Gli spostamenti di mansioni devono salvaguardare la professionalità del lavoratore e la mera tolleranza del provvedimento non configura tacita acquiescenza.

Nota a Cass. 3 agosto 2020, n. 16594

Flavia Durval

In tema di assegnazione a mansioni inferiori con tacita acquiescenza del lavoratore, la Corte di Cassazione (3 agosto 2020, n. 16594, conforme ad App. Roma n. 6234/2015) ribadisce due importanti principi.

1) Secondo il primo principio, Il corretto esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro è configurabile quando le nuove mansioni conferite siano aderenti alla specifica competenza tecnico professionale del dipendente e siano tali da salvaguardarne il livello professionale acquisito, in una prospettiva dinamica di valorizzazione della capacità di arricchimento del bagaglio di conoscenze ed esperienze, ed in coerenza coi dettami di cui all’art. 2103 c.c. il cui baricentro è dato proprio dalla protezione della professionalità acquisita dal prestatore di lavoro (così, Cass. SU. n. 25033/2006).

I giudici precisano infatti che:

a) il divieto di demansionamento opera anche quando il dipendente, pur nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, sia adibito di fatto a mansioni sostanzialmente inferiori. Pertanto, per la verifica della equivalenza non è sufficiente il riferimento in astratto al livello di categoria, ma è necessario accertare che i nuovi compiti siano aderenti alla specifica competenza del prestatore in modo tale da salvaguardarne il suo livello professionale, garantendo altresì “lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali, con le conseguenti possibilità di miglioramento professionale, in una prospettiva dinamica di valorizzazione delle capacità di arricchimento del proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze” (v. Cass. SU. n. 25033/2006, cit. e Cass. n.15010/2013);

b) anche qualora il ccnl contempli il reinquadramento in una nuova unica qualifica di lavoratori in precedenza inquadrati in qualifiche distinte (con conseguente parificazione della disciplina contrattuale, normativa ed economica riferita alla nuova qualifica), ciò non implica il sorgere di un rapporto di equivalenza tra tutte le mansioni rientranti nella qualifica (v. Cass. n. 12821/2002).

Come precisa la Corte, la garanzia contenuta nell’art. 2103 c.c. riguarda, infatti, anche le mansioni appartenenti alla medesima qualifica prevista dalla contrattazione collettiva e preclude l’indiscriminata fungibilità di mansioni per il solo fatto dell’accorpamento convenzionale. Ne consegue che il prestatore cui siano attribuite specifiche mansioni non può essere assegnato a compiti nuovi e diversi “che compromettano la professionalità raggiunta, ancorché rientranti nella medesima qualifica contrattuale, dovendo, per contro, procedere ad una ponderata valutazione della professionalità del lavoratore al fine di salvaguardare, in concreto, il livello professionale acquisito e di fornire un’effettiva garanzia dell’accrescimento delle capacità professionali del dipendente (v. Cass. nn. 19037/2015; 1916/2015; 4989/2014).

Sul punto si rileva che, secondo la vigente formulazione, sebbene il lavoratore debba essere assegnato “alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte” (co. 1), sono ammessi mutamenti in peius.  Ed infatti, nell’ipotesi “di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale” (co. 2). E “nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro” (co. 6).

2) Quanto al secondo principio, la Cassazione ribadisce che la tacita acquiescenza si configura soltanto in presenza di una condotta “che appaia inequivocabilmente incompatibile con la volontà del soggetto d’impugnare il provvedimento medesimo”. Non è quindi sufficiente, a tale scopo, “un atteggiamento di mera tolleranza contingente e neppure il compimento di atti resi necessari od opportuni, nell’immediato, dall’esistenza del suddetto provvedimento, in una logica soggettiva di riduzione del pregiudizio, ma che non per questo escludono l’eventuale coesistente intenzione dell’interessato di agire poi per l’eliminazione degli effetti del provvedimento stesso” (v. Cass. S.U. n.12339/2010).

Demansionamento e acquiescenza del lavoratore
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