Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 settembre 2020, n. 18269

Ammissione al passivo del Fallimento, Lavoratore in nero,
Onere di dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato

 

Rilevato che

 

1. A.C., premesso di aver lavorato “in
nero” alle dipendenze della C. srl e di non aver percepito le retribuzioni
dal 2007 al 2015 nonché il TFR, con domanda del 15.3.2017 ha chiesto di essere
ammesso al passivo del Fallimento della società datoriale per la somma di euro
102.972,97;

2. avverso il rigetto della domanda da parte del
giudice delegato, il ricorrente ha proposto opposizione che il Tribunale di
Verona ha respinto con decreto n. 2648 del 14.6.2018;

3. il Tribunale, premesso che grava sull’opponente
l’onere di dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, ha
ritenuto insufficienti a tal fine i documenti prodotti (estratto contro
previdenziale relativo al periodo 17.1.2011 31.7.2012, voucher del 15.4.2015,
lettera raccomandata di messa in mora riferita ad un ulteriore rapporto di
lavoro svolto da gennaio 2013 ad aprile 2015 per un credito di euro 10.000,00)
ed inammissibile la prova testimoniale non articolata in capitoli;

4. avverso tale decreto A.C. ha proposto ricorso per
cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria; il
Fallimento C. spa è rimasto intimato;

5. la proposta del relatore è stata comunicata alle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

 

Considerato che

 

6. con il primo motivo di ricorso A.C. ha dedotto
violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.
ed errata valutazione della documentazione attestante il rapporto di lavoro
subordinato in contestazione tra le parti;

7. premesse le difficoltà probatorie in relazione ad
rapporto di lavoro svolto “in nero”, ha rilevato come il Tribunale
avesse errato nel valutare atomisticamente i documenti prodotti i quali, ove
considerati in modo coordinato e sistematico, avrebbero potuto fornite elementi
presuntivi atti a dimostrare l’esistenza del rapporto di lavoro dipendente; ha
precisato che la lettera di messa in mora non era relativa ad un diverso
rapporto;

8. col secondo motivo il ricorrente ha denunciato la
violazione dell’art. 244 c.p.c. sul rilievo
dell’erronea declaratoria di inammissibilità della prova testimoniale; ha
affermato come la prova testimoniale fosse stata articolata mediante rinvio
alle circostanze indicate nelle premesse del ricorso e che, ove ammessa,
avrebbe permesso di appurare il periodo di lavoro e le mansioni dal medesimo
svolte in regime di subordinazione;

9. col terzo motivo di ricorso è stata denunciata
violazione di legge in relazione al D.M. n.
55/2014 e omessa motivazione per avere il Tribunale liquidato le spese di
lite in misura superiore ai valori medi fissati dal citato decreto
ministeriale, come aggiornato dal D.M. n. 37/18,
in assenza peraltro di qualsiasi motivazione;

10. i primi due motivi di ricorso sono inammissibili
sotto più profili;

11. le censure, sebbene formulate attraverso la
denuncia di violazioni di legge, investono nella sostanza la valutazione, come
operata dal Tribunale, della documentazione in atti; tali censure in quanto
attengono al merito della controversia sono suscettibili di esame in sede di
legittimità nei ristretti limiti del nuovo testo dell’art. 360 n. 5 c.p.c.; al riguardo, secondo
l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza
n. 8053/14) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), rileva l’omesso esame
che deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica,
principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto
azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere
decisivo. Non solo quindi la censura non può investire argomenti o profili
giuridici, ma il riferimento al fatto secondario non implica che possa
denunciarsi, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 5
c.p.c., anche l’omesso esame di determinati elementi probatori. Il ricorso
in oggetto non soddisfa neanche i requisiti del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. in quanto non solo non individua
un fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso ma sollecita nella
sostanza una revisione delle valutazioni e del convincimento del Tribunale tesa
all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, di per sé estranea alla
natura ed ai fini del giudizio di cassazione;

12. quanto alla mancata ammissione delle prove
testimoniali, deve rilevarsi come il ricorrente abbia omesso di trascrivere i
capitoli di prova, elementi necessari a valutare la decisività del mezzo
istruttorio richiesto (cfr. Cass. n. 19138 del 2004; n. 9748 del 2010);

13. il terzo motivo di ricorso è infondato in quanto
il Tribunale ha rispettato, nella liquidazione delle spese di lite, i limiti
tariffari di cui al D.M. n. 55/14, aggiornato
dal D.M. n. 37/18 (cfr. Cass., sez. 6 n. 2386
del 2017);

14. premesso che non ha fondamento normativo il
vincolo del giudice alla determinazione media del compenso professionale ai
sensi del D.M. n. 55/14, essendo unicamente
necessario che il compenso sia liquidato tra il minimo ed il massimo di cui
alle tabelle dei parametri forensi, deve rilevarsi come nel caso di specie,
considerato il valore della presente controversia (euro 102.972,98) compreso
nello scaglione da 52.000,00 a 260.000,00 euro, la liquidazione eseguita dal
Tribunale (euro 6.005,00) si collochi al di sotto dei valori medi del compenso
previsto per i giudizi ordinari e sommari di cognizione dinanzi al Tribunale e
pari ad euro 8.030,00 (di cui euro 2.430,00 per la fase di studio della
controversia, euro 1.550,00 per la fase introduttiva del giudizio ed euro
4.050,00 per la fase decisionale, esclusa la fase istruttoria e/o di
trattazione non svolta);

15. per le ragioni esposte il ricorso deve essere
respinto;

16. non luogo a provvedere sulle spese di lite
atteso che il Fallimento C. srl è rimasto intimato;

17. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13, se dovuto.

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