Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 10 settembre 2020

L’Emersione dei rapporti di lavoro irregolare prevista dall’articolo 103 del d.l. n. 34/2020

 

Profili penali

 

1. LA RATIO DELLA NORMA

 

Il decreto legge 19
maggio 2020, n. 34 – adottato, tra l’altro, per dare “sostegno al lavoro e
all’economia” – contiene la norma ex articolo 103 (la cui rubrica
recita “Emersione dei rapporti di lavoro”), in forza del quale i datori di
lavoro “possono presentare istanza per concludere un contratto di lavoro
subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale ovvero
per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in
corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri” (comma 1).

Tra le due ipotesi previste, quella che offre
maggiori spunti di riflessione sul piano penale è la seconda, la quale è
diretta a “dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare
tuttora in corso”, e rappresenta, peraltro, l’obiettivo principale che il
Governo ha inteso perseguire con la norma di cui all’articolo 103. Non a caso,
infatti, nella rubrica del precetto in esame si fa riferimento soltanto
all’ipotesi della “emersione dei rapporti di lavoro” e non anche alla
“conclusione di un (nuovo) contratto di lavoro”, nonostante che l’articolo in
commento contempli entrambe le ipotesi. Sembra, pertanto, potersi dedurre – già
dalla rubrica della norma de qua – che l’intenzione del Governo è stata quella
di privilegiare la “emersione” e, dunque, la “regolarizzazione” dei rapporti di
lavoro già in essere piuttosto che la conclusione e, dunque, la stipulazione di
nuovi contratti.

In definitiva, con l’articolo 103 il Governo si è
prefisso lo scopo che i lavoratori – soprattutto cittadini stranieri – definiti
“fantasma” acquistino “corporeità”, “si materializzino”, così da poter essere
inseriti in un contesto di garanzie e di legalità che consenta di estendere a
tali lavoratori le tutele salariali e assistenziali previste dalla legge e,
dall’altro, di imporre al datore di lavoro l’obbligo di corrispondere una giusta
retribuzione e di versare i contributi previdenziali. La riprova del “disegno”
governativo è data dalla circostanza che per la prima fattispecie contemplata
dalla norma non è prevista alcuna forma di “sanatoria” del rapporto di lavoro,
in quanto il relativo contratto si instaura, appunto, per la prima volta in
forza della procedura contenuta nell’articolo 103.

In tal caso, infatti, ad essere regolarizzata è,
piuttosto, la posizione personale del lavoratore, il quale – se straniero –
dichiara (rectius “denuncia”) di essere illegalmente presente sul territorio
nazionale in epoca precedente all’8 marzo 2020 (linea di demarcazione temporale
fissata dal comma 1 della norma in esame per delimitare il novero dei cittadini
stranieri che possono godere della disciplina coniata con l’articolo 103). È evidente che,
in questa ipotesi, non sussistendo a monte un rapporto lavorativo irregolare,
non può dirsi essere stato perpetrato dal datore di lavoro alcun illecito di
natura penale, fiscale e contributiva da sanare, mentre al lavoratore, e
soltanto se straniero, può essere addebitato il reato di ingresso e soggiorno
illegale nel territorio dello Stato.

Al contrario, la seconda ipotesi presuppone che il
datore di lavoro (“italiano” o “cittadino di uno Stato membro dell’Unione
europea” ovvero “straniero in possesso del titolo di soggiorno”) abbia
instaurato prima dell’8 marzo 2020 un rapporto di lavoro irregolare (vale a
dire in violazione della normativa in materia di assunzione, di retribuzione,
fiscale e di versamento delle ritenute previdenziali) con un cittadino italiano
o con uno straniero privo del permesso di soggiorno. In tal caso, la norma de
qua prevede che il datore di lavoro presenti una autodenuncia con la quale
confessa di avere fatto svolgere un’attività lavorativa irregolare ad un
cittadino italiano o straniero che abbia fatto ingresso e sia rimasto
illegalmente nel territorio dello Stato. Proprio rispetto a quest’ultima
fattispecie trovano applicazione in misura preponderante le disposizioni
racchiuse nei commi dell’articolo
103 che hanno portata di natura penale, sia sotto il profilo sanzionatorio
sia sotto quello estintivo degli illeciti – penali e amministrativi – commessi
in conseguenza di un rapporto di lavoro irregolare.

 

2. LA SOSPENSIONE DEI PROCEDIMENTI PENALI

 

Il primo importante effetto, sul piano penale, delle
richieste di “conclusione di un contratto di lavoro subordinato” e di
“emersione di rapporto di un rapporto di lavoro irregolare” è quello previsto
nel comma 11 della norma in commento, che consiste nella sospensione “fino alla
conclusione dei procedimenti di cui ai commi 1 e 2” dei “procedimenti penali
(…) nei confronti del datore di lavoro (…) per l’impiego di lavoratori per
i quali è stata presentata la dichiarazione di emersione, anche se di carattere
finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale” e del lavoratore “per
l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale”. Da tale precetto
si evince, in primo luogo, che l’istanza di regolarizzazione di un rapporto di
lavoro in corso produce, quale diretta conseguenza, l’effetto di far affiorare
una pregressa (e ancora in atto al momento della presentazione della richiesta
de qua) violazione da parte del datore di lavoro di norme tributarie,
previdenziali o assistenziali (tra le quali possiamo, ad esempio, citare quella
di omesso versamento delle ritenute previdenziali contenuta nell’articolo 2, comma 1-bis, della legge n. 638/1983)
e da parte del lavoratore della disciplina in materia di ingresso e soggiorno
nel territorio dello Stato, che determinano l’instaurazione di un procedimento
penale a carico di entrambi.

Tuttavia, ai sensi del comma 11, la presentazione
dell’istanza determina, quale ulteriore effetto, la sospensione dei sopra
menzionati procedimenti penali promossi nei confronti sia del datore di lavoro
sia del lavoratore.

In sintesi, la “richiesta di emersione” provoca
nello stesso tempo due conseguenze: l’apertura di un procedimento penale e la
sua contestuale sospensione. Dunque, datore di lavoro e lavoratore sono
iscritti nel registro degli indagati per le violazioni loro rispettivamente
attribuibili, ma i relativi procedimenti sono “sospesi” in attesa che sia
definita la procedura di cui ai commi
1 e 2 del medesimo articolo 103.

 

3. LE ESCLUSIONI “OGGETTIVE” DALLA SOSPENSIONE

 

Nel successivo comma 12 si precisa che la
sospensione del procedimento penale non opera “nei confronti dei datori di
lavoro” per i reati di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso
l’Italia e dell’immigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per
reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo
sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite,
nonché per il reato di cui all’articolo 600 del
codice penale” [lettera a)] e di “intermediazione illecita e sfruttamento
del lavoro ai sensi dell’articolo 603- bis del
codice penale” [lettera b)]. Ciò significa che non vi sarà sospensione del
procedimento penale se dall’istruttoria compiuta nell’ambito delle procedure
previste dai commi 1 e 2 dovesse emergere che i rapporti di lavoro, di cui si
chiede la regolarizzazione, sono in corso con:

1) cittadini stranieri, i quali sono immigrati
clandestinamente grazie all’attività agevolatrice del datore di lavoro;

2) cittadini italiani o stranieri, che, prima di
essere adibiti all’attività lavorativa (di cui ora si chiede la “emersione”)
sono stati reclutati – dal datore di lavoro direttamente oppure da terzi, ma da
lui impiegati – al fine di essere destinati alla prostituzione;

3) cittadini italiani o stranieri ora maggiorenni ma
reclutati da minori direttamente dal datore di lavoro ovvero per mezzo di terzi
per essere impiegati in attività illecite;

4) cittadini italiani o stranieri che sono stati
ridotti o tenuti in schiavitù dal datore di lavoro (articolo 600 del codice
penale);

5) cittadini italiani o stranieri che il datore di
lavoro ha direttamente reclutato ovvero impiegato (avvalendosi di un’attività
organizzata di intermediazione svolta da terzi), “organizzandone l’attività
lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o
intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei
lavoratori” (articolo 603-bis del codice penale).

 

4. LA CESSAZIONE DELLA SOSPENSIONE E L’ARCHIVIAZIONE
DEL PROCEDIMENTO PENALE

 

Il comma
13 dell’articolo 103, al primo periodo, prevede che la sospensione del
procedimento penale (instaurato nei confronti sia del datore di lavoro sia del
lavoratore), disposta ai sensi del comma 11, cessi o quando l’istanza di cui ai
commi 1 e 2 è rigettata o archiviata oppure a causa della “mancata
presentazione delle parti” allo sportello unico per l’immigrazione per la
stipula del contratto di soggiorno, secondo quanto stabilito dal comma 15.

La stessa norma, al secondo periodo, stabilisce,
tuttavia, che il procedimento penale aperto a carico del datore di lavoro venga
“comunque” archiviato (quindi, con un provvedimento emesso dal Giudice per le
indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero) anche nell’ipotesi in
cui il procedimento previsto dai commi 1 e 2 abbia avuto un “esito negativo”,
purché quest’ultimo per cause indipendenti dalla volontà o dal comportamento
del datore medesimo.

Con tale inciso si è voluto non far gravare sul
datore di lavoro “collaborativo” – che, presentando l’istanza, ha confessato la
commissione di reati per i quali è sottoposto a procedimento penale – le
conseguenze dovute al fatto che il lavoratore è risultato non essere in
possesso dei requisiti soggettivi od oggettivi previsti dall’articolo 103 ovvero al
comportamento “inadempiente” del lavoratore, il quale, sebbene convocato, non
si è presentato allo sportello unico per l’immigrazione per la stipula del
contratto di soggiorno.

 

5. L’ESTINZIONE DEI REATI CONTESTATI AL DATORE DI
LAVORO E DI QUELLO DI INGRESSO E SOGGIORNO ILLEGALE ADDEBITATO AL LAVORATORE

 

Il disposto di cui al comma 17 dell’articolo in
esame prevede – a seconda dello status personale del lavoratore – tre diverse
condizioni, al verificarsi delle quali si realizza l’estinzione dei reati per i
quali è stato aperto un procedimento penale. La norma contenuta nel primo
periodo di tale comma stabilisce che, nel caso in cui parte del rapporto di
lavoro da concludere ex novo o da regolarizzare sia un cittadino straniero, i
reati “di carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale” e quello
di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio nazionale” sono estinti in
seguito alla “sottoscrizione del contratto di soggiorno congiuntamente alla
comunicazione obbligatoria di assunzione di cui al comma 15” e al “rilascio del
permesso di soggiorno”. Lo stesso comma 17, al secondo periodo, sancisce che,
nell’ipotesi in cui l’istanza di emersione sia riferita “a lavoratori italiani
o a cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea”, l’estinzione dei reati
di carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale di cui al
comma 11, lettera a) – quindi, di quelli attribuiti al solo datore di lavoro –
è diretta conseguenza della presentazione dell’istanza all’Inps, ai sensi del
comma 5, lettera a). La ragione di tale scelta è da individuare nel fatto che,
in tale caso, essendo il lavoratore un cittadino italiano o di uno Stato membro
dell’Unione europea, non è configurabile a carico di questi il reato di
ingresso e soggiorno illegale nel territorio nazionale. Infine, al terzo
periodo, il comma 17 statuisce che, nell’ipotesi in cui il contratto è da
concludere ovvero il rapporto è in corso con un cittadino straniero (titolare
di un “permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o
convertito in altro titolo di soggiorno”), il quale abbia chiesto un “permesso
di soggiorno temporaneo” allo scopo di partecipare alle procedure suindicate,
l’estinzione dei reati “consegue esclusivamente al rilascio del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro”.

 

6. LA PRESENTAZIONE DI FALSE DICHIARAZIONI O
ATTESTAZIONI E LA CONTRAFFAZIONE, L’ALTERAZIONE E L’UTILIZZAZIONE DI DOCUMENTI

 

Nell’articolo
103 si rinvengono situazioni in cui i soggetti interessati sono tenuti a
presentare (a corredo della istanza di conclusione di un contratto di lavoro
subordinato e di quella per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro
irregolare in corso) dichiarazioni e attestazioni destinate a costituire prova
del possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

In particolare, la normativa contenuta nel comma 1
richiama:

1) la “dichiarazione di presenza, resa ai sensi
della legge 28 maggio 2007, n. 68”;

2) le “attestazioni costituite da documentazioni di
data certa proveniente da organismi pubblici” ritenute idonee a dimostrare la
presenza del cittadino straniero sul territorio nazionale “alla data dell’8
marzo 2020”.

Inoltre, nel comma 2, è previsto che il lavoratore
debba allegare alla richiesta di permesso di soggiorno temporaneo “il contratto
di lavoro subordinato ovvero la documentazione retributiva e previdenziale
comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

Ebbene, il comma 22 contiene una norma che punisce
la condotta di chi “presenta false dichiarazioni o attestazioni ovvero concorre
al fatto nell’ambito delle procedure previste dal presente articolo”. Il
trattamento sanzionatorio per tale comportamento illecito è stato fissato
mediante il rinvio a quello stabilito nell’articolo 76 del testo unico di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,
secondo il quale “chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o
ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del
codice penale e delle leggi speciali in materia. La sanzione ordinariamente
prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà”.

Inoltre, al secondo periodo dello stesso comma, è
punita la condotta del soggetto che presenti o utilizzi documenti contraffatti
o alterati.

In sintesi, la disposizione contenuta nella prima
parte del co. 22 reprime il comportamento di chi produce documenti aventi un
contenuto falso, mentre quella racchiusa nella seconda parte sanziona la
condotta della persona la quale materialmente falsifica il documento allegato
alla istanza.

Con la disposizione in esame sono, pertanto, puniti
sia il falso ideologico sia il falso materiale commessi dal privato (datore di
lavoro e lavoratore), che afferiscono alla documentazione prodotta nell’ambito
delle procedure previste dai commi
1 e 2 dell’articolo 103.

Nel caso in cui tali atti abbiano un contenuto
falso, il soggetto che li presenti ad un ufficio pubblico commette il reato di
“falsità ideologica in atto pubblico” (articolo 483
del codice penale), in quanto tale norma collega l’efficacia probatoria
dell’atto al dovere del dichiarante di affermare il vero (NOTA 1).

Integra, infatti, di conseguenza, “il reato di cui
all’art. 483 la dichiarazione resa dal privato che attesti a un pubblico
ufficiale una situazione obiettiva e concreta in una dichiarazione sostitutiva
di notorietà, la quale è destinata, per espressa disposizione di legge, a
provare la veridicità delle asseverazioni in essa contenute e a essere trasfuse
in un atto pubblico” (NOTA 2).

Ora, non vi è dubbio che le dichiarazioni e le
attestazioni cui si fa riferimento nella norma di cui all’articolo 103 confluiscono in un
atto pubblico che, nel caso di specie, è:

1) il “contratto di soggiorno” stipulato, ai sensi
del comma 15, dinanzi allo “sportello unico per l’immigrazione” dopo che
quest’ultimo ha verificato “l’ammissibilità della dichiarazione di cui al comma
1” e acquisito i pareri della Questura e del competente Ispettorato
territoriale del lavoro;

2) il “permesso di soggiorno” rilasciato in seguito
ad un accertamento della conformità a quanto previsto dalle disposizioni contenute
nell’articolo 103 e dalla
normativa cui esso fa riferimento.

Quindi, nel caso di specie, oggetto di
incriminazione è la formazione da parte del cittadino straniero di una
dichiarazione ideologicamente falsa (la “dichiarazione di presenza”), condotta,
questa, che si consuma nel momento in cui tale dichiarazione viene presentata
al pubblico ufficiale, “poiché a partire da tale momento si realizza il
pericolo di inquinamento della genuinità e correttezza del procedimento
amministrativo che si fonda sull’affidamento della veridicità dei dati
certificati” (NOTA 3).

La condotta delineata nella seconda parte del comma
22 si concretizza, invece, nella “contraffazione o nell’alterazione di
documenti oppure con l’utilizzazione di uno di tali documenti”. Tale ipotesi
integra il reato di “falso materiale commesso dal privato in atto pubblico”,
previsto dall’articolo 482 del codice penale,
fattispecie che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, è
riconducibile al dettato di cui all’articolo 76 del D.P.R.
445/2000, la cui lettera si riferisce non solo – come sopra visto – alla
falsità ideologica, ma anche alla condotta di materiale falsificazione degli
atti (NOTA 4).

 

Note:

(1) Sul punto Cass. Pen., Sez. Un., 15 dicembre 1999, n. 28,
Gabrielli; in senso conforme, ex plurimis Cass. Pen., Sez. V, 26 ottobre 2017,
n. 7857; Cass. Pen., Sez. V, 4 giugno 2015, n. 38215; Cass. Pen., Sez. V, 2
aprile 2014, n. 18279

(2) Cass. Pen., Sez. V, 22 marzo 2019, n. 3707/2020, Ioppolo; v.,
altresì, Cass. Pen., Sez. I, 9 maggio 2006, n. 22888

(3) Cass. Pen., Sez. V, 29 gennaio 2020, n. 7038, Gaudio

(4) Cass. Pen., Sez. V, 16 ottobre 2019, n. 7624/2020, Torrusio

Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 10 settembre 2020
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