Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 agosto 2020, n. 17790

Associazione sportiva dilettantistica, verbale di
accertamento Inail, Richiesta di pagamento del premio in relazione al
presidente ed al vicepresidente, entrambi associati, Compiti operativi,
Compenso, Società di fatto, Prova di attività svolta solo a favore di
appartenenti all’associazione, Onere probatorio incombente sul contribuente

 

Considerato in fatto

 

1. La Corte d’appello di Genova, in riforma della
sentenza del Tribunale, ha rigettato l’opposizione proposta dall’Associazione
Sportiva Dilettantistica E. avverso il verbale di accertamento dell’Inail e la
richiesta di pagamento del premio in relazione al presidente ed al
vicepresidente dell’Associazione, entrambi associati.

La Corte ha osservato che il socio di associazione
non riconosciuta, il quale abbia compiti operativi percependo un compenso,
doveva ritenersi rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 4, n. 7, dpr 1124/1965, che
riguarda le società anche di fatto, alle quali andavano assimilate appunto le
associazione non riconosciute che gestiscono un’attività mantenendosi con le
quote degli associati.

La Corte ha, altresì, esposto che sussistevano le
condizioni di esposizione a rischio infortuni; che le attività svolte nella
palestra rientravano nel concetto ampio di sport; che la finalità sportiva
dilettantistica doveva essere perseguita con modalità tali da far emergere
l’assenza di interessi economici lucrativi o di guadagno; che nella specie
mancava la prova che l’attività fosse svolta solo a favore di appartenenti
all’associazione, ma anzi al punto 3 dello statuto si faceva riferimento ai
proventi derivanti da attività economica; che in sede ispettiva il M. aveva
parlato di clienti e che tutta la disciplina agevolativa a favore delle
associazioni sportive dilettantistiche era inapplicabile.

2. Avverso la sentenza ricorre l’Associazione con
due motivi.

Resiste l’Inail.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc.

 

Ritenuto in diritto:

 

3. Con il primo motivo l’Associazione denuncia
violazione dell’art. 4 n. 7 DPR
n. 1124/1965; dell’art. 12 e 14 preleggi; dell’art. 90 L. n. 289/2002; dell’art. 35, comma 5 D.L. n. 207/2008.

Deduce che l’associazione non riconosciuta esercente
attività sportivo dilettantistica e la società di fatto erano fenomeni distinti
onde non era applicabile, neppure in via analogica stante la diversità di
ratio, la previsione dell’art.
4, comma 7 dpr 1124 del 1965. Lamenta, pertanto, che la Corte ha fatto
ricorso all’analogia senza considerare che la disciplina della associazioni
dilettantistiche non prevede l’obbligo assicurativo ed il pagamento della
contribuzione previdenziale.

Richiama le norme del TUIR ed altre norme che
qualificano come “redditi diversi”, e non come assimilati al lavoro
dipendente e dunque esenti dai contributi previdenziali, i compensi erogati
dalle associazioni sportive dilettantistiche agli assodati per attività di formazione,
didattica, preparazione e assistenza all’attività sportivo dilettantistica.
Osserva che lo svolgimento di attività amministrativa e gestionale (quale
apertura e chiusura dei locali, loro pulizia, manutenzione, acquisto
attrezzature, pubblicità pagamento delle utenze ed incasso delle quote
associative ) degli associati individuati dagli ispettori erano riconducibili a
quelle indicate dall’art. 90 L. n. 289/2008 che ha esteso il trattamento di
favore per le associazioni dilettantistiche.

4. Con il secondo motivo denuncia vizio di
motivazione. La natura non dilettantistica era stata desunta solo da alcune
affermazioni contenute nello statuto senza procedere ad alcun accertamento
istruttorio.

5. Il ricorso deve essere rigettato.

6. Le censure della ricorrente sono sostanzialmente
fondate, in particolare con riferimento al primo motivo, sulla ritenuta natura
di associazione sportiva dilettantistica.

Questa Corte ha avuto modo di specificare (cfr Cass 11492/2019) ” sia pure ad altri fini
che in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dall’art. 111 (ora 148) del d.P.R. n. 917 del 1986 in
favore delle associazioni non lucrative dipende non dall’elemento formale della
veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica),
ma dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere
probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato
del tutto estrinseco e neutrale dell’affiliazione alle federazioni sportive ed
al Coni» (Cass. n. 10393 del 30/04/2018; Cass. n. 16449 del 05/08/2016). E’ stato anche
chiarito che «Affinché un’associazione sportiva dilettantistica possa
beneficiare delle agevolazioni fiscali previste in materia di IVA e di IRPEG,
rispettivamente, dall’art. 4 d.P.R.
26 ottobre 1972, n. 633, e dall’art.
111 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non è sufficiente la sua astratta
sussumibilità in una delle categorie previste da tali norme, ma è necessario
che essa dia prova di svolgere la propria attività nel pieno rispetto di tutte
le prescrizioni imposte da esse» (Sez. 5, Sentenza
n.8623 del 30/05/2012).

7. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale
ha negato la natura di associazione dilettantistica della ricorrente
riconoscendole la natura di una normale associazione con fine di lucro e
,dunque, sottratta a tutta la normativa e facilitazioni previste per le
associazioni senza fine di lucro.

La Corte d’appello, infatti, dopo aver affermato che
“la finalità sportiva dilettatistica deve essere perseguita con modalità
tali da far emergere l’assenza di interessi economici lucrativi o più
genericamente di guadagno patrimoniale sottesi all’attività stessa ” e che
“ciò in particolare, com’ è nel caso di specie , nell’ambito di
organizzazioni che si occupino di attività di mera cura dell’esercizio fisico
come tali gestibili anche in forma spiccatamente commerciale” , ha
stabilito che nella fattispecie mancava la prova che l’attività fosse svolta
solo a favore di appartenenti all’associazione , ma anzi al punto 3 dell’atto
costitutivo si faceva riferimento a proventi derivanti da attività economiche ;
che in sede di dichiarazioni rese in sede ispettiva il M. aveva parlato di
clienti e che in definitiva era irrilevante che lo statuto definisse l’attività
senza fine di lucro.

8. La Corte territoriale ha verificato se, in
concreto, l’attività svolta dall’Associazione fosse o meno di natura
“sportiva dilettantistica” ed ha concluso, con accertamento in fatto,
negando tale carattere.

9. Avverso tale aspetto della sentenza la ricorrente
ha denunciato l’esistenza di un vizio riconducibile all’art. 360 n. 5 cpc di insufficiente e
contraddittoria motivazione.

Le censure ex art. 360
n. 5 cpc risultano, tuttavia, inammissibili non presentando alcuno dei
requisiti richiesti dalla norma citata nella sua nuova formulazione (così come
interpretata da SU n. 8053 del 07/04/2014 ed
applicabile ratione temporis essendo l’impugnata sentenza stata pubblicata dopo
l’11 settembre 2012).

Il nuovo testo dell’art.
360 c.p.c., n. 5, infatti, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la
cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che
abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo
(vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della
controversia). La ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è
ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al
riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se
sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed
immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente
incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal
giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione
resta scevra dai gravissimi vizi appena detti. Il controllo della motivazione è
ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n.
4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel
caso di una sostanziale carenza del requisito dì cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione.

10. Nella fattispecie in esame la Corte ha fornito
una ricostruzione del fatto e le censure della ricorrente non evidenziano
neppure fatti o documenti non valutati dalla Corte territoriale che, qualora
esaminati, avrebbero consentito di pervenire a diverse conclusioni.

Le censure risultano, infatti, pur attraverso la
formale denuncia della violazione di diverse disposizioni codicistiche,
sostanzialmente intese a sollecitare una rivisitazione del quadro probatorio,
inibita a questa Corte in presenza di una congrua e non illogica valutazione
dello stesso da parte del giudice di merito.

11. Per le considerazioni che precedono il ricorso
deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese
processuali.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data
di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n.
115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare
le spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali,
oltre 15% per spese generali e accessori di legge , nonché Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

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