed il testo unico
immigrazione (art. 6, comma 7,
del decreto legislativo n. 286/1998) non fanno menzione di «titoli per
l’iscrizione anagrafica» appunto perché nel nostro ordinamento giuridico
l’iscrizione anagrafica non avviene in base a «titoli» ma a «dichiarazioni
degli interessati» (art. 13),
«accertamenti di ufficio» (articoli
15, 18-bis e 19) e «comunicazioni degli
ufficiali di stato civile»; che, infatti, l’iscrizione anagrafica registra la
volontà delle persone, italiane o straniere, che, avendo una dimora, hanno
fissato in un determinato comune la propria residenza oppure, non avendo una
dimora, hanno stabilito nello stesso comune il proprio domicilio; che l’art. 6, comma 7, del decreto
legislativo n. 286/1998 espressamente esclude la possibilità che si possa
negare l’iscrizione anagrafica ad uno straniero regolarmente soggiornante,
ospitato in un centro di accoglienza; che, dunque, il cittadino italiano e lo
straniero, ai fini della iscrizione anagrafica, sono sullo stesso piano,
dovendo dimostrare l’elemento oggettivo (stabile permanenza in un luogo) e
l’elemento soggettivo (volontà di rimanervi); che lo straniero, in aggiunta a
questi elementi, dovrà solo dimostrare di essere regolarmente soggiornante in
Italia con la conseguenza che il permesso di soggiorno non è mai stato titolo
per l’iscrizione stessa, ma rileva solo ai fini della regolarità del soggiorno;
che, inoltre, la domanda di iscrizione anagrafica per lo straniero che dimora
abitualmente in un comune integra anche gli estremi di un «dovere», penalmente
sanzionato (art. 11 della legge
n. 1228/1954); che la corretta interpretazione dell’art. 13 del decreto-legge n.
113/2018 consiste nell’aver abolito l’automatismo di iscrizione anagrafica
della c.d. procedura semplificata prevista dall’abrogato art. 5-bis del decreto legislativo
n. 142/2015, secondo cui il richiedente protezione internazionale ospitato
nei centri di cui agli articoli 9,
11 e 14 è iscritto nell’anagrafe
della popolazione residente sulla base di una comunicazione del responsabile
del centro; che, se l’art. 5-bis
aveva previsto un automatismo nella iscrizione anagrafica, svincolandola sia
dalla dichiarazione dell’interessato che dagli accertamenti dell’ufficiale
d’anagrafe e quindi basandosi solo sulla comunicazione del responsabile del
centro, l’art. 13 in realtà
altro non vuol significare che l’abolizione di tale automatismo, chiarendo che
non vi è una speciale iscrizione all’anagrafe dei residenti per i richiedenti
asilo basata sul «titolo» della domanda di protezione e dell’inserimento nella
struttura di accoglienza; che il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica
del residente ha rilievo costituzionale nell’art.
16 della Costituzione, relativo alla libertà di circolare e soggiornare
liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, dovendosi ritenere che
l’espressione «cittadino» utilizzata dal costituente sia riferibile a tutti i
membri della comunità dei residenti (regolarmente e stabilmente soggiornanti)
nel Paese; che la mancanza della iscrizione nei registri della popolazione
residente comporta una serie di disagi ed impedisce l’esercizio di fondamentali
diritti, quali l’accesso alle misure di politica attiva del lavoro (art. 11, comma 1, lettera c) del
decreto legislativo n. 150/2015), l’attribuzione di un numero di partita
IVA (art. 35, comma 2, lettera
decreto legislativo n. 633/1972), la determinazione del valore ISEE
richiesto per poter accedere alla prestazioni sociali agevolate (art. 1, comma
125, della legge n. 104/1990), la decorrenza del termine di nove anni per
l’ottenimento della cittadinanza italiana (art. 9, comma 1-ter del decreto
legislativo n. 286/1998), il rilascio della patente di guida (art. 118-bis, comma 1, c.d.s.),
la istruzione scolastica, l’ottenimento di una concessione commerciale per il
commercio ambulante, l’esercizio di una professione, l’assistenza sanitaria
nazionale; che tali limitazioni integrano anche il requisito dell’urgenza della
tutela, ex art. 700 del codice di procedura civile.
Il Comune di C., costituitosi, eccepisce la carenza
di legittimazione passiva, essendo legittimato il Ministero dell’interno, in
qualità di titolare della funzione anagrafica e dello stato civile delegata al
sindaco quale ufficiale di Governo. Eccepisce l’inammissibilità della domanda,
non essendovi stato alcun diniego, osservando che il ricorrente si era
presentato negli uffici per richiedere l’iscrizione anagrafica; che in quella
circostanza era stato invitato a produrre idonea documentazione a sostegno
della propria richiesta (permesso di soggiorno, passaporto, ecc.); che, però,
non era più ritornato; che alla diffida del legale era stato risposto che
effettivamente l’art. 13 del
decreto-legge n. 113/2018 non consente l’iscrizione anagrafica ma, senza
voler negare alcunché, precisando che la documentazione fatta pervenire agli
uffici comunali non risultava idonea per una corretta valutazione della
richiesta del ricorrente, solo ed esclusivamente perché incompleta ed
assolutamente illeggibile; che il ricorrente era stato invitato, per il tramite
del suo legale, a volersi presentare nuovamente presso gli uffici comunali,
munito di documentazione idonea, oltre che leggibile, al fine di poter valutare
la sua richiesta di iscrizione anagrafica; che non era mai più presentato
presso gli uffici comunali, con la documentazione richiesta. Nel merito,
osserva che l’art. 4, comma 1-bis,
della legge n. 142/2015 e successive modificazioni, di cui all’art. 13 del decreto-legge n.
113/2018, consente ai richiedenti protezione internazionale di avere un
permesso di soggiorno temporaneo, nell’attesa della definizione della loro
domanda di protezione internazionale, costituente anche documento di identità,
ma nel contempo la situazione di incertezza sulla futura condizione di soggetto
meritevole di protezione internazionale o meno ha fatto ritenere al legislatore
di non farlo iscrivere nel registro anagrafico della popolazione residente,
garantendo al medesimo, però, l’accesso ad una serie di diritti; che, pertanto,
la domanda di iscrizione anagrafica non può essere accolta, ai sensi dell’art. 13 del decreto-legge 4 ottobre
2018 e della circolare n. 15 del 18 ottobre
2018 del Ministero dell’interno, secondo cui, dall’entrata in vigore delle
nuove disposizioni, il permesso di soggiorno per richiesta di protezione
internazionale di cui all’art. 4,
comma 1, del decreto legislativo n. 142/2015, non potrà consentire
l’iscrizione anagrafica. Contesta, altresì, il periculum in mora.
Va esaminata, in via pregiudiziale, la questione
della legittimazione passiva.
Come è noto, il sindaco esercita, nei casi previsti
dalla legge, anche funzioni di ufficiale di Governo, nel qual caso l’attività
svolta non è riferibile al comune ma allo Stato, al quale fa capo lo specifico
interesse pubblico perseguito dalla norma attributiva del potere. Il sindaco si
pone istituzionalmente come organo dell’amministrazione dell’interno ed, in
tale veste, pur avvalendosi dei mezzi propri del comune, pone in essere atti
imputabili direttamente allo Stato. Di regola, poi, alla titolarità
dell’interesse è associata la legittimazione processuale riconducibile
all’esercizio del potere.
Nel caso che qui interessa, le funzioni di ufficiale
dell’anagrafe sono attribuite al sindaco, quale ufficiale del Governo (art. 3 della legge 24 dicembre 1954,
n. 1228). In particolare, l’art. 14 del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali) prevede che i servizi di anagrafe sono
gestiti dal comune e che le relative funzioni sono esercitate dal sindaco quale
ufficiale del Governo, ai sensi dell’art. 54 (il comma 3
dispone che il sindaco, quale ufficiale del Governo, sovrintende alla tenuta
dei registri di stato civile e di popolazione; il comma 11 prevede, nel caso di
inerzia del sindaco o del suo delegato nell’esercizio delle funzioni, che il
prefetto può intervenire con proprio provvedimento; il comma 12 dispone che il
Ministro dell’interno può adottare atti di indirizzo per l’esercizio delle
funzioni previste dall’art.
54 da parte del sindaco). L’art.
12 della legge n. 1228/1954 prevede che la vigilanza sulla tenuta delle
anagrafi della popolazione residente è esercitata dal Ministero dell’interno e
dall’Istituto centrale di statistica. Dunque, l’interesse pubblico che presiede
ai poteri di iscrizione anagrafica fa capo all’amministrazione statale che
esercita, attraverso l’amministrazione centrale (il Ministero dell’interno), le
funzioni di indirizzo e di vigilanza e, attraverso gli organi territoriali, le
funzioni di esercizio concreto del potere (il sindaco e, in caso di inerzia, il
prefetto).
Da questo
sistema di attribuzione dei poteri in materia di anagrafe si desume che la
legittimazione passiva nella controversia relativa al diritto all’iscrizione
nel registro della popolazione residente rimane in capo all’organo a cui spetta
l’accertamento, in concreto, dei presupposti del diritto e, dunque,
l’iscrizione o il diniego dell’istanza (il sindaco), mentre l’organo di
indirizzo e vigilanza (il Ministero dell’interno) può vantare solo una
legittimazione ad intervenire in giudizio. La legittimazione passiva spetta,
perciò, al sindaco p.t. che, nel caso di specie, si è costituito in giudizio,
sia pure nella qualità di rappresentante del comune. Di qui l’infondatezza
dell’eccezione di inammissibilità dell’azione cautelare proposta nei confronti
del comune, in persona del sindaco p.t., anziché nei confronti del Ministero
dell’interno.
L’eccezione di inammissibilità del ricorso per
mancanza di un diniego alla domanda di iscrizione richiede una precisazione sul
fumus boni iuris e sul provvedimento richiesto.
Quanto al fumus, il ricorrente propone una domanda
cautelare a contenuto anticipatorio della sentenza di merito avente ad oggetto
la condanna della pubblica amministrazione ad emettere un provvedimento
amministrativo (la condanna del comune all’iscrizione anagrafica), la quale
richiede una previa verifica della situazione giuridica soggettiva e della
giurisdizione. Come chiarito dalle Sezioni unite, le controversie in materia di
iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione
coinvolgono situazioni di diritto soggettivo per le quali la giurisdizione
spetta al giudice ordinario. L’ordinamento delle anagrafi della popolazione
residente (legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e
relativo regolamento di esecuzione approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 31 gennaio 1958, n. 136, poi sostituito dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio
1989, n. 223), osservano le Sezioni unite, configura uno strumento
giuridico-amministrativo di documentazione e di conoscenza, che è predisposto
nell’interesse sia della pubblica amministrazione, sia dei singoli individui.
Sussiste, invero, non soltanto l’interesse dell’amministrazione ad avere una
relativa certezza circa la composizione ed i movimenti della popolazione, ma
anche l’interesse dei privati ad ottenere le certificazioni anagrafiche ad essi
necessarie per l’esercizio dei diritti civili e politici e, in generale, per
provare la residenza e lo stato di famiglia. Inoltre, tutta l’attività dell’ufficiale
d’anagrafe è disciplinata dalle norme sopra richiamate in modo vincolato, senza
che trovi spazio alcun momento di discrezionalità. In particolare, sono
rigidamente definiti dalle norme del regolamento i presupposti per le
iscrizioni, mutazioni e cancellazioni anagrafiche, onde l’amministrazione non
ha altro potere che quello di accertare la sussistenza dei detti presupposti.
Pertanto la regolamentazione qui considerata, per la natura vincolata
dell’attività amministrativa da essa disciplinata e perché è dettata
nell’interesse diretto della popolazione residente, non contiene norme
sull’azione amministrativa, ma è composta da norme di relazione che
disciplinano rapporti intersoggettivi. Tali norme non attribuiscono
all’amministrazione alcun potere idoneo a degradare i diritti soggettivi
attribuiti ai singoli individui. (Cassazione – Sezioni unite – 19 giugno 2000,
n. 449).
Pertanto, il fumus consiste nella probabile
sussistenza del diritto del cittadino extracomunitario, titolare di permesso di
soggiorno per aver fatto richiesta di protezione internazionale, all’iscrizione
anagrafica nel comune di residenza.
Occorre chiarire, tuttavia, qual è il provvedimento
provvisorio interinale che può essere emesso dal giudice ordinario.
L’anticipazione cautelare di una sentenza di condanna della pubblica
amministrazione ad emettere un provvedimento amministrativo (la condanna del
comune all’iscrizione anagrafica), nel che si traduce la domanda del
ricorrente, si pone in conflitto con il noto principio secondo cui al giudice
ordinario è fatto divieto di revocare o modificare un atto amministrativo (art. 4 della legge 20 marzo 1865, n.
2248, all. E), e dunque, di sostituirsi all’amministrazione nell’emanare un
atto amministrativo, potendo solo disapplicarlo (art. 5) se lesivo di un diritto
soggettivo. Il potere del giudice ordinario di condannare la pubblica
amministrazione al compimento dell’atto (l’iscrizione anagrafica) esige una
norma di legge che, in deroga al principio generale posto dalla legge
ordinaria, accordi una tutela del diritto soggettivo rafforzata, consistente,
non nella mera affermazione del diritto, previa disapplicazione dell’atto
lesivo (il provvedimento di diniego dell’iscrizione anagrafica), e nella tutela
risarcitoria, ma nella condanna al compimento dell’atto amministrativo dovuto.
Sul punto, in verità, alcuna norma di legge deroga al divieto stabilito dall’art. 4 della legge abolitrice del
contenzioso amministrativo. Pertanto, la tutela interinale provvisoria non
consente l’adozione di un «ordine» di compimento dell’atto amministrativo
negato, bensì solo la dichiarazione della sussistenza del diritto (temporaneo)
all’iscrizione anagrafica. Né un potere di ordine di adozione dell’atto può
ricavarsi dall’art. 95 del
decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396
(Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato
civile), che regola il procedimento di rettificazione degli atti dello stato
civile, essendo riferito solo ai registri di cittadinanza, di nascita, di
matrimonio, di morte e di unioni civili.
Dalle considerazioni che precedono si ricava che il
giudice ordinario può solo dichiarare la sussistenza del diritto all’iscrizione
anagrafica, laddove questa si contestata. Non trattandosi di condannare al
compimento di un atto amministrativo rifiutato ma solo di affermare un diritto,
non è una condizione dell’azione il provvedimento formale di rifiuto della
richiesta. Occorre soltanto che tale diritto venga contestato e che, pertanto,
sia controverso, come nel caso di specie, nel quale il Comune di C., anche se
non ha emesso un provvedimento, costituendosi in giudizio ha contestato, nel
merito, la pretesa del ricorrente. Di qui l’infondatezza dell’eccezione di
inammissibilità del ricorso.
Nel merito, l’esame del fumus consiste nella
verifica del fondamento normativo del diritto dedotto in giudizio, ossia del
diritto del cittadino extracomunitario, titolare di permesso di soggiorno per
aver fatto richiesta di protezione internazionale, all’iscrizione anagrafica
nel comune di residenza.
La norma attributiva del diritto, rispetto allo
straniero titolare di un permesso di soggiorno, va individuata in via generale
nell’art. 6, comma 7, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il
quale dispone che «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero
regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei
cittadini italiani con le modalità previste dal regolamento di attuazione. In
ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di
documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza.
Dell’avvenuta iscrizione o variazione l’ufficio dà comunicazione alla questura
territorialmente competente».
Il regolamento di attuazione, richiamato dalla
norma, è il decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 1989, n. 223 (Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della
popolazione residente), il quale stabilisce che presupposto per l’iscrizione
anagrafica della singola persona per trasferimento dall’estero è la fissazione
della residenza nel comune (art.
1), ossia la dimora abituale nel comune (art. 3). L’iscrizione
nell’anagrafe della popolazione residente viene effettuata in base alla
dichiarazione dell’interessato o in base ad accertamento d’ufficio (art. 7, comma 1, lettera c,
modificato dall’art. 1, comma 1,
del decreto del Presidente della Repubblica 17 luglio 2015, n. 126); gli
stranieri iscritti in anagrafe hanno l’obbligo di rinnovare all’ufficiale di
anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune di residenza, entro
sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno (art. 7, comma 3).
Dalle disposizioni richiamate si desume che due sono
i presupposti del diritto dello straniero all’iscrizione anagrafica per
trasferimento dall’estero: la regolarità del soggiorno in Italia e la dimora
abituale nel comune. E, dunque, lo straniero titolare di un regolare permesso
di soggiorno che, come nel caso in esame, è ospite da più di tre mesi presso un
centro di accoglienza, deve essere considerato come residente nel comune presso
il quale vi è il centro di accoglienza e, pertanto, in base alla disciplina
richiamata, ha il diritto (soggettivo) all’iscrizione anagrafica.
Secondo il comune convenuto, però, la disciplina in
esame è derogata rispetto allo straniero titolare di un particolare permesso di
soggiorno, come quello in questione, ossia rispetto allo straniero al quale sia
stato rilasciato un permesso di soggiorno per aver presentato domanda di
protezione internazionale su cui non è stata ancora adottata una decisione
definitiva. In questo caso, l’art.
4, comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, inserito
dall’art. 13, comma 1, n. 2) del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 (entrato in vigore
il 5 ottobre 2018), dispone che tale permesso di soggiorno «non costituisce
titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’art. 6, comma 7, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
La questione controversa richiede, dunque, una
interpretazione di questa norma diretta a stabilire se il diritto soggettivo
all’iscrizione anagrafica nella popolazione residente di un comune, che l’art. 6, comma 7, del decreto
legislativo n. 286 del 1998 (non modificato) attribuisce anche allo
straniero regolarmente soggiornante, al pari del cittadino italiano, deve
ritenersi escluso rispetto allo straniero che ha un permesso di soggiorno in
attesa della definizione della sua domanda di protezione internazionale. In
altri termini, se la norma discrimina tra lo straniero titolare di un permesso
di soggiorno per richiesta di asilo, al quale non attribuisce il diritto, e lo
straniero titolare di un permesso di soggiorno per altri motivi, al quale il
diritto è attribuito.
Secondo un indirizzo della giurisprudenza di merito,
su cui si basa il ricorso, la norma non contiene alcun divieto esplicito di
iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo ma si limita semplicemente ad
escludere che il loro permesso di soggiorno sia, di per sé, sufficiente,
dovendo dimostrare, come chiunque altro voglia ottenere l’iscrizione
anagrafica, sia esso cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante
per altro titolo, la stabile permanenza nel comune (l’elemento oggettivo) e la
volontà di rimanervi (l’elemento soggettivo). Il significato della norma
consisterebbe nell’aver abolito l’automatismo di iscrizione anagrafica della
c.d. procedura semplificata prevista dall’abrogato art. 5-bis del decreto legislativo
n. 142/2015, secondo cui il richiedente protezione internazionale ospitato
nei centri di accoglienza è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente
sulla base di una comunicazione del responsabile del centro.
La lettura proposta non risponde ad alcuno dei
canoni ermeneutica dettati dall’art. 12 delle
preleggi, letterale, sistematico e teleologico.
L’indirizzo in argomento spiega il «significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse» (interpretazione letterale
e sistematica), da un lato in negativo, sostenendo che la frase «il permesso di
soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica»
non prevede in modo espresso alcun divieto di iscrizione anagrafica per il
richiedente asilo; dall’altro lato in positivo, osservando che nessuna delle
disposizioni richiamate dalla norma fa menzione di «titoli per l’iscrizione
anagrafica», poiché questa non avviene in base a «titoli», ma a «dichiarazioni
degli interessati», «accertamenti d’ufficio» e «comunicazioni degli uffici di
stato civile». Ciò vale a dire che il permesso di soggiorno per richiedenti
asilo non è titolo da solo sufficiente per l’iscrizione anagrafica, occorrendo
anche la residenza. Ma, intesa in questo modo, la norma perde di significato, perché
anche il permesso di soggiorno per altro motivo non è sufficiente (in questo
senso non è «titolo») per l’iscrizione anagrafica, occorrendo anche la
residenza. La norma sopravvenuta sarebbe, in questa ottica, un’inutile replica
di un principio già esistente nel sistema normativo e valevole per tutti i
permessi di soggiorno, anche per quelli che la norma non indica.
L’indirizzo qui non condiviso, che assegna ad una
norma che fa eccezione lo stesso significato della regola generale, ritiene di
individuare nell’abrogazione della c.d. procedura semplificata una
dimostrazione dell’assunto e un significato sistematico che, altrimenti, la
norma non avrebbe. Il suo valore consisterebbe nell’aver sancito l’abolizione
dell’automatismo di iscrizione anagrafica della c.d. procedura semplificata
prevista dall’abrogato art. 5-bis
del decreto legislativo n. 142/2015, secondo cui il richiedente protezione
internazionale ospitato nei centri di accoglienza è iscritto nell’anagrafe
della popolazione residente sulla base di una comunicazione del responsabile
del centro. Questo significato, però, non sfugge all’obiezione dell’inutilità
della norma, poiché la procedura semplificata è stata già abrogata dalla
medesima legge (il decreto-legge n. 113 del 2018,
convertito con modificazioni dalla legge n. 132
del 2018) che ha inserito la norma in esame.
La tesi della conservazione dell’equiparazione
normativa, ai fini dell’iscrizione anagrafica, oltre che offrire
un’interpretazione della norma priva di un proprio significato, è contraria
anche al canone teleologico. La relazione introduttiva al disegno di legge di
conversione del decreto-legge parla espressamente di «esclusione
dall’iscrizione anagrafica» che «si giustifica per la precarietà del permesso
per richiesta asilo e risponde alla necessità di definire preventivamente la
condizione giuridica del richiedente». E’ vero che la «intenzione del
legislatore» va intesa, per giurisprudenza consolidata, come l’intenzione del
legislatore obiettivata nella norma e che tiene conto, al di là della volontà
politica che l’ha prodotta, del suo inserimento nell’insieme dell’ordinamento
giuridico e della compatibilità sul piano costituzionale. E’ altrettanto vero,
però, che la ratio esplicitata nella relazione introduttiva non può essere
trascurata per privilegiare un’interpretazione, non solo ad essa contraria, ma
tale anche da privarla di un proprio effetto (tamquam non esset).
L’interpretazione logico-letterale di senso
compiuto, coerente anche con la ratio legis esplicitata nella relazione, è
invece quella che non si limita a non riconoscere alcun significato
all’espressione «titolo» ma lo riferisce al primo presupposto del diritto
all’iscrizione anagrafica, consistente nella condizione di regolarità del
soggiorno dello straniero in Italia. Come è noto, infatti, la regolarità della
presenza dello straniero è una situazione che, talvolta, non richiede alcuna
formalità (il diritto di soggiorno «informale» per il periodo di tre mesi di
colui che è entrato in Italia con regolare visto di ingresso), altre volte
dipende da un titolo «formale» (il permesso di soggiorno o la carta di
soggiorno). L’espressione «titolo» utilizzata dalla norma in esame è riferita
precisamente al titolo «formale» che condiziona il primo presupposto
dell’iscrizione anagrafica (la regolarità del soggiorno). La norma intende
affermare che, a differenza degli altri permessi di soggiorno, quello
rilasciato al richiedente asilo non è un «titolo» che integra la condizione di
regolarità della presenza in Italia. In altri termini, come chiaramente
affermato nella relazione introduttiva, la norma stabilisce che il richiedente
asilo, prima della decisione sulla sua domanda di protezione internazionale,
non è uno straniero regolarmente soggiornante, ai fini dell’iscrizione
anagrafica, essendo il suo permesso di soggiorno, diversamente dagli altri,
all’insegna della «precarietà». Ovvero, la norma vuol distinguere tra lo straniero
che ha ottenuto un regolare permesso di soggiorno, essendo stata valutata la
sua posizione giuridica, il quale ha il diritto-dovere di iscriversi
all’anagrafe del comune di residenza, e lo straniero che ha ottenuto un
permesso di soggiorno nelle more della definizione della sua domanda, senza
alcuna valutazione della sua situazione giuridica, il quale non ha diritto
all’iscrizione anagrafica ma è solo «autorizzato a rimanere nel territorio
dello Stato fino alla decisione della commissione territoriale» (art. 7, comma 1, del decreto
legislativo 28 gennaio 2008, n. 25).
Intesa in questo modo, senza possibilità di opzioni
ermeneutiche alternative, la norma non sfugge ad una valutazione di probabile
fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in relazione alla
violazione di diritti umani fondamentali tutelati dall’art. 2 della Costituzione (l’accesso
all’assistenza sociale e la concessione di eventuali sussidi o agevolazioni
previste dal comune, come quelle basate sulle condizioni di reddito; il
conseguimento della patente di guida italiana o la conversione della patente di
guida estera; ecc.), del principio di uguaglianza (art.
3), per l’irragionevole trattamento rispetto allo straniero regolarmente
soggiornante ad altro titolo, e della libertà di soggiorno (art. 16), per l’esclusione dello straniero avente
diritto ad una definizione della sua domanda di protezione internazionale da
una regolare condizione anagrafica.
Ricorrono, pertanto, i presupposti per la rimessione
della questione di costituzionalità alla Corte costituzionale. La definizione
del giudizio cautelare dipende, infatti, dall’applicazione della norma e non si
può prescindere dalla risoluzione della questione di legittimità
costituzionale, che appare non manifestamente infondata, anche in ragione
dell’insostenibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, come
quella qui non condivisa.
La rilevanza della questione, nel giudizio
cautelare, è segnata dalla sussistenza, in ipotesi di scrutinio conforme
all’incostituzionalità della norma, sia del fumus boni iuris che del periculum
in mora. Quanto alla probabile fondatezza del diritto del ricorrente
all’iscrizione anagrafica, il ricorrente S. S. è titolare del permesso di
soggiorno per richiesta asilo, rilasciato dalla questura di S … in data …,
e dimora da più di tre mesi a C … (fraz. P …) alla via P…, presso il c
… di a … O … Nei suoi confronti troverebbero applicazione, in caso di
espunzione della norma incostituzionale, gli articoli 6, comma 7, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e 1 e 3 del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, secondo cui ha diritto all’iscrizione
anagrafica per trasferimento dall’estero lo straniero regolarmente soggiornante
che dimora abitualmente nel comune, essendo ospite da più di tre mesi presso un
centro di accoglienza. Quanto al periculum, le limitazioni all’esercizio di
diritti fondamentali della persona dipendenti dalla mancata iscrizione
anagrafica integrano il requisito dell’urgenza della tutela ex art. 700 del codice di procedura civile.
L’effettività della tutela d’urgenza consente al
giudice ordinario, secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale
n. 274 del 2014), l’adozione in via provvisoria della tutela interinale «nel
tempo occorrente per la definizione del giudizio incidentale di
costituzionalità e con un contenuto che intanto, limitatamente a questo lasso
di tempo, schermi la norma indubbiata nella parte e nella misura in cui il
giudice adito abbia espresso dubbi di non manifesta infondatezza della
questione sollevata» (Cassazione – Sezioni unite – ordinanza del 18 novembre
2015, n. 23542). E’ affermazione ricorrente, nella giurisprudenza di
legittimità, che il giudice può sollevare questione di legittimità
costituzionale in sede cautelare anche quando conceda provvisoriamente la
relativa misura su riserva di riesame della stessa e nello stesso tempo
sospenda il giudizio con l’ordinanza di rimessione, purché tale concessione non
si risolva, per le ragioni addotte a suo fondamento, nel definitivo esaurimento
del potere cautelare del quale in quella sede il giudice amministrativo è
dotato. Infatti la potestas iudicandi non può ritenersi esaurita quando la
concessione della misura cautelare è fondata, quanto al fumus boni iuris, sulla
non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale,
dovendosi in tal caso ritenere che la sospensione dell’efficacia del provvedimento
impugnato abbia carattere provvisorio e temporaneo fino alla ripresa del
giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale. Tanto basta
per ritenere superata in senso affermativo la verifica di sussistenza della sua
legittimazione a sollevare l’incidente di costituzionalità (Corte costituzionale n. 172 del 2012).
P.Q.M.
Nel procedimento cautelare ante causam iscritto al
R.G. n. 11519/2019, così dispone, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n.
87;
1. dichiara rilevante e non manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1-bis, del decreto
legislativo 18 agosto 2015, n. 142, inserito dall’art. 13, comma 1, n. 2) del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, per contrasto con
gli articoli 2, 3
e 16 della Costituzione;
2. dispone l’immediata trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale e sospende il giudizio cautelare in corso;
3. dichiara, in via provvisoria e fino alla ripresa
del giudizio cautelare dopo l’incidente di legittimità costituzionale, la
sussistenza del diritto di S. S. all’iscrizione anagrafica presso il Comune di
C.
Ordina che la cancelleria provveda alla trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale e alla notifica alle parti in causa e al
Presidente del Consiglio dei ministri.
Dispone, altresì, che l’ordinanza venga comunicata
anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 26
agosto 2020, n. 35