Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 agosto 2020, n. 17793
Indebita percezione dell’indennità di disoccupazione,
Sopravvenuta sentenza giudiziaria, Nullità della clausola di apposizione del
termine e riconoscimento di rapporto a tempo indeterminato, Condanna del
datore di lavoro al risarcimento nella misura delle retribuzioni spettanti fino
alla costituzione in mora, Transazione prevedente la risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro
Considerato in fatto
1. La Corte d’appello Ancona ha confermato la
sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno di rigetto dell’opposizione proposta
dall’Inps avverso il decreto con cui era stato ingiunto all’Istituto la
restituzione delle trattenute operate sul trattamento pensionistico goduto dal
P.A. per indebita percezione dell’indennità di disoccupazione dall’ 1/1/2005
all’1/1/2009.
La Corte, nel confermare il diritto dell’A. a
trattenere l’indennità di disoccupazione, ha rilevato che nel periodo 1/1/2005
– 1/1/2009 l’A. era stato effettivamente disoccupato non percependo alcuna
retribuzione; che non era di ostacolo al diritto all’indennità di
disoccupazione la sopravvenuta sentenza del 23/4/2010 con cui il Tribunale,
nella controversia tra l’A. e la soc T.P., aveva dichiarato la nullità della
clausola di apposizione del termine e riconosciuto un rapporto a tempo
indeterminato per lo stesso periodo, ed aveva condannato la datrice di lavoro
al risarcimento nella misura delle retribuzioni spettanti dall’ 1/6/2006 data
di costituzione in mora; che infatti, per una parte del periodo in
contestazione (dal 1/6/2006) al lavoratore era stato riconosciuto il
risarcimento del danno e non la retribuzione e considerato anche l’intervento
della disciplina della L. n. 183/2010,
sussisteva l’interesse del lavoratore, stante il configurarsi di una “res
dubia” a concludere una transazione con riconoscimento di Euro 45.000 a
titolo di danno non patrimoniale, ben inferiore alle annualità non percepite;
che pertanto non era configurabile un’inerzia del lavoratore a far valere i
suoi diritti derivanti dalla sentenza dovendosi valutare anche la concreta
possibilità del lavoratore di conseguire gli effetti della sentenza stessa.
La Corte territoriale ha osservato che l’A. non era
mai stato reintegrato nel posto di lavoro, né aveva ricevuto spettanze
retributive, che ciò escludeva che l’indennità di disoccupazione potesse
diventare indebita per il solo fatto di aver ottenuto una sentenza favorevole e
che comunque nei confronti dell’Inps si doveva avere riguardo, non alla
sentenza, ma alla transazione intercorsa con la soc T.P..
2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un unico
articolato motivo. Resiste l’A..
Ritenuto in diritto
3. La difesa del controricorrente ha preliminarmente
eccepito la nullità del ricorso per cassazione per carenza della procura
speciale nella copia notificata, essendo quella ivi apposta a margine priva
della sottoscrizione del legale rappresentante dell’istituto e per autentica
del difensore.
L’eccezione non è fondata. Questa Corte ha affermato
più volte che: “qualora l’originale del ricorso per cassazione o del
controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi
la firma del difensore munito di procura speciale e l’autenticazione ad opera
del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la
mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia
notificata non spiega effetti invalidanti, purché la copia stessa contenga
elementi – come l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è
stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente – idonei ad evidenziare
la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale” (v. da
ultimo Cass. n. 1981 del 26/01/2018 e precedenti
conformi ivi richiamati).
Nel caso di specie, risulta dall’esame degli atti
che la copia notificata del ricorso reca a margine la procura speciale
rilasciata al difensore – pur mancante della riproduzione delle sottoscrizioni
– nonché in calce la sottoscrizione del difensore medesimo, le firme sono
regolarmente apposte nell’originale del ricorso e dall’attestazione sulla
ricevuta sottoscritta dall’ufficiale giudiziario risulta che il ricorso è stato
presentato per la notifica dal difensore cui il mandato speciale è stato
conferito. Non vi è pertanto motivo di dubitare che il ricorso notificato
provenisse dal difensore già munito di mandato speciale.
4. L’Inps denuncia violazione dell’art. 45, 3 comma, R.D.L. n.
1827/1935 convertito con modifiche in L. n. 1155/1936 vigente ratione
temporis , in relazione agli artt. 2033 e 1372 cc.
Ribadisce che l’accertamento giudiziale di un valido
rapporto di lavoro a tempo indeterminato per lo stesso periodo escludeva la
sussistenza del diritto a percepire l’indennità di disoccupazione; che il
lavoratore era rimasto inerte e la mancata concretizzazione di quanto statuito
dalla sentenza era conseguenza dell’inerzia del lavoratore.
5. Il ricorso è infondato.
Deve darsi continuità al principio affermato da
questa Corte (cfr Cass. n. 28295/2019) in
relazione a ricorso proposto dallo stesso A. avente ad oggetto l’accertamento
negativo della fondatezza della pretesa restitutoria dell’Inps.
Si è affermato, richiamato l’art. 45 del R.D.L. 04/10/1935, n.
1827, che “l’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è
l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività,
conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non
riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e
cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro (così Corte Cost. 16/07/1968, n. 103). La sua funzione è
quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un
sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell’art. 38 II comma della Costituzione e che tale
presupposto si verifica anche nel caso di scadenza del termine contrattuale, in
cui la cessazione del rapporto non deriva da iniziativa del lavoratore”.
6. Nel precedente citato si è rilevato che “la
domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione non presuppone neppure la
definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di
impugnarlo, mentre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell’atto
di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che rappresenta il
fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul quale non incide la
contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento” (v.
anche Cass. 11.6.1998 n. 5850, Cass. n. 4040 del 27/06/1980) e che “solo
una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e ripristinato il rapporto
per effetto della reintegrazione le indennità di disoccupazione potranno e
dovranno essere chieste in restituzione dall’Istituto previdenziale, essendone
venuti meno i presupposti, così non potendo, peraltro, le stesse essere
detratte dalle somme cui il datore di lavoro è stato condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18
(v. Cass. 15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n.
3904, Cass. n. 9109 del 17/04/2007, Cass. n.
9418 del 20/4/2007).”
7. In applicazione di tali principi deve affermarsi
che anche nella specie si è verificata una situazione di disoccupazione
all’esito della scadenza del termine contrattuale non ostandovi il fatto che in
presenza di una sentenza dichiarativa dell’illegittimità del detto termine
contrattuale e di conversione del rapporto a tempo indeterminato ex tunc, sia
intervenuta tra le parti una transazione prevedente la risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro, la regolarizzazione previdenziale e l’erogazione di un
importo a titolo di danno non patrimoniale.
8. Circa la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno
del 23 aprile 2010 richiamata dall’Inps di conversione del rapporto di lavoro a
tempo indeterminato nonché in ordine al comportamento del lavoratore che,
secondo l’Inps, colpevolmente non l’avrebbe posta in esecuzione, la sentenza
citata di questa Corte ha osservato che ” l’impugnazione giudiziale della
legittimità del recesso datoriale costituisce un diritto, ma non un obbligo del
lavoratore, e che l’intervenuta disoccupazione involontaria deve valutarsi alla
stregua e al momento dell’atto risolutivo. Diversamente opinando, non
spetterebbe l’indennità di disoccupazione ogni qual volta il lavoratore
omettesse di impugnare un licenziamento che pur si presentasse manifestamente
illegittimo oppure ogni qual volta transigesse la lite prima ancora della
(possibile) sentenza di reintegra” e che “neppure può ritenersi
idonea ad escludere l’indennità di disoccupazione la mera ricostituzione de
iure del rapporto, sia pure con sentenza esecutiva, essendo necessario per
garantire l’effettività della tutela che a detta reintegra sia data effettiva
attuazione, con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere
la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege”.
9. Si è, altresì aggiunto che ” – in dissenso
rispetto alla soluzione adottata da questa Corte negli arresti n. 9109 e 9418 del 2007, resi all’esito della
stessa udienza e relativi a medesima vicenda, in cui è stata esclusa la
spettanza dell’indennità speciale di disoccupazione prevista dalla L. n. 1115 del 1968 per alcuni lavoratori che
avevano ottenuto la declaratoria d’ invalidità del licenziamento e l’ordine di
reintegra ex art. 18 della I.
n. 300 del 1970 – che neppure rileva in senso ostativo alla percezione
dell’indennità in discussione un’eventuale inerzia del lavoratore nel portare
ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo un’esplicita
previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza dell’evento
protetto, né sarebbe conferente il richiamo all’art.
1227 c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si
discute del fatto genetico d’una prestazione assistenziale prevista per legge.
Non vi è luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò
comporterebbe) circa le ragioni e l’imputabilità o meno di tale eventuale
inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l’esito
positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali”.
10. Si è quindi concluso che ” Anche qualora
sia stata resa in sede di impugnativa del termine contrattuale una sentenza di
conversione ex tunc del rapporto di lavoro, elemento ostativo alla percezione
dell’indennità di disoccupazione sarebbe dunque l’effettiva ricostituzione del
rapporto, nei suoi aspetti giuridici ed economici, che nel caso non si è
realizzata, atteso che la sentenza oggi impugnata ha accertato che il
lavoratore non è mai stato reintegrato e che per il periodo in contestazione
non ha ricevuto le proprie spettanze retributive”.Risulta Inoltre
“ininfluente il sopravvenire, nelle more della lite avente ad oggetto
l’impugnativa del termine contrattuale, dell’art. 32 co. 5° della I. n. 183 del
2010, c.d. Collegato Lavoro, che – al più – può aver pesato sulla
trattativa che ha preceduto la conciliazione in sede sindacale, ma che non ha
inciso sulla (in)volontarietà dello stato di disoccupazione, né sulla materiale
percezione di retribuzioni.
11. Per le considerazioni che precedono il ricorso
va rigettato e le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
L’esito del giudizio determina la sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1-quater, del
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare
Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e
accessori legge , nonché Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 – quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.