Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 settembre 2020, n. 19059
Diritto all’inquadramento superiore, Pagamento delle relative
differenze retributive, Requisiti di vantaggio del terzo e di interesse dello
stipulante, Specifico obbligo assunto dal datore di lavoro con il committente
– Clausola di contratto, in favore del lavoratore medesimo quale terzo, ad esso
estraneo
Fatti di causa
Con sentenza 27 marzo 2017, la Corte d’appello di
Napoli, in accoglimento dell’appello proposto da A. (Arte Lavoro e Servizi)
s.p.a., rigettava le domande di G.A., G.V. e A.C. di accertamento del loro
diritto all’inquadramento nel quarto livello del CCNL del commercio, anziché
nel quinto loro attribuito e di condanna della società al pagamento in loro
favore delle relative differenze retributive: così riformando la sentenza di
primo grado, che le aveva invece accolte.
La Corte territoriale escludeva l’esistenza di uno
specifico obbligo a ciò della datrice A. s.p.a., originato dal contratto di
appalto di servizi concluso con la Soprintendenza archeologica di Pompei, tale
da influenzare il contratto di lavoro subordinato tra le parti, alla stregua di
contratto in favore del terzo lavoratore rimasto ad esso estraneo, a norma
dell’art. 1411 c.c., in assenza dei requisiti
di “vantaggio per il terzo”, in difetto di un’inequivoca volontà di
tale attribuzione al lavoratore e così pure di “interesse dello
stipulante” (la Sopraintendenza) alla pattuizione in favore del terzo, non
individuabile in quello pubblico generale alla fruizione di una prestazione
lavorativa di un certo livello qualitativo.
Sicché, dall’esame delle mansioni di giardiniere di
fatto svolte dai lavoratori, non eccedenti quelle di una normale attività di
manutenzione e ripulitura di giardini (prive delle “specifiche competenze
tecniche e particolari capacità tecnicopratiche” previste per il IV
livello), doveva ritenersi corretta la qualifica riconosciuta del V livello
sulla base degli accordi collettivi applicati (Accordo del 5 novembre 2003 e
Accordo Nazionale Aziendale del 28 marzo 2008).
Con atto notificato il 27 settembre 2017, G.A.
ricorreva per cassazione con due motivi, cui resisteva la società con
controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378
c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 1411 c.c.
ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra
le parti, per esclusione dei requisiti di vantaggio del terzo e di interesse
dello stipulante (anche del solo committente, secondo richiamato arresto di
legittimità), invece sussistenti per l’inequivoca volontà di attribuzione ai
lavoratori e per il detto interesse ad una prestazione lavorativa di un più
elevato livello qualitativo, risultante in particolare dall’art. 2 della
Convenzione quadro stipulata con il Ministero, in esecuzione della quale A.
s.p.a. (società partecipata dallo stesso Ministero in misura del 30% e dal
Ministero dell’Economia e del Tesoro per la parte residua) si obbligava a
mettere a disposizione del servizio di manutenzione del verde e dei giardini
del sito “idoneo personale” da formare attraverso appositi corsi, più
specificamente individuato al punto 6 del progetto esecutivo in diciannove
operai comuni/giardinieri di quarto livello del CCNL del commercio relativo ai
servizi e ribadito al punto 9 riguardante i costi per un personale di pari
inquadramento.
2. Esso è infondato.
2.1. Oggetto dell’odierna controversia è l’esistenza
o meno del diritto del lavoratore all’inquadramento nel IV livello del CCNL
(riguardante mansioni relative ad attività comportanti specifiche competenze
tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche), anziché nel V livello
attribuitogli (per mansioni relative a lavori qualificati per la cui esecuzione
siano richieste normali conoscenze e adeguate capacità tecnico-pratiche,
comunque conseguite).
Tale diritto risiederebbe, secondo il ricorrente, in
uno specifico obbligo assunto dalla sua datrice con la Soprintendenza
archeologica di Pompei, in esecuzione della Convenzione quadro stipulata con il
Ministero dei Beni e Attività Culturali, che in particolare all’art. 2 ne
esprimeva l’interesse, in quanto parte stipulante, alla sottoscrizione a carico
di A. s.p.a. (società partecipata dallo stesso Ministero in misura del 30% e
dal Ministero dell’Economia e del Tesoro per la parte residua) con gli utenti
interessati delle modalità inerenti la prestazione dei propri servizi, in esse
comprese le unità dei lavoratori da utilizzare. Sicché, in virtù del contratto
di appalto di servizi stipulato con la Soprintendenza il 15 maggio 2000, e
segnatamente dell’art. 6, essa si obbligava a mettere a disposizione del
servizio di custodia e vigilanza del sito “idoneo personale”
organizzato in squadre e formato attraverso appositi corsi (p.to 6.4),
individuando espressamente la presenza di un caposquadra e di cinque addetti
per il servizio di vigilanza, con inquadramento dal quarto al terzo livello del
CCNL del commercio relativo ai servizi (p.to 5 del progetto esecutivo, allegato
quale parte integrante del contratto di servizio).
Il diritto del lavoratore sarebbe pertanto fondato
sul detto rapporto contrattuale tra la Soprintendenza archeologica di Pompei,
in qualità di parte committente (stipulante) e A. s.p.a., quale appaltatrice
(datrice) promittente, recante una clausola di contratto, in favore del
lavoratore medesimo quale terzo, ad esso estraneo, a norma dell’art. 1411 c.c.
2.2. Giova allora preliminarmente ribadire come il
contratto a favore di terzo sia ritenuto da autorevole dottrina una
sottocategoria del contratto di scambio (necessariamente a due sole parti), per
l’inserzione appunto di un terzo soggetto, estraneo al contratto, che diviene
destinatario, ossia creditore, di una prestazione (così realizzando una delle
ipotesi di deroga al principio generale di efficacia del contratto tra le sole
parti stipulanti, a norma dell’art. 1372 c.c.)
nei confronti della parte promittente. E questa, prima ancora che nei confronti
del terzo, è obbligata nei confronti della parte stipulante, promotrice
dell’obbligazione della promittente, divenendone a titolo diverso creditrice.
È quindi decisivo, per una corretta qualificazione
del rapporto contrattuale trilatero, sottolineare come il promittente resti
obbligato in una duplice direzione: verso lo stipulante ad adempiere verso il
terzo, con la conseguenza che, non adempiendo nei suoi confronti, sia
considerato inadempiente anche verso lo stipulante medesimo; e nei confronti
del terzo, titolare di una prestazione patrimoniale che, a norma dell’art. 1411, secondo comma c.c., è diretta e non il
risultato meramente riflesso (o mediato) della prestazione dovuta dal
promittente allo stipulante. Sicché, il diritto che il terzo acquisisce trae la
propria origine da quello che lo stipulante acquista, in base al contratto,
verso il promittente; tuttavia, sebbene discenda da quello, è un diritto
proprio, per l’assunzione da parte del promittente di un obbligo di prestazione
verso il terzo direttamente e di contenuto autonomo.
Questo spiega perché il beneficio per il terzo debba
essere intenzionale, ossia consapevolmente assunto dalle parti quale oggetto di
un deliberato proposito. Con ciò esso si distingue dalle situazioni nelle quali
un vantaggio per il terzo (per lo più economico) nasca soltanto casualmente, o
indirettamente, quando le parti non si siano prefigurate di giovare al terzo e
di attribuirgli un diritto soggettivo: in tale caso avendo il terzo un mero
interesse a godere del vantaggio e a conservarlo, ma non una pretesa fondata su
un diritto soggettivo.
Ed è insegnamento giurisprudenziale di legittimità
consolidato che, nel contratto a favore di terzo, il diritto di questo sia
autonomo rispetto a quello dello stipulante e possa pertanto essere fatto
valere contro il promittente anche in via diretta, senza necessità di
intervento in giudizio dello stipulante, azionando nei confronti del primo il
diritto alla realizzazione del suo credito (Cass. 18 settembre 2008, n. 23844).
E che, proprio per questa ragione non sia sufficiente, per la configurabilità
di un contratto a favore di terzo, che questi riceva un vantaggio economico
indiretto dal contratto intervenuto tra altri soggetti, ma sia necessario che
questi ultimi abbiano inteso direttamente attribuirglielo, nel senso che i
soggetti stessi, nella qualità di contraenti, abbiano previsto e voluto una
prestazione a favore di un terzo estraneo al contratto, come elemento del
sinallagma (Cass. 4 ottobre 1994, n. 8075; Cass. 19 agosto 1997, n. 7693; Cass.
25 gennaio 2018, n. 1865).
Peraltro, il contratto a favore di terzo può non
esaurire il proprio contenuto nella prestazione in suo favore, ma questa
costituire soltanto una parte (accessoria) di quello, come si verifica appunto
in presenza di una clausola in favore del terzo nell’ambito di un diverso
contratto (di appalto di servizi, come nel caso di specie) tra le parti
stipulante e promittente.
2.3. Ebbene, l’istituto della clausola in favore del
terzo appartiene all’ordinamento lavoristico sub specie di clausola sociale ed
è esplicitamente normata, quale obbligo dei titolari di benefici accordati
dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche (art. 36 I. 300/1970).
Ed infatti, la giurisprudenza tradizionalmente
qualifica la cosiddetta clausola sociale (che prevede l’obbligo per il datore
di lavoro, il quale benefici di agevolazioni economico-finanziarie nei rapporti
con lo Stato e gli enti pubblici, di praticare nei confronti del personale
dipendente condizioni non inferiori a quelle previste dal CCNL di categoria)
alla stregua di clausola a favore di terzo (Cass. 25 luglio 1998, n. 7333),
posto che attribuisce ai lavoratori un autonomo diritto soggettivo, non già
all’applicazione diretta di tutto il contratto collettivo di categoria (essa
non comportando un’estensione dell’efficacia soggettiva del contratto), bensì
al rispetto del trattamento minimo previsto dal suddetto contratto.
Nello stesso senso, si è affermato che la previsione
dell’art. 17 del capitolato generale d’appalto di opere pubbliche, in base alla
quale l’appaltatore assuma l’obbligo di applicare ai lavoratori dipendenti
condizioni normative e retributive non inferiori a quelle stabilite dai
contratti collettivi vigenti, si configura come un contratto a favore del
terzo, che fa sorgere in capo ai lavoratori impiegati nella esecuzione delle
opere appaltate un diritto soggettivo, nei confronti del datore di lavoro,
all’osservanza della contrattazione collettiva e nel quale l’interesse dello
stipulante, richiesto dall’art. 1411, primo comma
c.c., è quello della pubblica amministrazione alla regolare esecuzione dei
lavori, che sarebbe compromessa dalla litigiosità dei lavoratori, motivata da
un loro trattamento meno favorevole di quello stabilito dalla contrattazione
collettiva (Cass. 5 giugno 1981, n. 3640; Cass. 21
dicembre 1991, n. 13834).
E più recentemente si è ritenuto, a riguardo della
clausola del contratto di appalto, in virtù della quale un Consorzio si sia
impegnato nei confronti del committente ad assicurare non solo la prestazione
contrattuale attraverso le cooperative associate, ma si sia specificamente
impegnato ad assicurare al personale dipendente adibito alle attività oggetto
del contratto le condizioni normative e retributive non inferiori a quelle
risultante dai contratti nazionali di lavoro applicabili: tale garanzia non
potendo che riguardare i dipendenti delle consorziate esecutrici dell’appalto;
avendo, infatti, la clausola un contenuto specifico che, precisando l’oggetto
dell’impegno assunto, vale ad obbligare giuridicamente il promittente non solo
ad una influenza verso le consorziate al rispetto degli standards di lavoro, ma
anche ad una responsabilità diretta per il caso che le consorziate non
rispettino le condizioni economiche e normative pattuite. E recando detta clausola
l’impegno in favore del personale comunque adibito alle attività oggetto del
contratto di appalto, in tal modo rendendo irrilevante che detto personale sia
dipendente da soggetti interposti (quali nel caso le cooperative consorziate),
essendo comunque il consorzio (che esegue l’appalto aggiudicatosi per il
tramite delle consorziate e di cui ha percepito il corrispettivo) tenuto alla
garanzia derivante dalla clausola sociale, ove il datore di lavoro non assicuri
il rispetto delle condizioni economiche e normative del contratto collettivo
applicabile al settore (Cass. 8 settembre 2014, n. 18860; nello sesso senso:
Cass. 29 settembre 2015, n. 19299).
2.4. Ebbene, nel caso di specie deve essere ribadito
che A. s.p.a., in esecuzione della Convenzione quadro stipulata con il
Ministero dei Beni e Attività Culturali, si è obbligata nei confronti della
Soprintendenza archeologica di Pompei, con l’art. 6 del contratto di appalto di
servizi stipulato il 15 maggio 2000 a mettere a disposizione diciannove operai
comuni/giardinieri di quarto livello del CCNL del commercio (p.to 6 del
progetto esecutivo).
Ma un tale impegno è il frutto di una pattuizione
tra le due parti diretta a definire lo standard qualitativo del servizio da
realizzare, esigente la presenza di figure professionali adeguate alla
peculiarità dei luoghi, di particolare pregio storico e artistico, attraverso
l’assunzione di dipendenti di livello non inferiore al terzo e quarto livello
del CCNL del commercio relativo ai servizi, anche attraverso una formazione
preventiva dei lavoratori destinati a tale compito.
Non risulta invece che, per ciò solo, A. s.p.a. si
sia con il contratto in parola, oltre che con la Sopraintendenza committente,
al tempo stesso obbligata nei confronti del terzo lavoratore, rendendolo
titolare di una prestazione patrimoniale diretta così da attribuirgli, in base
al contratto, un diritto che egli possa autonomamente azionare nei suoi
confronti di datrice di lavoro promittente, in assenza di un diritto proprio
del lavoratore in tale senso. Né tanto meno è configurabile un vantaggio per il
terzo, che le parti abbiano consapevolmente assunto quale oggetto di un
deliberato proposito: distinto, come detto, da situazioni di vantaggio casuale
o indiretto (foriere di un mero interesse a godere del vantaggio e a
conservarlo), non essendosi le parti proposte di giovare al terzo né di
attribuirgli un diritto soggettivo, su cui fondare una pretesa tutelabile in
giudizio.
2.5. Dalle argomentazioni svolte discende allora il
rigetto del motivo esaminato, sulla base del seguente principio di diritto,
enunciato ai sensi dell’art. 384, primo comma
c.p.c.:
“Qualora, in un contratto di appalto pubblico
di servizi, un’impresa appaltatrice assuma nei confronti dell’amministrazione
committente l’obbligo di fornire e organizzare idoneo personale, debitamente
formato in relazione alle peculiarità del servizio, indicandone anche il
livello di inquadramento, la pattuizione tra le due parti è diretta alla
definizione dello standard qualitativo del servizio esigente la presenza di
figure professionali adeguate. Ma non si configura un vantaggio per il terzo
lavoratore, dipendente della prima, che le parti abbiano consapevolmente
assunto quale oggetto di un deliberato proposito, comportante l’obbligo
dell’impresa, quale promittente, nei confronti dell’amministrazione, quale
stipulante, in favore del terzo, che lo renda titolare di una prestazione
patrimoniale diretta attribuendogli per ciò solo il diritto ad una qualifica
superiore che egli possa autonomamente azionare”.
3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 CCNL Commercio 3 novembre
1994 e 97 CCNL Commercio 14
luglio 2005 ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti, per la previsione dei suddetti accordi di
“specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità
tecnico-pratiche” per l’inquadramento dei lavoratori al IV livello (e non
invece di semplici “conoscenze e adeguate capacità tecnico pratiche”
per l’inquadramento dei lavoratori al V livello), in particolare richieste
dalla “sagomatura di alberelli”, affatto considerata dalla Corte
territoriale, nonostante la sua tempestiva deduzione.
4. Esso è infondato.
5. Non si configura il vizio di violazione di norme
di diritto, cui è parificata sul piano processuale quella di violazione o di
falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro. Anch’essa
comporta, infatti, in sede di legittimità l’interpretazione delle clausole in
base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale, ai sensi degli artt. 1362 ss. c.c., come criterio interpretativo
diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della
congruità della motivazione (Cass. 19 marzo 2014,
n. 6335; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946;
Cass. 12 ottobre 2017, n. 24036; Cass. 28 settembre 2018, n. 23609).
Ed infatti, manca una corretta deduzione del vizio,
consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie
legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) e che postula
che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo
ed indiscusso: con la conseguente estraneità alla denuncia del vizio di
sussunzione di ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale,
esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018,
n. 6035). Perché l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione
della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui
censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di
motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).
5.1. La doglianza attinge, nella sostanza, la
valutazione operata dalla Corte territoriale, nel giudizio relativo
all’attribuzione della qualifica superiore (IV livello) rivendicata dal
lavoratore inquadrato a quello inferiore (V), nell’ambito del cd. criterio
“trifasico”, da cui non si può prescindere nel procedimento logico-giuridico
diretto alla determinazione dell’inquadramento del lavoratore (Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28
aprile 2015, n. 8589; Cass. 27 settembre 2016, n. 18943) e che è di competenza
esclusiva del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove
correttamente e congruamente argomentato (Cass. 7 luglio 2004, n. 12513; Cass. 16 gennaio 2019, n. 6270). Nel caso di
specie, la Corte partenopea ha condotto un accertamento delle mansioni di fatto
svolte dal lavoratore e giustificato (per le ragioni esposte dal terzo al
penultimo capoverso di pg. 4 della sentenza) l’esclusione delle
“specifiche conoscenze tecniche e particolari capacità
tecnico-pratiche” (proprie del IV livello), sulla base della comparazione
delle suddette mansioni con quelle, esigenti semplici “conoscenze e
adeguate capacità tecnico-pratiche”, del V livello, nel quale rientrano le
mansioni dell’addetto alla manutenzione del verde, che nell’enumerazione
contempla anche la “sagomatura” di bordure e siepi.
5.2. Neppure ricorre l’omissione di esame denunciata
di un fatto (“sagomatura di alberelli”), neanche in sé decisivo ai
fini di attribuzione di un livello di inquadramento (IV) superiore a quello
riconosciuto al lavoratore (V)/ tra le cui mansioni è compresa anche la
suindicata “sagomatura”: non soltanto esaminata, ma pure valutata.
6. Dalle superiori argomentazioni discende allora il
rigetto del ricorso e la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza,
nonché il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza
dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20
settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il lavoratore alla
rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in € 200,00 e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per
spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.