Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 agosto 2020, n. 18137
Infortunio mortale sul lavoro, Risarcimento dei danni,
Condotta imprevedibile e azzardata del lavoratore, Misure di sicurezza
collettive, Deroga, Incompatibilità con lo stato dei luoghi
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 113/2016, depositata il 29 aprile
2016, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di
Parma che aveva respinto la domanda, proposta da (…) in proprio e quale
esercente la potestà sul figlio minore (…), diretta a ottenere il
risarcimento dei danni conseguenti all’infortunio mortale occorso il (…) a
(…), allorquando il lavoratore era precipitato al suolo da un’altezza di
circa dodici metri mentre si trovava sul tetto di un capannone industriale di
proprietà della (…) S.p.A. per l’esecuzione di lavori appaltati alla (…)
s.n.c. di (…) e da questa subappaltati alla (…), di cui il (…) era
dipendente.
2. La Corte di appello ha rilevato a sostegno della
propria decisione che il lavoratore era stato dotato di adeguati ed efficienti
dispositivi di protezione individuale (cintura ed imbragatura) rispetto al
rischio di caduta dall’alto e che l’evento si era verificato per una sua
condotta imprevedibile e azzardata, verosimilmente consistita, secondo gli
elementi acquisiti al giudizio, nel fatto di essersi sganciato dalla linea vita
di ancoraggio; né era configurabile, ad avviso della Corte, diversamente da
quanto sostenuto dagli appellanti, un profilo di inadempimento per mancata
adozione di misure di protezione collettiva, posto che l’art. 15, comma 1, lett. i), del d.
I.vo 9 aprile 2008, n. 81, nello stabilire la “priorità” di tali
misure rispetto a quelle individuali, lungi dal qualificare adottabili le
misure di sicurezza individuali solo ed esclusivamente nei casi in cui sia
impossibile il ricorso alle misure di sicurezza collettive, lascia al soggetto
responsabile un margine di apprezzamento legato a fattori diversi, quali la
compatibilità con la situazione dei luoghi, il tipo di lavorazione da svolgere
e la comparabilità dei rischi.
3. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione gli eredi (…), con cinque motivi, cui hanno resistito con distinti
atti: la (…) S.r.l. (già (…) S.p.A.); la (…) S.r.l. (già (…) s.n.c. di
(…), nella qualità di soci amministratori illimitatamente responsabili della
s.n.c.; (…) quale coordinatore della sicurezza; la (…) S.p.A.,
assicuratrice di quest’ultimo.
4. Sono rimaste intimate le compagnie (…) S.p.A. e
(…) S.p.A., assicuratrici rispettivamente della (…) e della (…), nonché
gli eredi di (…).
5. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotto l’omesso esame
ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. di fatti
decisivi per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti.
2. Con il secondo viene dedotta la violazione degli artt. 2087, 2050 e
2051 cod. civ. per non avere la Corte di
appello considerato che, nel caso di specie, sarebbe stata possibile
l’installazione di misure anticaduta di tipo collettivo sicure e compatibili
con il contesto lavorativo, a fronte di norme che impongono al datore di
lavoro, e comunque ai garanti della sicurezza, di tutelare l’integrità fisica e
morale del lavoratore, adottando la massima sicurezza tecnologicamente
possibile ed escludendo la loro responsabilità solo in presenza del caso
fortuito.
3. Con il terzo viene dedotta la violazione degli artt. 15 e 90, comma 1°, d.lgs. 9 aprile 2008,
n. 81, sul rilievo che tali disposizioni stabiliscono, per i garanti della
sicurezza nei luoghi di lavoro, l’obbligo di dare priorità alle misure di
sicurezza collettive rispetto a quelle di tipo individuale, senza che –
diversamente da quanto ritenuto dalla Corte – sia attribuita, nell’applicazione
delle stesse, alcuna discrezionalità.
4. Con il quarto viene dedotta la violazione degli artt. 40, comma 2°, e 41
cod. penale per non avere il giudice di appello considerato che, anche a
voler imputare al (omissis) disattenzione o negligenza nello svolgimento della
propria attività, non avrebbero potuto i soggetti garanti della sicurezza in
cantiere andare esenti da responsabilità, non essendo l’infortunio, così come
si era verificato, né imprevedibile né inevitabile, e che l’osservanza delle
norme di prevenzione avrebbe consentito di evitarlo, anche nel caso di
un’eventuale imprudenza del lavoratore.
5. Con il quinto motivo è infine denunciata la
violazione e falsa applicazione del principio, per il quale la disattenzione,
la negligenza o l’imprudenza del lavoratore non possono mai assurgere a causa
esclusiva dell’evento in presenza di un’omissione antinfortunistica da parte
del garante della sicurezza, mentre il comportamento del lavoratore può
assurgere a causa esclusiva dell’evento solo nel caso in cui abbia i caratteri
dell’eccezionaiità, della abnormità e della esorbitanza rispetto al
procedimento lavorativo ed alle precise direttive ricevute e cioè laddove sia
del tutto imprevedibile o inopinabile.
6. Il primo motivo risulta inammissibile per
cessazione della materia del contendere, stante la dichiarazione di rinuncia
allo stesso da parte del difensore delle parti ricorrenti intervenuta nella
memoria ex art. 378 cod. proc. civ. sul rilievo
della sua inammissibilità per c.d. “doppia conforme”.
7. Parimenti inammissibile risulta il secondo
motivo, in quanto genericamente formulato e, nella sua seconda parte
(possibilità di fatto di installare misure collettive anticaduta), anche
tendente a proporre rilievi di puro merito, come tali estranei alla sede del
giudizio di legittimità.
8. E’ invece fondato, e deve essere accolto, il
terzo motivo di ricorso.
9. L’art.
15 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 elenca le misure generali
di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori e, tra di esse, al
comma 1, lettera i), stabilisce che sia assegnata “priorità” alle
“misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione
individuale”.
In correlazione con tale disposizione l’art. 75 (“Obbligo di
uso”) del medesimo decreto prevede che i dispositivi di protezione
individuale (DPI) “devono essere impiegati quando i rischi non possono
essere evitati o sufficientemente ridotti … da mezzi di protezione
collettiva” (oltre che mediante il ricorso a “misure tecniche di
prevenzione” e a “misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del
lavoro”).
Il successivo art. 90 (“Obblighi del
committente o del responsabile dei lavori”) prevede, al comma 1, che
“Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase di progettazione
dell’opera, ed in particolare al momento delle scelte tecniche, nell’esecuzione
del progetto e nell’organizzazione delle operazioni di cantiere, si attiene ai
principi e alle misure di tutela di cui all’articolo 15”.
L’art.
111 del decreto ripropone poi, al comma 1, lettera, a), per i lavori da
eseguirsi “in quota”, il criterio della “priorità” delle
misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali; e, al comma 6,
prevede che “il datore di lavoro nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro
di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di
protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti
ed efficaci […]. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto
lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le
cadute devono essere ripristinati”.
10. Tanto premesso, si rileva che la nozione di
priorità, cui è fatto riferimento sia nell’art. 15, sia nell’art. 111 del decreto legislativo n.
81/2008, risponde all’esigenza del discorso di collocare due o più enti
sopra una scala di precedenza; nel discorso “normativo” essa, in
definitiva, rappresenta la tavola di preminenti valori o interessi fatta
propria dal soggetto regolatore e dal medesimo posta a fondamento e a
giustificazione delle opzioni esercitate.
11. Ciò, tuttavia, non fa venir meno la natura
precettiva delle disposizioni, in cui la nozione è richiamata, né le fa
degradare a mera raccomandazione di una scelta o di un comportamento che il
destinatario sia libero di adottare o meno.
12. E’, invece, proprio questo l’esito sostanziale
della lettura seguita dalla Corte di merito nella sentenza impugnata, là dove
si esclude che la mancata adozione della misura prioritaria possa integrare un
inadempimento e si afferma che il riferimento al criterio di priorità “lascia
logicamente al soggetto responsabile un margine di apprezzamento legato ad una
serie di fattori” (p. 7): fattori peraltro concretamente individuati dalla
Corte, nel seguito del proprio percorso argomentativo, nella opportunità di
evitare la creazione e la diffusione di rischi ulteriori connessi alla
predisposizione delle misure collettive (per la necessità di usare dispositivi
di protezione individuale nel corso della loro realizzazione e per il concorso,
in tale realizzazione, di una comunità di lavoratori), come nella esigenza
datoriale di contenere costi e tempi, e cioè in elementi indimostrati e
comunque estranei tanto alla formulazione dell’art. 15 (e dell’art. 111) del decreto legislativo n. 81/2008, quanto alle
ragioni e alle finalità che hanno ispirato la legislazione in materia di
sicurezza del lavoro.
13. Si tratta di conclusione in contrasto anche con
il quadro normativo, che la Corte ha dichiarato di avere presente (cfr.
sentenza, p. 6, par. 15), e che è esattamente quello delineato sub n. 9, atteso
in particolare che: a) il criterio della “priorità” (delle misure di
protezione collettiva rispetto a quelle di protezione individuale) ha carattere
diffuso e si estende anche a lavorazioni specifiche (come quelle “in
quota”: art. 111, comma
1, lettera a); b) l’obbligatorietà dei DPI, che “devono” essere
impiegati nel caso in cui i rischi non possano essere evitati o
sufficientemente ridotti, fra l’altro, “da mezzi di protezione
collettiva” (art. 75),
presuppone che questi ultimi siano non solo prevalenti sulla scala della
rilevanza ma anche vincolanti in prima battuta nella realizzazione delle misure
di protezione; c) l’obbligatorietà dei dispositivi collettivi trova poi
conferma nel comma 6 dell’art.
111, sia ove la disposizione prevede che siano adottate “misure di
sicurezza equivalenti ed efficaci”, nel caso in cui l’esecuzione di un
lavoro di natura particolare richieda “l’eliminazione temporanea di un
dispositivo di protezione collettiva contro le cadute”, sia ove stabilisce
che – una volta terminato detto lavoro di natura particolare, in via definitiva
o temporanea – “i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute
devono essere ripristinati”.
14. A tale quadro deve aggiungersi l’art. 148 del decreto n. 81/2008,
nella versione di cui al d.lgs. n. 106/2009,
la quale prevede che “prima di procedere alla esecuzione di lavori su
lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l’obbligo di predisporre
misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano
resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di
impiego”.
15. A proposito di tale disposizione si rileva, in
primo luogo, come essa costituisca norma speciale rispetto all’art. 111,
riguardando (tra i “lavori in quota”) quelli “su lucernari”
(come su “tetti, coperture e simili”) e cioè proprio e specificamente
la fattispecie concreta dedotta in giudizio; ed inoltre come essa, per il modo
in cui è formulata (“fermo restando …”), oltre che per il contesto
In cui è inserita (quello di un decreto contenente disposizioni integrative e
correttive del decreto n. 81), renda esplicito
ciò che in quest’ultimo può ritenersi comunque già chiaramente delineato, per
tutte le considerazioni svolte.
16. Non può, d’altra parte, ritenersi che le parole
fermo restando l’obbligo di predispone misure di protezione collettiva
attengano esclusivamente all’ipotesi in cui si mostri dubbia la
“resistenza” delle superfici su cui eseguire i lavori, perché a
quest’ultima problematica è dedicato, con il richiamo a specifiche misure, il
comma 2 della disposizione in esame.
17. Deve, pertanto, concludersi nel senso che, ove
si debbano svolgere lavori al di sopra di “lucernari, tetti, coperture e
simili”, sia obbligatoria la predisposizione di misure di protezione
collettiva, con l’unico ed esclusivo limite che la realizzazione di tali misure
risulti incompatibile con lo stato dei luoghi o impossibile per altre ragioni
tecniche, la cui prova in giudizio grava sul datore di lavoro e, per quanto di
rispettiva competenza, sui soggetti titolari di posizioni di garanzia.
18, Nell’accoglimento del terzo motivo restano
assorbiti il quarto e il quinto.
19. L’impugnata sentenza n. 113/2016 della Corte di
appello di Bologna deve, pertanto, essere cassata e la causa rinviata, anche
per le spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione,
la quale, nel procedere a nuovo esame della fattispecie, si atterrà al
principio di diritto sopra affermato.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiarati
inammissibili il primo e il secondo e assorbiti il quarto e il quinto; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese,
alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.