In caso di infortunio sul lavoro, l’infortunato deve provare il danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso di causalità tra i due elementi, mentre il datore di lavoro deve provare di avere adottato tutte le misure di protezione dell’integrità psicofisica del lavoratore, imposte dalla legge, dalla comune prudenza e comunque necessarie a salvaguardare la salute del dipendente.

 Nota a Cass. 7 luglio 2020, n. 14082

 Fabio Iacobone

L’imprenditore, in ragione della sua posizione di garante dell’incolumità fisica del lavoratore, deve apprestare tutte le misure atte a salvaguardare chi presta la propria attività lavorativa alle sue dipendenze (art. 2087 c.c.). Più specificamente egli, nell’esercizio dell’impresa, è tenuto ad adottare tutte le cautele necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità dei lavoratori.

Tale principio è poi esplicato dalla normativa speciale in materia di prevenzione e assicurazione degli infortuni sul lavoro ed ha valore integrativo rispetto a tale legislazione in quanto costituisce una norma di chiusura del sistema antinfortunistico.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione (7 luglio 2020, n. 14082, conforme ad App. Milano n. 991/2015), la quale precisa che le misure da adottare vanno distinte tra: “1) quelle tassativamente imposte dalla legge; 2) quelle generiche dettate dalla comune prudenza; 3) quelle ulteriori che in concreto si rendano necessarie”.

In questo ambito, sulla base della giurisprudenza di legittimità ormai consolidata, la disposizione del codice civile non contempla una ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro (v. Cass. n. 26495/2018; Cass. n. 13956/2012, e Cass. n. 6018/2000).

In particolare, la responsabilità dell’imprenditore ex art. 2087 c.c. non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, “sanzionando anche, alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico” (v. Cass. n. 24742/2018).

Inoltre, il datore di lavoro è considerato responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia se ometta di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (Cass. n. 5695/2015 e Cass. n. 27127/2013).

Ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale, grava sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza, oltre che del danno in questione, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro. Diversamente – una volta che il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze – sul datore di lavoro incombe l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno stesso (v. Cass. n. 12808/2018; Cass. n. 14865/2017, in questo sito con nota di A. TAGLIAMONTE, Mansioni incompatibili con la salute del lavoratore e responsabilità datoriale; Cass. n. 2038/2013).

Di conseguenza, il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro (v. Cass. n. 2038/2013).

Nel caso sottoposto alla sua attenzione, la Corte conferma la decisione di merito la quale aveva escluso che la condotta del dipendente avesse assunto quei tratti di esorbitanza configurabili in termini di anomalia imprevedibile idonea ad interrompere il nesso di causalità fra l’ambiente nocivo (peraltro, adeguatamente dimostrato) ed il danno riportato.

Nella fattispecie, il lavoratore era caduto scivolando da una scala a pioli, dalla quale scendeva per compiere un lavoro nel sotterraneo e, secondo i giudici, spettava al datore di lavoro dimostrare che la scala era saldamente ancorata e sicura e che era l’unico mezzo possibile per scendere nel sotterraneo. Ciò, non potendosi accollare al lavoratore l’onere di provare la colpa del datore, dimostrando che la scala era instabile, che i gradini erano scivolosi e che, invece della pericolosa scala a pioli, l’impresa avrebbe potuto adottare altri mezzi sicuri di discesa.

Tutela della salute, obblighi del datore di lavoro e onere della prova
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