Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 agosto 2020, n. 17788
Infortunio, Domanda di risarcimento del danno differenziale,
Manleva, Ricorrenza di una prassi ovvero di direttive al dipendente, Ipotesi
di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, Lavoratore che
abbia subito un danno nell’esecuzione della prestazione lavorativa, Evento
riferibile a colpa, per violazione di obblighi di comportamento, concretamente
individuati, imposti da legge e regolamento o norme contrattuali ovvero suggeriti
dalla tecnica e dall’esperienza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 17 Ottobre 2016, la Corte
d’Appello di Milano ha confermato la decisione resa dal locale Tribunale che
aveva respinto la domanda di risarcimento del danno differenziale avanzata da
G.R. nei confronti di S. srl – società unipersonale e di S.A. in relazione
all’infortunio occorsogli in data 30 Agosto 2007; avverso la medesima pronunzia
di primo grado era stato, peraltro, avanzato appello incidentale condizionato
dalla S. e dall’A. mediante il quale si chiedeva che in caso di accoglimento
della domanda venisse dichiarato che la I.A. S.p.A. era tenuta a manlevarli,
mentre analoga domanda di manleva era stata formulata dalla società
assicuratrice nei confronti del terzo chiamato A.S. quale responsabile della
progettazione del cantiere ove si era verificato il sinistro.
1.1. In particolare, il giudice di secondo grado,
nel condividere integralmente le valutazioni del primo giudice con riguardo
alla dinamica dell’infortunio, ritenuta pacifica fra le parti, ha poi
sottolineato il difetto di deduzioni probatorie da cui potesse evincersi la
ricorrenza di una prassi ovvero di direttive atte ad indurre il dipendente a
scaricare le attrezzature da un automezzo in prossimità della recinzione del
cantiere e scendendo dal pianale posteriore anziché utilizzando normalmente il
passo carraio.
Con tale modalità, infatti, il R. si era procurato
un danno attingendo uno dei tondini che sorreggevano la rete plastificata posta
a delimitazione dell’area.
2. Per la cassazione della sentenza propone ricorso
G.R., affidandolo a tre motivi.
2.1. Resistono, con controricorso, S.A. e A.S.
mentre la I.A. e S. s.r.l. sono rimaste intimate.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la
violazione o falsa applicazione, in relazione all’art.
360 co. 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt.
2087, 2697 e 1218
c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova con riguardo
all’infortunio subito dal ricorrente per essere stati imposti allo stesso oneri
probatori asseritamente gravanti sulla controparte.
1.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione o
falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co.
1, n.3 cod. proc. civ., dell’art. 2087 c.c.
sul presupposto della ritenuta insussistenza di una precisa responsabilità in
capo alla S. srl ed al proprio legale rappresentante prò tempore, sia per non
aver predisposto misure idonee ad evitare l’insorgere di danni nello
svolgimento di attività di carico e scarico in prossimità della recinzione del
cantiere, sia per non aver impedito l’assunzione da parte di R. della condotta
posta in essere (ove da considerarsi vietata o non consentita).
1.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione o
falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co.
1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ. per non essere stati ammessi
d’ufficio, nei precedenti gradi di giudizio, i necessari approfondimenti
istruttori volti al contemperamento del principio dispositivo con quello della
ricerca della verità materiale con riguardo alla responsabilità delle
controparti.
2. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente
in ragione della loro connessione di carattere logico – sistematico, sono
infondati e non possono, pertanto, trovare accoglimento.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità
(cfr., fra le più recenti, Cass. n. 26495 del
19/10/2018) l’art. 2087 cod. civ. non
contempla una ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di
lavoro, con la conseguenza di ritenerlo responsabile ogni volta che il
lavoratore abbia subito un danno nell’esecuzione della prestazione lavorativa,
occorrendo sempre che l’evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di
obblighi di comportamento, concretamente individuati, imposti da norme di legge
e di regolamento o contrattuali ovvero suggeriti dalla tecnica e
dall’esperienza (ex plurimis, Cass. n. 3785 del
2009; Cass. n. 6018 del 2000, Cass. n. 1579 del
2000).
D’altro canto, ai fini dell’accertamento della
responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a
causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare
l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro,
nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre grava sul datore di lavoro – una
volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare
di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato
tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (ex
plurimis, Cass. n. 24742 del 2018; Cass. n. 14865 del 2017; Cass. n. 2038 del 2013; Cass. n. 3788 del 2009; Cass. n. 12467 del 2003; di recente, in
motivazione, Cass. n. 12808 del 2018).
2.1. E’ evidente, pertanto, in base alla
giurisprudenza di questa Corte, che il mero fatto di lesioni riportate dal
dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non
determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro,
occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di, lavoro
(cfr., tra le altre, Cass. n. 2038 del 2013)
oltre che del nesso causale fra i due elementi costitutivi della fattispecie.
2.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello,
ritenuta pacifica la dinamica del sinistro, nonché la circostanza che il
cantiere fosse munito di apposito accesso carraio idoneo a consentire
l’ingresso degli automezzi, ha evidenziato come lo stesso non fosse stato,
inopinatamente, utilizzato in specie dal R., il quale aveva invece intrapreso
lo scarico sulla sede stradale, in prossimità della recinzione, scendendo dal
pianale posteriore del veicolo e scavalcandone la sponda, così procurandosi
l’infortunio.
Orbene, con valutazione di fatto, immune da vizi
logici e, pertanto, sottratta al sindacato di legittimità, la Corte ha poi
ritenuto non sussistente la prova della circostanza allegata da parte
ricorrente di una prassi nel senso di utilizzare tale modalità di scarico ed in
particolare in ordine alla asserita ammissione in merito da parte dei convenuti
S. e A. essendosi gli stessi limitati ad affermare che “il ricorrente
aveva in più occasioni avuto modo di trasportare materiali e attrezzature
presso il predetto cantiere, nel quale erano in corso in fase avanzata lavori
di demolizione e ricostruzione di un edificio” reputando che da tale brano
non fosse dato evincere alcun riconoscimento in ordine al fatto che, in
pregresse occasioni, il R. avesse provveduto a scaricare materiali o
attrezzature non già entrando nel cantiere dall’apposito passo carraio bensì
posizionando il mezzo a fianco della recinzione, come avvenuto nella specie.
Rispetto a tale valutazione, si ripete, sottratta al
sindacato di legittimità, null’altro è stato aggiunto, non essendo emersi
ulteriori elementi, secondo l’iter motivazionale del giudice di secondo grado,
da cui arguirsi la nocività dell’ambiente ed il nesso di causalità fra questa e
l’evento dannoso.
3. Il terzo motivo, con cui si deduce l’omessa
utilizzazione da parte del giudice dei propri poteri officiosi in punto di
prova non può trovare accoglimento.
Giova rilevare, al riguardo, che, secondo la
giurisprudenza di questa Corte, nel rito del lavoro, il ricorrente che denunci
in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel
giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali
emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia
l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con
carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi
l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di
merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto
tale intervento nel predetto giudizio, non potendo ammettersi in alcun modo una
sollecitazione dei poteri istruttori meramente “esplorativa”(cfr.,
sul punto, Cass. n. 22628 del 10/09/2019).
Sul punto, con congrua ed articolata motivazione, la
Corte territoriale da conto della assoluta genericità della prova invocata da
parte ricorrente che, inoltre, non aveva curato di indicare i testimoni da
escutersi.
Dopo aver sottolineato, infatti, che “nel rito
del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio,
proposto capitoli di prova testimoniale mediante indicazione specifica dei
fatti, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da
interrogare, incorre nella decadenza della relativa istanza istruttoria, con la
conseguenza che il giudice non può fissare un termine, ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ., per sanare la carente
formulazione” (Cass. n. 5950 del 14/03/2014), ha rilevato come, in ogni
caso, il carattere assolutamente generico oltre che valutativo della prova da
ammettersi ne determinava ex se l’inammissibilità.
Essa ha evidenziato, invero, come nell’atto
introduttivo ci si limitasse alla menzione di un non meglio precisato “bisogno
di posizionare veicoli in prossimità della recinzione” senza alcuna
spiegazione delle circostanze da cui detto “bisogno” sarebbe
derivato.
La Corte d’appello ha, quindi, ritenuto la
correttezza delle valutazioni operate in primo grado, sulla base di diverse
ulteriori valutazioni: in primo luogo, con riguardo al discusso aspetto della
esistenza o meno di una prassi (o quantomeno di precedenti) di operazioni poste
in essere con modalità analoghe a quelle poste in essere dal R., ha affermato
che sia la memoria difensiva della datrice di lavoro sia il verbale di
infortunio non contenevano riferimento alcuno, o perlomeno alcuna affermazione
che potesse essere ricondotta in tal senso, a pregresse circostanze ed
operazioni analoghe a quelle del fatto di specie. D’altro canto, proprio il
carattere generico e non circostanziato delle affermazioni contenute nell’atto
introduttivo del giudizio di primo grado del R., a parer della Corte d’appello
aveva impedito di rinvenire in capo a S. ed A. alcun onere di specifica
contestazione.
Ciò appariva ancor più evidente, come sottolineato
dal giudice di secondo grado, se si osservava che lo stesso R., nelle
dichiarazioni allegate al rapporto di 1 infortunio, aveva affermato di aver
posizionato il mezzo in prossimità della recinzione – non per ragioni di
necessità – bensì “per lasciare libero il transito dei veicoli sulla
strada”, dimostrando così di aver operato su sua scelta personale e non
necessitata né prescritta dal datore di lavoro.
4. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il
ricorso deve essere respinto.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo, nel rispetto dei parametri di cui al D.M. 8 marzo 2018, n. 37, recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55.
6. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 (ndr comma 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002), se dovuto.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore delle parti costituite, delle spese di lite, che
liquida in complessivi euro 2.000,00 ciascuna per compensi e 200,00 per
esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 -bis dello stesso articolo 13),
se dovuto.