Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18952
Rapporto di lavoro, Cessione d’azienda, Scelta dei
lavoratori da assumere, Accordo sindacale, Criterio delle esigenze tecnico
organizzative
Rilevato che
La Corte d’Appello di Torino, in riforma della
pronuncia di prime cure, accoglieva le domande proposte da G.A., L.B. e L.O.
intese a conseguire la condanna della s.r.l. D.L. alla costituzione del
rapporto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni
maturate a far tempo dal 7/12/2012 da liquidarsi in separato giudizio.
Il thema decidendum concerneva la vicenda traslativa
disciplinata dall’art. 47 l.
428/1990, intercorsa fra la s.r.l. A.D. (dichiarata insolvente dal
Tribunale di Torino e posta in amministrazione straordinaria ai sensi del d.
Igs. n.270/2009) e la s.r.l. D.L., alla cui stregua in sede di accordo
sindacale, era stata prevista l’assunzione da parte di quest’ultima società, di
49 lavoratori provenienti dalla cessata A.D., alle dipendenze della quale i
predetti ricorrenti avevano svolto attività di lavoro subordinato.
La Corte di merito condivideva la tesi accreditata
dai lavoratori, osservando che nello specifico l’accordo sindacale prevedeva
l’obbligo per la cessionaria di assumere 49 lavoratori, dei quali due terzi
sarebbero stati scelti in ragione dei criteri adottati dal legislatore nella l. 223/91 (anzianità, carichi di famiglia,
esigenze tecnico-organizzative) ed un terzo tenendo prioritariamente conto
delle esigenze tecnico organizzative della società.
Osservava la Corte come, pur essendo “vero che
per il criterio delle esigenze tecnico organizzative era stato lasciato
all’azienda un margine di discrezionalità, tale discrezionalità, peraltro,
doveva avere ad oggetto, necessariamente, le modalità di attribuzione del
punteggio e non già direttamente la scelta dei lavoratori da assumere”. In
altre parole la società non avrebbe potuto scegliere di assumere un lavoratore
piuttosto che un altro “in base a criteri non oggettivi, non dichiarati e
non verificabili, giacché qualsiasi criterio di scelta, per essere davvero
tale, deve essere basato su elementi oggettivi e verificabili in modo da
consentire la formazione di una graduatoria e da essere controllabile in fase
applicativa”.
La Corte concludeva, quindi, che la società D.L. non
aveva dimostrato di aver rispettato i criteri di scelta previsti dall’accordo
sindacale del 26/11/2012 e le ragioni e modalità in base alle quali erano stati
attribuiti i punteggi in relazione alle esigenze tecnico-organizzative.
Avverso tale decisione la società interpone ricorso
per cassazione affidato a due motivi. E’ stata quindi, depositata memoria, alla
quale sono state allegate copie dei verbali di conciliazione sottoscritti
innanzi alla Corte d’Appello di Torino, dalla società, L.O. e L.B. ed alla cui
stregua è stato chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere.
Resistono le parti intimate con controricorso
illustrato da memoria ex art.380 bis c.p.c.
Considerato che
1. In relazione alla posizione delle
controricorrenti L.O. e L.B., deve darsi atto che dai verbali di conciliazione
sottoscritti in data 21 marzo 2018 innanzi alla Corte d’Appello di Torino,
prodotti in copia, risulta che le parti hanno raggiunto un generale accordo
transattivo concernente la controversia de qua, riferito ad ogni e qualsiasi
diritto del ricorrente comunque attinente ai fatti dedotti nel presente
ricorso, che si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del
contendere nel presente giudizio di cassazione, così come richiesto.
Si provvede, pertanto, in conformità.
In considerazione dell’accordo complessivo
intervenuto, le spese del presente giudizio possono essere compensate fra le
parti.
2. Con riferimento al ricorso proposto nei confronti
di G.A., la ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 47 l.
428/1990 e della l. 223/1991 in relazione
all’art.360 comma primo n.3 c.p.c..
Deduce che in base all’accordo sindacale del
26/11/2012, non era stato previsto alcun obbligo in capo all’azienda, di
specificare i criteri oggettivi in base ai quali procedere alla assunzione dei
lavoratori, bensì era contemplata l’espressa autorizzazione ad utilizzare la
discrezionalità aziendale per realizzare lo scopo primario dell’art.47 l. 428/1990, che è
ispirato alla esigenza di preminente tutela dell’interesse collettivo alla
salvaguardia dei livelli di massima occupazione.
Ribadisce la società che il motivo/in base al quale
la disposizione citata stabilisce la derogabilità dell’art.2112 c.c. ed una parziale delega in bianco
all’accordo collettivo sottoscritto fra la cessionaria e le organizzazioni
sindacali, va rinvenuta nella prevalenza dell’interesse pubblico al
mantenimento dell’occupazione per aziende in conclamata crisi economica,
rispetto all’interesse individuale del lavoratore alla tutela del posto di
lavoro, cui risponde l’esclusiva applicazione dell’art.2112
c.c.
Nell’ottica descritta la ratio legis era da
individuare nel riconoscimento di un’ampia discrezionalità al nuovo datore di
lavoro nella selezione delle risorse da assorbire, ed in tal senso la pronuncia
impugnata non era da ritenersi conforme a diritto, in quanto restringeva
inammissibilmente la discrezionalità conferita alla parte datoriale nella
selezione del personale da assumere “ex novo”, in deroga a quanto
dettato dall’art. 2112 c.c., vulnerando proprio
l’esigenza di garantire la continuazione della attività di un’azienda in crisi
cui è ispirato il compendio normativo scrutinato.
3. La censura non è condivisibile.
S’impone innanzitutto l’evidenza del difetto di
specificità della critica che non si conforma ai principi affermati da questa
Corte secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di
inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c.,
nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non
possono essere ricavati da altri atti, dovendo il ricorrente specificare il
contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i
fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto
o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente
nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia
stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso,
nel rispetto del principio di autosufficienza (vedi, ex aliis, Cass. 13/11/2018
n. 29093).
La ricorrente omette infatti di riprodurre il tenore
dell’accordo sindacale 26/11/2012 neanche in sintesi significativa – avendo
trascritto solo il /s penultimo capoverso del punto 4 dell’Accordo in
questione, recante riferimento all’identificazione delle risorse strettamente
necessarie allo svolgimento delle attività previste dal piano industriale –
così esponendo la censura allo stigma della inammissibilità per genericità.
4. Siffatta doglianza va comunque disattesa, ove si
ponga richiamo alla funzione del giudizio di legittimità, limitata, per accordi
del tipo in esame, alla verifica dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici
secondo le censure proposte dal ricorrente.
In ragione della sua efficacia limitata (diversa da
quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di
esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come modificato
dal d.lgs. n. 40 del 2006), è infatti riservata
al giudice di merito l’interpretazione dell’accordo aziendale, ed essa non è
censurabile in cassazione se non per vizio denunciabile ex art.360 n.5 o per violazione di canoni ermeneutici
(ex plurimis, vedi Cass. 4/2/2010 n.2625).
Nella specie la critica mossa all’interpretazione
dell’accordo sindacale, per come articolata, palesa la sua genericità in
quanto, difettando la allegazione, con riferimento alla violazione dei canoni interpretativi,
del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è
discostato, si sostanzia nella mera allegazione di una diversa (e più
favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, non
consentita nella presente sede di legittimità.
5. Al riguardo, non può tralasciarsi di considerare
che, in ogni caso, la Corte di merito nel proprio incedere argomentativo, è
pervenuta a corretti approdi in tema di interpretazione dell’accordo sindacale
stipulato il 26/11/2012, ex art.47
l. 428/1990, in coerenza coi canoni ermeneutici indicati dagli art. 1362 e seguenti cod. civ..
Detto accordo contemplava l’assunzione di 49
dipendenti da parte della società ricorrente alla stregua dei seguenti criteri
di scelta: per due terzi, in ragione dei criteri ex lege
n.223/91, quindi in base alla anzianità aziendale (1 punto ogni 7 anni),
carichi di famiglia (1 punto per ogni familiare fiscalmente a carico), esigenze
tecnico organizzative (da 0 a 5 punti); per un terzo, in base alle esigenze
tecnico organizzative della società.
Ha osservato, tuttavia, il giudice del gravame, che
la carenza di fondo della condotta assunta da parte datoriale nell’ambito della
procedura di selezione del personale da assumere, risiedeva nella mancata
indicazione delle ragioni e delle modalità di assegnazione dei punteggi
relativi alle esigenze tecnico-organizzative, idonee a dimostrare le ragioni in
base alle quali all’A. fossero stati preferiti altri dipendenti.
E’ stato, infatti, congruamente rimarcato che
nessuna deduzione era stata formulata dalla società con riferimento alla
posizione del predetto lavoratore al fine di giustificare il punteggio assegnato
facendo richiamo a circostanze fattuali quali le mansioni svolte, le competenze
specifiche, le attitudini dimostrate anche con riferimento ai dipendenti
collocati in graduatoria in posizione poziore.
In tale prospettiva, si è condivisibilmente sostenuto
che la discrezionalità riservata alla società nella scelta del personale da
assumersi in base agli accordi sindacali, non poteva sconfinare – così come
verificatosi nella specie – in un territorio di puro arbitrio, mediante
l’indicazione di un criterio generico e non verificabile oggettivamente, onde
consentire la formazione di una graduatoria del personale ed un adeguato
controllo in fase applicativa.
In tal senso la Corte di merito, in conformità al
criterio di correttezza e buona fede che governa l’ermeneutica contrattuale ex art. 1366 c.c. e della ragionevolezza, procedendo
ad un ponderato bilanciamento degli interessi delle parti, ha espletato
l’esegesi delle disposizioni dell’accordo collettivo in esame – concordato fra
le parti sociali allo scopo di assicurare il mantenimento, anche parziale,
dell’occupazione in presenza di situazione di crisi economica – valorizzando
altresì nel descritto contesto, l’interesse del lavoratore allo svolgimento del
procedimento di selezione del personale da assumere alle dipendenze della
società D.L., in base a criteri oggettivi e verificabili concretamente.
All’esito del procedimento ermeneutico descritto, è
pervenuta alle conclusioni summenzionate con approccio insindacabile nella
presente sede.
6. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa
applicazione dell’art.112 c.p.c. in relazione
all’art.360 comma primo nn.3 e 4 c.p.c..
Ci si duole che la Corte di merito abbia omesso di
pronunciarsi sulla eccezione formulata in via di subordine in sede di memoria
di costituzione in grado di appello, relativa alla insussistenza di un diritto
perfetto alla assunzione in capo ai lavoratori pretermessi, in caso di
violazione dei criteri stabiliti contrattualmente, fonte esclusivamente, di un
diritto al risarcimento del danno, posto che l’accordo sindacale non conteneva
neanche “gli elementi minimi del futuro rapporto di lavoro, quali
l’inquadramento, la mansione e la retribuzione”.
7. Il motivo presenta profili di inammissibilità.
Ed invero, il vizio di omessa pronuncia su una
domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di
corrispondenza tra chiesto-pronunciato ex art. 112
c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un
capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti
diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che
garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che
abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale
deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (ex plurimis, vedi
Cass. 27/11/2017 n.28308).
Nello specifico, non può sottacersi – alla stregua
della riproduzione di un mero stralcio della memoria di costituzione in appello
recata nel presente ricorso – che non risulta spiegata, ritualmente ed
inequivocabilmente, alcuna eccezione autonomamente apprezzabile secondo i
principi innanzi enunciati, intesa ad escludere l’esistenza della previsione,
in sede di accordo sindacale, di un diritto dei lavoratori alla assunzione
presso la società ricorrente; il mero riferimento al mancato chiarimento da
parte appellante, del titolo in base al quale “spetterebbe loro quel
diritto e perché spetterebbe loro l’assunzione”, si atteggi avermi ni di
mera difesa ed è inidonea, pertanto, a configurare il denunciato vizio.
Conclusivamente, alla luce delle superiori
argomentazioni, il ricorso proposto nei confronti di G.A., è respinto.
La regolazione delle spese inerenti al presente
giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo
liquidata.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co 17 L. 228/2012 (che ha
aggiunto il comma 1 quater all’art.
13 DPR 115/2002) – della sussistenza dei presupposti processuali per ¡I
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis
dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara cessata la materia del contendere fra D.L.
s.r.l., L.B. e L.O. e compensa fra le parti le spese del presente giudizio.
Rigetta il ricorso proposto nei confronti di G.A.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per
compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso articolo
13.