Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 settembre 2020, n. 18662

Stato di malattia, Presentazione di domanda di pensione,
Apertura della prima finestra utile, lllegittimità del licenziamento

 

Fatti di causa

 

P.C. adiva il Tribunale di Roma ed esponeva di aver
ricevuto nel dicembre 2010 una missiva della propria datrice di lavoro s.p.a.
B.C., con la quale si comunicava la sua collocazione a riposo, a far tempo
dall’1/4/2011, avendo egli compiuto il 65° anno di età il 12/3/2011; riferiva
che la società, nonostante egli versasse in stato di malattia dal 23/3/2011,
dal successivo 1° aprile cessava di corrispondergli la retribuzione; precisava
quindi, di aver presentato all’Inps domanda di pensione in data 30/8/2011 che
gli era stata respinta, in quanto, pur avendo maturato i requisiti contributivi
e dell’età richiesti dalla normativa in vigore, la prima finestra utile per il
diritto alla pensione di vecchiaia si sarebbe aperta il 174/2012.

Sulla scorta di tali premesse, conveniva in giudizio
l’istituto di credito chiedendo dichiararsi l’illegittimità del licenziamento,
accertarsi il diritto a proseguire il rapporto sino all11/4/2012 e condannarsi
la società al pagamento del trattamento retributivo spettante dall’1/4/2011.

Ritualmente instaurato il contraddittorio con la
parte convenuta, il giudice in parziale accoglimento del ricorso, condannava la
B.C. alla corresponsione di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, ai sensi dell’art.52 c.c.n.I.
di settore, alla cui stregua il lavoratore ha diritto alla conservazione del
posto di lavoro, in caso di malattia, per un periodo massimo di sei mesi.

Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla
Corte distrettuale, che con sentenza resa pubblica il 16/1/2018 condannava la
B.C. alla corresponsione del trattamento retributivo e contributivo
dall’1/4/2011 al 30/9/2011 incluse le mensilità aggiuntive ed il tfr.

Nel pervenire a tale convincimento, la Corte
distrettuale osservava che, ai sensi dell’art.71 c.c.n.I. di settore, la
risoluzione del rapporto di lavoro poteva essere disposta dalla parte datoriale
nei confronti del lavoratore uitrasessantacinquenne in possesso dei requisiti
pensionistici, non essendo necessario che fosse “in concreto, ammesso a
pensione”.

Precisava al riguardo che il C. aveva già raggiunto
nel 2010 i requisiti di età/contribuzione previsti per quell’anno dalla Tab. B all. art. 1 punto 2°) della
legge n.247/2007 per la pensione di anzianità, perfezionando quelli
relativi alla pensione di vecchiaia, il 12/3/2011, giorno del compimento del
65° anno di età. Deduceva al riguardo – richiamando in particolare, il tenore
della circolare Inps n.5702 del 6/3/2008 – che
se il ricorrente avesse presentato domanda amministrativa di pensione di
vecchiaia nel marzo 2011, avrebbe potuto conseguire l’accoglimento della
domanda dal 1/4/2011, perché aveva già avuto, anteriormente all’1/4/2011,
l’apertura della c.d. “finestra” per la pensione di anzianità.

Infatti, con la summenzionata circolare, l’Inps
aveva chiarito che, nel caso in cui il lavoratore il quale aveva conseguito il
diritto alla pensione di anzianità e per il quale si era aperta la relativa
finestra di accesso, avesse presentato domanda dopo aver raggiunto l’età per la
pensione di vecchiaia, non dovevano applicarsi le finestre di accesso per tale
trattamento pensionistico, sicché l’interessato poteva essere collocato in
pensione sin dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della
domanda, previa cessazione del rapporto di lavoro dipendente.

Nello specifico la finestra per usufruire della
pensione di anzianità si era aperta per il C., il 1°/1/2011 sicché, se avesse
presentato domanda amministrativa nel marzo dello stesso anno, avrebbe potuto
conseguire il trattamento pensionistico al raggiungimento del
sessantacinquesimo anno di età; avendo, tuttavia, avanzato l’istanza il
30/8/2011, avrebbe dovuto attendere l’apertura della “finestra” di dodici
mesi per la erogazione della pensione di vecchiaia.

La Corte di merito, riformava parzialmente la
sentenza di primo grado in punto di quantum, accertando la natura retributiva e
non risarcitoria degli emolumenti riconosciuti in favore del lavoratore in
relazione al periodo di malattia ed emanando il consequenziale provvedimento di
condanna al pagamento delle maggiorazioni spettanti e del t.f.r..

Avverso tale decisione P.C. interpone ricorso per
cassazione sostenuto da due motivi. Resiste con controricorso la società
intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex
art.378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si deduce violazione o falsa
applicazione dell’art. 1 n. 5
lett. b l. 247 del 24/12/2007, dell’art. 12 commi 1 e 2 d.l. n. 78 del
31/5/2010 e dell’art. 71
lett. B c.c.n.I. quadri direttivi dipendenti dalle imprese creditizie 2007.

Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la
Corte di merito in ordine alla delibata questione, sul rilievo che il messaggio Inps n.5702/2008 aveva rappresentato
una deroga ad una norma di legge (art.
1 n.5 lett. b l. 247 del 24/12/2007), che l’Inps aveva assunto in via
amministrativa, ma che certamente non poteva incidere su norme di livello
legislativo.

Si osserva inoltre che, anche ratione temporis, le
disposizioni applicate dalla Corte capitolina non si attagliavano alla
fattispecie, regolata dal d.l. 31/5/2010 n.78.
Tale decreto, all’art.12 c. 1
e 2, modificando il predetto regime, aveva stabilito – senza possibilità di
deroga e con effetto dal 1/1/2011 – che coloro per i quali sono liquidate le
pensioni a carico della previdenza per i lavoratori dipendenti, conseguono il
diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico, trascorsi dodici mesi
dalla data di maturazione dei previsti requisiti.

Quale corollario dei principi esposti, doveva
ritenersi che, maturati i requisiti propri del trattamento pensionistico di
vecchiaia al 12/3/2011, il diritto alla fruizione del relativo trattamento
pensionistico sarebbe sorto trascorsi dodici mesi da tale data, quindi in data
1/4/2012, così come comunicato dall’Inps con missiva del 14/9/2011.

Il ricorrente prospetta altresì la violazione dell’art.71 lett. B. c.c.n.I. di
settore (secondo cui la risoluzione del rapporto può avvenire per il : orato re
ultrasessantenne che sia in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che
non abbia optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro) sul rilievo che
alla data dell’1/4/2011 egli non era in possesso dei requisiti pensionistici
che comprendevano anche la “finestra”, la quale si sarebbe aperta
solo il 174/2012.

2. Il secondo motivo prospetta omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti
ex art.360 comma primo n.5 c.p.c.

Ci si duole che la Corte di merito non abbia tenuto
conto del provvedimento di reiezione della domanda di pensione da parte
dell’Inps in data 14/9/2011 con la quale, pur avendo il ricorrente maturato i
requisiti contributivi e dell’età richiesti dalla normativa vigente, la prima
finestra utile per il diritto alla pensione di vecchiaia sarebbe stato, il
174/2012.

3. Il primo motivo è fondato e meritevole di
accoglimento entro i termini che si vanno ad esporre.

Per un corretto inquadramento della questione
delibata, occorre muovere dalla considerazione che, secondo l’art.4, c. 2, I. n. 108 del 1990,
“Le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, come modificato dall’articolo 1 della presente
legge, e dell’articolo 2
non si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessaritenni, in
possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la
prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’articolo 6 del decreto legge 22
dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54. Sono fatte salve le
disposizioni dell’articolo 3 della presente legge e dell’articolo 9 della legge 15 luglio
1966, n. 604”.

Pur in mancanza dell’esplicito riferimento alla
pensione di vecchiaia, contenuto invece nella precedente disposizione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art.
11, argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun
mutamento ha subito il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto
al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro,
consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum (v. Cass. 20/3/2014 n.6537, avallata anche da Cass. SS.UU. 4/9/2015 n. 17589, Cass. 25/5/2018 n.13181, Cass. 10/1/2019 n.435).

La giurisprudenza di questa Corte, ha altresì
affermato – specificamente in materia di pensione di anzianità ma evidentemente
operante anche per la pensione di vecchiaia – il principio alla cui stregua la
decorrenza della pensione di anzianità in base alle regole delle
“finestre” indicate dalla L. 8 agosto 1995, n.335, art. 1
comma 29, e dalla L. 27 dicembre
1997, n. 449, art. 59, commi 6 e 8, rappresenta un elemento costitutivo
dello stesso diritto a pensione, il quale, pertanto, si perfeziona soltanto nel
momento in cui matura la data di decorrenza fissata dalla legge, essendo quindi
irrilevante, per l’insorgenza di siffatto diritto, che l’assicurato abbia,
prima del predetto momento, conseguito il prescritto requisito contributivo e
presentato domanda di pensione (cfr. Cass. 9/9/2008 n.23094, Cass. 24/9/2010 n.
20235, Cass. 26/6/2017 n. 15879).

In detta prospettiva, il momento di perfezionamento
di taie diritto diventa i! momento in cui questo tempo è decorso: momento che
va identificato nella data di apertura della “finestra” indicata caso
per caso dalla legge; e questa volontà normativa ha fondamento nella stessa
natura del tempo, quale ulteriore integrazione dell’età anagrafica (Cass. n.
23094 del 2008 cit.; cfr. pure Cass. n. 13626 del
2005, n. 18041 del 2007).

Sulla scia dei ricordati e condivisi insegnamenti, è
stato quindi affermato che la possibilità del recesso ad nutum, con sottrazione
del datore di -oro all’applicabilità de! regime dell’art. 18 I. n.300 del 1970, è
condizionata non dalla mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi
idonei per la pensione di vecchiaia, bensì dal momento in cui la prestazione
previdenziale è giuridicamente conseguibile dall’interessato di guisa che il
licenziamento intimato precedentemente non è sottratto all’applicazione dell’art.18 pro tempore vigente
(cfr. Cass. 25/5/2018 n.13181).

I descritti approdi ai quali è pervenuta questa
Corte di legittimità, rinvengono ulteriore conforto nella linea tracciata dai
Giudici delle leggi i quali hanno ritenuto compatibile con la Costituzione la previsione
del recesso ad nutum, sul principale rilievo secondo cui “in una società
come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione,
l’assenza di una piena tutela del diritto al lavoro (per difetto di garanzie di
stabilità del posto) per i lavoratori che abbiano già conseguito la pensione di
vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di
tale trattamento previdenziale” (vedi, per tutte: Corte cost. sentenze n.
15 del 1983; n. 309 del 1992; n. 225 del 1994; n.
174 del 1971; n. 45 del 1965, nonché Cass.
26/5/2004, n. 10179), per cui il licenziamento ad nutum è ammissibile in quanto
si “goda” del trattamento pensionistico di vecchiaia e non è
sufficiente che si sia in attesa di esso, seppure la fruizione sia
procrastinata di soli 12 mesi (vedi in motivazione Cass.
cit. n. 13181/2018).

Alla luce delle sinora esposte argomentazioni, deve
ritenersi che la pronuncia impugnata nel pervenire alla reiezione delle censure
spiegate dall’appellante in via principale – facendo leva sul tenore del messaggio Inps n.5702 del 6/3/2008 – non si sia
conformata a diritto, affermando che il ricorrente aveva sin dal 12/3/2011
maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia (contributi, età, finestra,
idoneità della domanda ad essere accolta se presentata) e che avrebbe potuto
fruire della pensione di vecchiaia dall’1/4/2011 se avesse proposto la domanda
prima del 30/3/2011.

La Corte distrettuale ha infatti, argomentato che
“al marzo del 2011 la necessità di apertura della “finestra” di
12 mesi non era richiesta per la erogazione della pensione di vecchiaia
all’appellante, in quanto questi aveva già avuto, anteriormente al 1°aprile
2011, l’apertura della “finestra” per la pensione di anzianità”.

L’assunto, che trae fondamento dalla circolare Inps n.5702 del 6/3/2008, non tiene
conto dei principi regolatori della materia, definiti invece, dall’art.12 d.l. 31/5/2010 n.78
convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio
2010 n. 122 – vigente all’atto del licenziamento – secondo cui il diritto
al trattamento pensionistico di vecchiaia decorre, per i lavoratori dipendenti,
trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti
(1/4/2011), in tal senso prospettandosi priva di rilievo la circostanza
rimarcata dai giudici dei gravame, secondo cui anteriormente al 1° aprile 2011
si era verificata l’apertura della “finestra” per la pensione di
anzianità (dato eterogeneo rispetto a quello richiesto ex lege).

Conclusivamente, alla stregua delle sinora esposte
argomentazioni, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo,
successivo in ordine logico, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio
alla Corte designata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e
provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il
secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia,
anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in
diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 settembre 2020, n. 18662
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