Nell’ipotesi di discriminazione lavorativa per sesso il regime probatorio non comporta un’inversione dell’onere della prova che graverebbe sul datore di lavoro, ma una semplice attenuazione dello stesso a carico della persona discriminata, dal cui adempimento consegue l’onere del datore di provare la non discriminazione.

Nota a Cass. 15 giugno 2020, n. 11530

Valerio Di Bello

In tema di discriminazione, il regime probatorio delineato dall’art. 40, D.LGS. n. 198/2006 non stabilisce “un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione”. Ciò, tuttavia, soltanto “dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (v. Cass. n. 14206 del 2013) o… in ragione dello stato di maternità”.

Lo afferma la Corte di Cassazione (15 giugno 2020, n. 11530, conforme ad App. Catanzaro n. 1704/2017), relativamente al caso di una lavoratrice che aveva adito il giudice del lavoro: a) denunziando una discriminazione basata sul sesso e sullo status di madre di figlio minore realizzata in suo danno attraverso la mancata stabilizzazione del rapporto di lavoro da parte dell’azienda (con la quale aveva sottoscritto un contratto di apprendistato professionalizzante della durata di 36 mesi), a fronte dell’assunzione a tempo indeterminato di colleghi di sesso maschile che avevano stipulato nello stesso giorno il medesimo contratto di apprendistato; b) rilevando che le uniche donne stabilizzate non erano madri né genitori affidatari di figlio minore; c) e sostenendo che dati statistici approssimativi fossero sufficienti ad invertire l’onere della prova.

Secondo la Corte, va escluso l’onere probatorio a carico della parte datoriale in ragione del mancato assolvimento da parte della lavoratrice dell’onere su di essa gravante non avendo la stessa offerto, “nemmeno sul piano statistico, elementi precisi e concordanti, significativi della denunziata discriminazione”, poiché, fra l’altro, l’azienda aveva assunto (in un arco ragionevole di tempo) apprendisti di ambo i sessi senza differenziare in base al sesso quelli non confermati.

Legenda

Ai sensi dell’art. 40, D.LGS. n. 198/2006: “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.

Discriminazione e regime probatorio
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