Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 agosto 2020, n. 17221

Licenziamento disciplinare, Allontanamento dal posto di
lavoro senza procedere alla timbratura del badge, Giudicato penale di
assoluzione dal reato, Non rileva, Comportamento non conforme ad alcun
regolamento aziendale

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza in data 14 – 26 giugno 2018 nr. 602
la Corte d’appello di CATANIA confermava la sentenza del Tribunale della stessa
sede, che aveva respinto la impugnazione proposta da F.R., dipendente della
AZIENDA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE E DI ALTA SPECIALIZZAZIONE G. (in
prosieguo: AZIENDA OSPEDALIERA) con qualifica di ausiliario specializzato,
avverso il licenziamento disciplinare intimatogli in data 8 giugno 2011, per
essersi allontanato dal posto di lavoro nei giorni 23 luglio, 4, 6 e 16
settembre 2008 senza procedere alla timbratura del badge.

2. Respingeva la tesi dell’appellante che faceva
leva sul giudicato penale di assoluzione dal reato di cui all’articolo 640
cod.pen., di cui era stato imputato per gli stessi fatti.

3.Osservava che la assoluzione nella sede penale era
avvenuta per mancanza dell’elemento soggettivo e che correttamente il Tribunale
aveva qualificato la condotta contestata come idonea a minare irreversibilmente
la fiducia del datore di lavoro.

4. Dalla sentenza penale di assoluzione, che
richiamava minuziosamente gli accertamenti operati dalla polizia giudiziaria,
risultava che il R. nei giorni di cui alla contestazione disciplinare si era
allontanato dal luogo di lavoro prima della fine del turno lavorativo (ore 14)
senza timbrare l’uscita ed aveva fatto rientro nella propria abitazione.

5.Occorreva considerare la comprovata consapevolezza
in capo al R. della rilevanza disciplinare della propria condotta, la
riconducibilità della stessa ad un comportamento non conforme ad alcun
regolamento aziendale – ma piuttosto a pretese prassi operative riportate
genericamente da singoli testimoni nella sede penale – la reiterazione nel
tempo del comportamento.

6. A fronte della prova della violazione
dell’obbligo di essere presente sul luogo di lavoro, secondo quanto attestato
dal cartellino marcatempo, non era sufficiente fare riferimento genericamente
alla linea seguita dalla direzione aziendale in ordine al controllo delle
presenze dopo la timbratura del badge ma occorreva dimostrare che nei giorni
oggetto di addebito l’uscita, non registrata, era stata causata da ragioni di
servizio ovvero da una esigenza momentanea personale, in quanto l’onere della
prova del fatto impeditivo rispetto al contestato inadempimento gravava sul R.
secondo la regola dell’articolo 1218 cod.civ.

7. La condotta contestata costituiva ipotesi di
giusta causa ex articolo 2119 cod.civ.

8. Da ultimo, era inammissibile la censura con cui
l’appellante riproponeva la questione della applicazione, a tenore del CCNL (articolo 13 comma cinque), della
sanzione conservativa della sospensione dal servizio per la condotta di
arbitrario abbandono del posto di lavoro, difesa già disattesa dal Tribunale
sul rilievo che l’addebito conteneva l’elemento ulteriore della falsa
attestazione della presenza sul luogo di lavoro. A fronte della articolata
motivazione del Tribunale l’appellante si era limitato a riproporre le stesse
ragioni svolte in primo grado, senza prospettare alcun censura all’iter
decisionale del primo giudice, in palese violazione del principio di
specificità dell’appello di cui all’articolo 342
cod.proc.civ.

9. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza F.R., articolato in tre motivi, cui la AZIENDA OSPEDALIERA ha opposto
difese con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

10. Il PM ha concluso per la inammissibilità ovvero
per il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

l. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai
sensi dell’articolo 360 nr.3 cod.proc.civ.-
violazione e falsa applicazione dell’articolo 654
cod.proc.civ., censurando la sentenza impugnata per non avere attribuito
efficacia di giudicato, ai sensi dell’articolo 654
cod.proc.pen, alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione per i
medesimi fatti posti a base del recesso datoriale.

2.Si espone che il giudice penale aveva accertato
che l’AZIENDA era solita chiedere al lavoratore, oralmente ed informalmente, di
effettuare spostamenti per ragioni di servizio senza obbligo di timbratura del
badge e che tollerava allontanamenti momentanei in considerazione del contesto
collaborativo, che vedeva i dipendenti spendersi sistematicamente al di là del
dovuto per far fronte alle necessità del reparto; si imputa alla Corte
territoriale di non avere tenuto conto di tale contesto e della conseguente
formazione di un convincimento di elasticità suscettibile di attenuare sotto il
profilo psicologico la gravità della sua condotta.

3. Il motivo è infondato nella parte in cui assume
che la sentenza penale di assoluzione avrebbe efficacia di giudicato
nell’attuale giudizio disciplinare.

4. La norma applicabile è l’articolo 653 cod.proc.pen. (in luogo dell’articolo 654 cod.proc.pen. erroneamente richiamato
in ricorso), disciplinante la efficacia della sentenza penale irrevocabile di
assoluzione nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche
autorità. A tenore della citata disposizione la efficacia di giudicato della sentenza
penale di assoluzione sussiste soltanto quanto all’accertamento che il fatto
non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha
commesso.

5. Ne deriva che la formula assolutoria perché «il
fatto non costituisce reato» ( per difetto del relativo elemento psicologico),
come nella specie adottata, non è vincolante nel giudizio disciplinare; torna,
dunque, ad operare il generale principio della autonomia tra il giudizio penale
ed il giudizio civile, correttamente applicato dal giudice del merito.

6. Per il resto il motivo è inammissibile.

7. Il ricorrente, pur deducendo formalmente una
violazione di legge, censura il giudizio espresso dalla Corte territoriale in
ordine alla intensità dell’elemento psicologico. Trattasi di accertamento del
fatto storico, censurabile in sede di legittimità nei limiti di deducibilità
del vizio di motivazione; nella fattispecie di causa la deduzione del vizio di
cui all’articolo 360 nr.5 cod.proc.civ. è in
limine preclusa dal giudizio conforme reso nei due gradi di merito (articolo 348 ter, commi quattro e cinque
cod.proc.civ.).

8. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato
– ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.-
violazione e falsa applicazione degli articoli 2119,
1375, 1175, 2104, 2105, 2697 cod. civ. e degli articoli
115 e 116 cod.proc.civ. nonché – ai sensi
dell’articolo 360 nr.5 cod.proc.civ.- omesso
esame di fatti decisivi controversi, consistenti nelle risultanze istruttorie
del procedimento penale.

9. Ha dedotto che dalla istruttoria dibattimentale
penale era emerso che la AZIENDA OSPEDALIERA non chiedeva ai suoi dipendenti di
registrare gli spostamenti per ragioni di servizio e che i momentanei
allontanamenti dal lavoro venivano tollerati in ragione «del contesto
collaborativo che vedeva i dipendenti spendersi sistematicamente al di là del
dovuto per far fronte a necessità di reparto».

10. Il ricorrente ha altresì censurato l’inversione
dell’onere della prova che sarebbe stata operata dalla Corte territoriale, che
aveva posto a carico del dipendente l’onere di provare che il proprio
allontanamento fosse giustificato (da ragioni di servizio o da esigenze
personali improcrastinabili) laddove l’onere di provare la giusta causa del
licenziamento cade a carico del datore di lavoro.

11. Da ultimo, si deduce l’omesso esame della
assenza di danno, in ragione del rilevante plus-orario non retribuito (oltre
200 ore), come attestato nella sentenza di assoluzione.

12. Il motivo è in parte inammissibile, in parte
infondato.

13. Esso contesta l’accertamento storico della
gravità oggettiva del fatto concreto e della intensità dell’elemento
psicologico; il ricorrente, pur qualificando la censura anche in termini di
violazione di norme di diritto, sollecita nella sostanza questa Corte a
compiere un non consentito riesame del merito, rispetto a fatti esaminati nella
sentenza impugnata ( peraltro in una fattispecie in cui, come già sopra
rilevato, neppure è consentita la deduzione del vizio di cui all’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ.).

14. La censura di violazione dell’articolo 2697 cod.civ. è invece infondata.

15. La Corte territoriale ha dato atto (pagina 6
della sentenza, secondo capoverso, e pagina 9, primo capoverso) che dagli
accertamenti di polizia giudiziaria era emerso che il R. nei giorni della
contestazione disciplinare si era allontanato dal luogo di lavoro prima della
fine del turno senza timbrare l’uscita ed aveva fatto rientro nella propria
abitazione, sita nelle vicinanze della sede lavorativa.

16. Alla luce di tale preliminare accertamento di
fatto va letto l’ulteriore argomentare del collegio d’appello, secondo cui
cadeva a carico del lavoratore l’onere di provare eventuali circostanze che
escludessero il già provato inadempimento.

17. Va, piuttosto, corretta la motivazione della
sentenza impugnata nel punto in cui impropriamente richiama la regola di
riparto dell’onere della prova di cui all’articolo
1218 cod.civ., trovando invece applicazione la diversa e specifica
disciplina di cui all’articolo
5 legge 604/1966.

18. Con il terzo motivo si deduce – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.- violazione e
falsa applicazione: dell’articolo
13,comma otto, lettera d) e dell’articolo 13,comma cinque, CCNL comparto
SANITA’ 2004; degli articoli 1362 e 1363 cod civ. , dell’articolo 55 quater D.Lgs 165/2001,
dell’articolo 11 disp. prel. cod.civ. , della circolare del dipartimento della funzione pubblica
27.11.2009 nr.9.

19. Si denuncia l’errore di interpretazione della
normativa collettiva commesso dal giudice dell’appello, per non avere ritenuto
sussumibile la condotta contestata nella ipotesi dell’arbitrario abbandono del
servizio, punita dal codice disciplinare con una sanzione conservativa
(sospensione dal servizio fino ad un massimo di dieci giorni).

20. Si assume che la Corte di merito avrebbe operato
una nonconsentita applicazione retroattiva della disposizione dell’articolo 55 quater D.Lgs 165/2001-
nella parte in cui prevede come ipotesi di licenziamento disciplinare la falsa
attestazione della presenza in servizio- a condotte commesse anteriormente alla
sua entrata in vigore.

21. Il motivo è inammissibile.

22. Esso non è conferente alla ratio decidendi della
sentenza impugnata. Invero il giudice dell’appello non si è pronunciato sul
motivo di appello con il quale il R. assumeva la riconducibilità della
fattispecie disciplinare alla ipotesi prevista dall’articolo 13, comma cinque, CCNL,
giudicandolo inammissibile, perché carente di specificità (pagina 11 della
sentenza, infine e pagina 12, in principio).

23. Tale ratio decidendi non risulta attinta dalle
ragioni del ricorso.

24. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

25. Le spese di causa, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza.

26. Ricorrono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, DPR 115/2002
per il versamento di un ulteriore importo del contributo unificato giacché il
giudice dell’impugnazione ogni volta che pronunci l’integrale rigetto o
l’inammissibilità o la improcedibilità dell’impugnazione deve dare atto della
sussistenza di tali presupposti processuali, anche nel caso in cui il
contributo non sia stato inizialmente versato per una causa suscettibile di
venir meno, come nell’ipotesi di ammissione della parte al patrocinio a spese
dello Stato (Cass. 05/04/2019, n.9660, principio poi confermato da Cass. SU
20/02/2020 n. 4315).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle
spese, che liquida in € 200 per spese ed € 5.500 per compensi professionali
oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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