Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18659

Inail, Prestazioni per i superstiti, Permesso ottenuto per
motivi personali, Sinistro stradale mentre tornava da casa sul luogo di lavoro
– Nesso di causalità tra l’infortunio e l’attività lavorativa

 

Rilevato in fatto

 

che, con sentenza depositata il 13.11.2013, la Corte
d’appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato
la domanda di (…) in proprio e n.q. di legale rappresentante delle figlie
minori (…) e (…), volta ad ottenere le prestazioni per i superstiti quale
vedova e, unitamente alle figlie, erede di (…), deceduto a causa di un
sinistro stradale mentre, al termine di un permesso ottenuto per motivi
personali, tornava da casa sul luogo di lavoro;

che avverso tale pronuncia (…), in proprio e nella
spiegata qualità, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di
censura, poi ulteriormente illustrati con memoria;

che l’INAIL ha resistito con controricorso;

 

Considerato in diritto

 

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 3°, T.U. n.
1124/1965, come modificato dall’art.
12, d.lgs. n. 38/2000, per avere la Corte di merito ritenuto che la
fruizione di un permesso per motivi personali escludesse il nesso di causalità
tra l’infortunio e l’attività lavorativa, ancorché nel caso di specie il
permesso fosse stato richiesto e ottenuto per esigenze familiari; che, con il
secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio, per non avere la Corte territoriale considerato che, nel caso di
specie, l’infortunio si era verificato nel tragitto necessario per ritornare
sul luogo di lavoro;

che i motivi possono essere esaminati
congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte;

che, al riguardo, va ricordato che l’art. 2, comma 3°, T.U. n.
1124/1965, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica
apportata dall’art, 12, d.lgs. n.
38/2000, prevede, per quanto qui rileva, che «salvo il caso di interruzione
o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate,
l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante
il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di
lavoro», precisando che «l’interruzione e la deviazione si intendono
necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze
essenziali  ed improrogabili o
all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti» e che «l’assicurazione opera
anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato»,
mentre «restano […] esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso
di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed
allucinogeni», nonché quelli avvenuti nell’ipotesi che II conducente sia
«sprovvisto della prescritta abilitazione di guida»;

che, interpretando l’anzidetta disposizione, questa
Corte ha avuto modo di chiarire che essa amplia la tutela assicurativa a
qualsiasi infortunio verificatosi lungo il percorso da casa al luogo di lavoro,
escludendo qualsiasi rilevanza all’entità del rischio o alla tipologia della
specifica attività lavorativa cui l’infortunato sia addetto e tutelando
piuttosto il rischio generico (connesso al compimento del c.d. percorso normale
tra abitazione e luogo di lavoro) cui soggiace qualsiasi persona che lavori,
restando per conseguenza confinato il c.d. rischio elettivo a tutto ciò che sia
dovuto piuttosto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed
affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione
diversa da quella legata al c.d. percorso normale, ponendo così in essere una
condotta interattiva di ogni nesso tra lavoro- rischio ed evento (così Cass. n. 7313 del 2016, in motivazione);

che, alla stregua dell’anzidetta interpretazione,
può concludersi nel senso che la sussistenza di un rapporto finalistico tra il
c.d. percorso normale e l’attività lavorativa è sufficiente a garantire la
tutela antinfortunistica;

che, ciò posto, non può condividersi l’affermazione
contenuta nella sentenza impugnata secondo cui la fruizione di un permesso di
lavoro per motivi personali interromperebbe ex se il nesso rispetto
all’attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell’evento
infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro,
atteso che il permesso costituisce una fattispecie di sospensione dell’attività
lavorativa nell’interesse del lavoratore che ontologicamente non è differente
dalle pause o dai riposi, differenziandosi da questi ultimi soltanto per il suo
carattere occasionale ed eventuale a fronte del connotato di periodicità e
prevedibilità che è tipico degli altri, e non potendo logicamente sostenersi
che il lavoratore che si allontani dall’azienda e/o vi faccia ritorno in
relazione alla necessità di fruire del riposo giornaliero non sia tutelato
«durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a
quello di lavoro», giusta la lettera dell’art. 2, comma 3°, T.U. n.
1124/1965, cit.; che contrari argomenti non possono desumersi da Cass. n. 2642 del 2012, cit. nella sentenza
impugnata, atteso che, in tale fattispecie, questa Corte si è limitata a
ritenere immune dal vizio di cui all’art. 360 n. 5
c.p.c. (nel testo precedente alla novella di cui all’art. 54, d.l. n. 83/2012, conv.
con I. n. 134/2012) l’accertamento condotto
nella sentenza colà impugnata circa l’elettività del rischio assunto dal
lavoratore infortunato, senza tuttavia enunciare alcun principio di diritto di
portata precettiva differente da quello successivamente ribadito da Cass. n. 7313 del 2016, cit., secondo cui, a
seguito della modifica dell’art.
2, comma 3°, T.U. n. 1124/1965, la nozione di rischio elettivo rilevante al
fine di escludere l’Indennizzabilità dell’infortunio in itinere va circoscritta
al caso in cui il lavoratore, in base a ragioni o ad impulsi personali, abbia
compiuto una scelta arbitraria che abbia creato e comportato la necessità di
affrontare una situazione diversa da quella inerente al c.d. percorso normale
tra casa e lavoro; che, non essendosi la Corte territoriale attenuta ai
suesposti principi di diritto, la sentenza impugnata va cassata e la causa
rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Venezia, in diversa
composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;

 

P.Q.M.

 

accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che
provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 settembre 2020, n. 18659
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