Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 agosto 2020, n. 18136

Licenziamento, Recidiva derivante da altri episodi
disciplinari, Sanzione espulsiva, Indennità risarcitoria

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale Lecco, con sentenza del 28 novembre
2017, ha confermato, in fase di opposizione, il rigetto, già pronunciato in
fase sommaria, della domanda proposta da F.L., nelle forme previste dall’art. 1 co. 48 e ss. legge n. 92 del 2012, cd.
rito “Fornero”, volta ad impugnare il licenziamento intimatogli con
lettera del 5 agosto 2016.

2. Al lavoratore, segnatamente, sul rilievo della
recidiva derivante da altri sei episodi disciplinari sanzionati (a cui lo
stesso aveva prestato acquiescenza) erano addebitate con la sanzione espulsiva,
le condotte tenute il 27 luglio 2016, ossia l’aver spostato una macchina
fresatrice, senza smontarla preventivamente, danneggiando il pavimento
industriale, e l’aver abbandonato subito il servizio, senza giustificazioni, di
fronte agli immediati rilievi del datore di lavoro V.D..

3. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n.
676/2018, depositata il 28.3.2018, in parziale riforma della pronuncia di primo
grado, ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra il ricorrente e la
società alla data del 5 agosto 2016 e ha condannato quest’ultima a
corrispondere al lavoratore una indennità risarcitoria pari a sei mensilità
della retribuzione globale di fatto.

3.1. La Corte di merito, nel riformare parzialmente
la sentenza, pur concordando con il giudice di primo grado circa la sussistenza
della giusta causa risolutoria, ha tuttavia accolto la censura del ricorrente
volta ad evidenziare come il provvedimento espulsivo fosse stato adottato prima
del decorso dei cinque giorni dalla contestazione degli addebiti previsti dall’articolo 7 stat. Lav
(risultando dato pacifico che la lettera di contestazione fosse stata
consegnata a mano il 1 agosto e la lettera di recesso, con le medesime modalità
il 5 agosto) in violazione delle disposizioni del quinto comma dell’articolo 7 Stat. Lav.,
tese ad assicurare, nell’interesse di entrambe le parti, il ponderato esercizio
del potere disciplinare nella sua forma più severa.

2.2. Pertanto la corte, in applicazione del sesto
comma del cit.art. 18, pur
confermando la risoluzione del rapporto di lavoro ha determinato il
risarcimento nella misura minima prevista, in considerazione della
“presenza della giusta causa solidamente rinvenuta nel fatto addebitato il
28 agosto 2016”, dei precedenti del lavoratore e della “circoscritta
contrazione del termine di cinque giorni tra la contestazione e il recesso, praticamente
impartito quattro giorni pieni dopo la (tempestiva) contestazione effettuata
nel corso dell’orario di lavoro”.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il L., affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso
la F., proponendo altresì ricorso incidentale, con un unico motivo.

4. La controricorrente ha depositato memoria, ai
sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

5. Con il primo motivo di ricorso principale, F.L.
ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 4 c.p.c., deducendo segnatamente errores in procedendo, vizi di
motivazione apparente e contraddittoria, nonché l’omessa ammissione di mezzi di
prova decisivi, in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello negando l’ammissione
di capitoli di prova decisivi in ordine alla natura ritorsiva del licenziamento
del 5 agosto 2016 e degli altri quattro provvedimenti disciplinari irrogati
“a raffica” dopo l’alterco del 12 luglio 2016 ed ignorando le prove
presuntive e le registrazioni telefoniche da cui emergeva la volontà ritorsiva
del datore rispetto al legittimo diritto di critica del dipendente verso le
prevaricazioni subite.

6. Con il secondo motivo di ricorso, il lavoratore
ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 4 c.p.c., (errores in procedendo, motivazione apparente e
contraddittoria, mancata ammissione mezzi di prova decisivi) poiché la Corte
d’appello avrebbe ritenuto decisive dichiarazioni testimoniali parziali,
contraddittorie e “per sentito dire”, e avrebbe rifiutato, sempre
senza fornire alcuna motivazione, l’ammissione di capitoli di prova decisivi al
fine di escludere la sussistenza e la rilevanza disciplinare degli addebiti
contestati al lavoratore, ignorando, altresì, le trascrizioni delle
registrazioni telefoniche da cui, secondo il ricorrente, doveva evincersi la
inattendibilità delle testimonianze circa i fatti posti a base del
licenziamento (sia in ordine al danneggiamento che all’abbandono del posto di
lavoro del 27 luglio 2016).

7. Con il terzo motivo di ricorso il L. ha censurato
la sentenza, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.,
per violazione e falsa applicazione dell’art. 7 St. lav., in relazione
ai principi di tempestività, immutabilità e specifica contestazione della
recidiva, nonché ai sensi dell’art. 360. n. 4,
c.p.c., per errores in procedendo, motivazione apparente e contraddittoria,
omessa motivazione, in cui i giudici territoriali sarebbero incorsi non
considerando che la società resistente aveva dedotto e fatto valere, nella
memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, fatti diversi da quelli
posti a base della lettera di contestazione (pagina 52 e 53 del ricorso).

8. Con il quarto motivo e con il quinto motivo il
ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione (art. 360, n. 3, c.p.c.) degli artt. 18, commi 4 e 5 e dell’art. 7, commi 2 e 5 della L n. 300
del 1970, in relazione agli articoli 1175 e
1375 cod. civ., in cui sarebbe incorsa la
corte, rendendo una motivazione apparente e contraddittoria, ritenendo
applicabile la c.d. tutela indennitaria debole e, quindi, liquidando in favore
del lavoratore solo n. 6 mensilità.

Nella prospettazione difensiva, infatti, la
illegittimità del licenziamento, irrogato venerdì 5 agosto 2016, in anticipo di
due giorni (non solo uno come erroneamente indicato nella sentenza d’appello)
rispetto alla prima data utile possibile (domenica 7 o lunedì 8 agosto 2016),
avrebbe comportato una rilevante violazione del diritto di difesa del
lavoratore e dei principi di buona fede contrattuale, che avrebbe dovuto
condurre la corte ad applicare la più grave sanzione di cui al quinto comma
dell’articolo 18 Stat. Lav.

Del pari, erroneamente la corte, per fondare le
ragioni poste a sostegno della tutela indennitaria concessa, avrebbe richiamato
la presenza della giusta casa, la cui assenza avrebbe condotto a diverse conseguenze
sanzionatorie, e avrebbe considerato circoscritta la violazione del termine,
nonostante i giorni sottratti alla difesa sarebbero stati almeno due se non
tre.

9. Tutti i motivi di ricorso sono infondati.

10. Il primo e il secondo motivo, che possono essere
esaminati congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono
inammissibili.

Con essi, il ricorrente, deduce la nullità della
sentenza che, a suo dire, avrebbe rifiutato l’ammissione o non valorizzato
elementi probatori da cui si doveva desumere (primo motivo) la natura ritorsiva
del licenziamento, e la legittimità dei comportamenti del lavoratore di fronte
alle vessazioni di cui era vittima, e (secondo motivo) la inattendibilità dei
testimoni che avevano riferito delle condotte sanzionate (danneggiamento e
abbandono) nonché, in generale, l’errore di valutazione della prova
testimoniale in cui sarebbe incorso il giudice.

10.1. Nel proporre tali doglianze, tuttavia, il
lavoratore, pur riportando le statuizioni relative della sentenza impugnata
(cfr. pag. 25 del ricorso) non si confronta realmente con la motivazione di
appello che, conformemente a quella di primo grado, aveva escluso la rilevanza
dell’intento.

In più occasioni, infatti, questa corte ha chiarito,
in aderenza al preciso dato normativo, quanto al licenziamento di cui si assuma
la nullità perché ritorsivo, come il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. debba essere determinante, cioè
costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il
motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro
giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai
fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, st.lav.
novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale
posta a fondamento del licenziamento, (cfr. da ultimo, Cass. n. 9468 del 04/04/2019).

Nel caso di specie, coerentemente con il citato
principio, la corte di appello ha affermato, con esauriente motivazione, la
sussistenza della giusta causa, argomentando in ordine alla gravità della
condotta insita non solo nel danneggiamento della pavimentazione industriale, ma
anche nella reazione consistente nell’abbandono del servizio, richiamante una
condotta analoga a quelle già sanzionate con precedenti provvedimenti
disciplinari (v. pag.4 e 5 sentenza impugnata).

Correttamente, poi, la corte di appello, in
conformità all’orientamento richiamato, ha escluso la rilevanza e della
decisività del dedotto motivo ritorsivo di licenziamento.

10.2 Inoltre, anche con le altre doglianze contenute
tanto nel primo che nel secondo motivo, il ricorrente esprime un mero dissenso
rispetto alle valutazioni delle prove operate dal tribunale in primo grado,
proponendone inammissibilmente una propria valutazione in fatto alternativa
rispetto a quella compiuta dai giudici di merito, e deducendo altresì vizi di
motivazione in maniera non conforme alla nuova formulazione dell’articolo 360, comma 1, n. 5 così come interpretato
dalla giurisprudenza di questa corte (cfr. Cass.
SS.UU. n. 8053 del 2014 con principi ribaditi dalle stesse Sezioni unite v.
n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni
semplici), poiché richiama stralci di documenti e atti che non risultano
individuati né localizzati.

La giurisprudenza di questa corte ha da tempo
evidenziato come “ai fini del rituale adempimento dell’onere, imposto al
ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod.
proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti
processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con
riferimento alle parti oggetto di doglianza, è necessario che, in ossequio al
principio di autosufficienza, si provveda anche alla loro individuazione con
riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione,
come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile
l’esame” (Cass. 23 marzo 2010, n. 6937, e Cass. 16 marzo 2012, n. 4220).
Secondo Cass. 9 aprile 2013, n. 8569, l’onere di cd.localizzazione, in altre
parole, nella interpretazione fornita da questa corte del n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ., si atteggia come
previsione a carico del ricorrente di un onere ulteriore rispetto a quello di
integrale trascrizione degli atti processuali, il cui assolvimento risulta
indispensabile ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, in quanto,
anche in presenza di una puntuale riproduzione degli atti dei precedenti gradi
di giudizio, posti a fondamento della censura, la mancata individuazione topografica
del luogo processuale in cui gli stessi sono consultabili non consente alla
Corte di reperirli per verificare se il contenuto sia conforme a quanto
trascritto dal ricorrente in seno al ricorso.

Nel caso di specie, pertanto, il ricorrente formula
rilievi inammissibili allorché, con la doglianza che contesta la prova della
condotta di danneggiamento del pavimento (che, secondo le sentenze di merito
presentava un solco di 1 cm), e della condotta di abbandono ingiustificato del
posto di lavoro, il ricorrente nel proporre una diversa valutazione della prova
testimoniale, richiama a conforto della stessa ampie riproduzioni degli stralci
delle deposizioni e contestazioni, accompagnate da rilievi fotografici, senza
la loro integrale trascrizione e localizzazione.

Del pari allorché (cfr.pag. 42 43 del ricorso) pone
in discussione la valutazione operata dei giudici di merito che avrebbero
considerato non contestati fatti che invece erano contestati, anche in questo
caso operando riferimenti alle pagine dei verbali non ritrascritti né
localizzati e alle prove testimoniali; e, infine, quando (cfr. pag. 46 e ss.)
si duole che la sentenza non abbia considerato la prova della falsa
testimonianza emergente dalle registrazioni in atto riportando stralci di atti
non prodotti nè localizzati.

11. Anche il terzo motivo è inammissibile.

In esso, il ricorrente, adombrando genericamente una
violazione del principio della immutabilità della contestazione senza chiarirne
con esattezza i contorni specifici, si limita a dedurre vizi nella
contestazione della recidiva e nella formulazione delle contestazioni (fatti
esaminati dalla corte con adeguata motivazione a pag. 5), sottoponendo a questa
corte questioni nuove rispetto quelle emergenti negli atti processuali oggetto
di giudizio.

12. Il quarto e il quanto motivo sono infondati.

Con essi il ricorrente sostanzialmente si duole
dell’operato della corte, che pur riscontrando la violazione del termine a
difesa ne fa discendere soltanto la tutela indennitaria al minimo, sul rilievo
che un termine a difesa (sia pure di 4 giorni) sia stato concesso e in base a
una valutazione generale della vicenda.

La corte, applicando la regola di cui all’art. 18 sesto comma stat. Lav.,
secondo cui, in sostanza, in materia di violazioni di forma e di procedura è
accordata ai lavoratori una tutela indennitaria cd. debole, ha ritenuto che la
violazione della regola della previa concessione del termine a difesa – che si
risolve nella mancata osservanza del termine di cinque giorni tra contestazione
e sanzione – sia da considerarsi di natura procedurale, non ledendo le esigenze
difensive del lavoratore in vista del processo e nel caso di specie ritenendo
la violazione del diritto di difesa nel procedimento disciplinare di modesta
entità.

Questa corte ha da tempo ribadito analoghi principi
ove sia stata disattesa la regola della necessaria audizione del lavoratore che
ne abbia fatto richiesta (Cfr., al riguardo, Cass.
31 luglio 2015, n. 16265. In senso conforme v. Cass.
7 dicembre 2016, n. 25189: “In tema di licenziamento disciplinare, la
violazione dell’obbligo del datore lavoro di sentire preventivamente il
lavoratore a discolpa, quale presupposto dell’eventuale provvedimento di
recesso, integra una violazione della procedura di cui all’art. 7 st. lav. e rende
operativa la tutela prevista dal successivo art. 18, comma 6, quale
modificato dalla L. 90/2012”; si veda
pure Cass. 17 dicembre 2018. n. 32607, secondo
cui “all’ipotesi della mancata audizione del lavoratore è equiparata
quella in cui si consideri erroneamente tardive, in quanto in realtà
tempestive, le giustificazioni scritte rese’ lavoratore medesimo”).

In tale contesto normativo appaiono condivisibili le
valutazioni operate dalla Corte che ha correttamente interpretato la
disposizione dell’art. 18,
sesto comma cit. anche nel ridurre al minimo l’indennità, così valorizzando il
tenore letterale della norma che opera un chiaro riferimento alla gravità della
violazione formale, nel caso di specie motivatamente esclusa.

13. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la
controricorrente deduce, ex art. 360 n 5 c.p.c.
l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in cui sarebbe incorsa la
corte non considerando che “ai punti da 54 a 56” posti a pag. 29
della memoria di costituzione davanti la Corte di appello di Milano, la società
aveva evidenziato di avere spedito la lettera di contestazione in data
28.07.2016 e che la stessa non fosse stata ritirata dal reclamante stante la
comunicazione della stessa missiva ricevuta brevi manu il giorno 01.08 2016.

Il motivo è inammissibile sulla base delle
considerazioni già esposte sub. 10, poiché non rispettoso dell’onere, imposto
al ricorrente dall’art. 366, primo comma, n. 6,
cod. proc. civ., di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti
processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con
riferimento alle parti oggetto di doglianza (Cass. 23 marzo 2010, n. 6937, e
Cass. 16 marzo 2012, n. 4220).

Nel caso di specie, a fronte delle allegazioni del
ricorrente (pag. 52 controricorso) di aver riportato e ritrascritto gli atti
del processo di merito, dalla lettura dell’atto ciò non emerge, risultando
dunque addossato inammissibilmente alla corte l’onere della ricerca e
localizzazme degli stessi, che non risultano prodotti nel fascicolo processuale
di cassazione e precluso alla corte il sindacato sull’omissione denunciata.

14. Per tutte le considerazioni svolte, il ricorso
principale deve essere rigettato mentre quello incidentale deve essere
dichiarato inammissibile con compensazione delle spese del giudizio di
legittimità.

15. Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai
sensi dell’art. 1 co 17 L.
228/2012 (che ha aggiunto il comma
1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti
processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente principale e di
quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e dichiara
inammissibile quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di
legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
ove dovuto.

Si dà atto che il presente provvedimento è
sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore,
ai sensi dell’art. 1, comma 1,
lett. a), del d.p.c.m. 8 marzo 2020.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 agosto 2020, n. 18136
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