Il recesso del datore di lavoro è legittimo solo se la condotta posta in essere dal dipendente sia tale da ledere, irreparabilmente, il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro.
Nota a Cass. 17 giugno 2020, n. 11701
Francesco Belmonte
“La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale; dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare”, quale appunto l’estromissione del dipendente dall’azienda.
Questo è il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione (per i precedenti, v., ex multis, Cass. n. 29093/2018; Cass. n. 195/2016 e Cass. n. 16900/2015), in una recente pronuncia (Cass. 17 giugno 2020, n. 11701) concernente il licenziamento di un dipendente, responsabile del Servizio Contabilità e Bilancio della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, per aver operato senza la necessaria diligenza nell’attività di contabilizzazione.
Nella fattispecie, la Fondazione aveva contestato al lavoratore di «avere portato nel bilancio preconsuntivo redatto nell’agosto 2014 come oneri straordinari, per un importo di € 648.075,75, un rilevante numero di fatture pervenute nel corso dell’anno 2014, prima ancora della chiusura del bilancio 2013, riferite a costi ordinari della produzione di competenza dell’esercizio 2013 in corso di chiusura e, in alcuni casi, ad esercizi precedenti e di non avere ancora effettuato la riconciliazione dei mastri accesi ai conti correnti bancari con i relativi estratti conto, “provocando un considerevole danno economico alla Fondazione”», non provato, però, in giudizio dall’azienda.
Per la Cassazione, diversamente da quanto sostenuto dall’impresa, i giudici di merito (App. Roma n. 1830/2018) hanno correttamente ritenuto che il comportamento del contabile non fosse connotato da un livello di gravità ed importanza tali da ledere il vincolo fiduciario e legittimare, di riflesso, il licenziamento, in ragione della lieve entità del fatto contestatogli e dell’assenza di prova circa il danno economico arrecato alla Fondazione. Al contrario, la condotta contestata doveva essere punita in via conservativa dal contratto collettivo o dal codice disciplinare dell’azienda.
Da ciò discende che il licenziamento in questione deve ritenersi illegittimo, ai sensi dell’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (come mod. dalla L. n. 92/2012), con conseguente applicazione della tutela reale c.d. “debole”, che sanziona il datore di lavoro: con la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro; il pagamento di un’indennità risarcitoria – limitata nel massimo a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto – con detrazione dell’aliunde perceptum (ossia di quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative nel periodo di estromissione) e percipiendum (quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione); ed il pagamento dei contributi previdenziali.