Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 17 settembre 2020, n. 369
Obblighi di sostituzione su somme erogate in esecuzione di
sentenza per redditi di lavoro dipendente. Ravvedimento operoso. Articoli 29 d.P.R. n.600 del 1973 e 14 decreto legislativo n. 471 del
1997
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto,
è stato esposto il seguente
Quesito
Con sentenza della Corte di Appello di Roma il
Ministero istante è stato condannato “al pagamento, in favore di …, a
titolo di differenze retributive e indennità di fine rapporto per il periodo di
lavoro dal 21 dicembre 1989 al 30 giugno 1998, la somma complessiva di Euro
187.944,40 oltre rivalutazione ed interessi dalla maturazione dei singoli ratei
sino all’effettivo soddisfo, rimanendo ferma la statuizione di condanna per il
residuo periodo 1° luglio 1998 – 31 marzo 2002, di cui alla sentenza definitiva
.. della C.d.A. di Roma”.
Il Ministero è stato altresì condannato al pagamento
delle spese dei giudizi e di CTU, nonché alla regolarizzazione contributiva in
relazione all’intero periodo di lavoro dedotto in giudizio.
L’Istante, al fine di evitare l’instaurarsi di una
possibile procedura esecutiva, con il conseguente aggravio di spese legali e
accessori, ha dato esecuzione al provvedimento giudiziale, con il versamento di
una prima somma a titolo di acconto sul netto.
Con decreto ministeriale è stata, pertanto,
autorizzata la spesa complessiva di euro 70.000 a favore dell’ex dipendente, a
titolo di acconto sulle somme nette a questi spettanti.
Su richiesta dell’Avvocato di controparte, si è
provveduto a liquidare l’intera somma lorda all’interessato in base al
principio giurisprudenziale ormai consolidato della Cassazione secondo cui
“l’accertamento e la liquidazione del credito spettante al lavoratore per
differenze retributive devono essere effettuati al lordo sia delle ritenute
fiscali, sia di quella parte delle ritenute previdenziali gravanti sul
lavoratore, atteso che la determinazione delle prime attiene non al rapporto
civilistico tra datore e lavoratore, ma a quello tributario tra contribuente ed
erario, e devono essere pagate dal lavoratore soltanto dopo che il lavoratore
abbia effettivamente percepito il pagamento delle differenze retributive
dovutegli” (tra l’altro, Cass. n. 8017 del
2019 e n. 31837 del 2019) .
Successivamente, con il decreto ministeriale,
vistato dall’Ufficio Centrale di Bilancio, è stata autorizzata la spesa complessiva
di euro 117.944,40 a favore dell’ex dipendente, a titolo di saldo sulle somme
“lordo dipendente” a questi spettanti, comprensiva delle ritenute
fiscali e di quelle previdenziali a carico del lavoratore sulla base dei
conteggi effettuati dal CTU.
Ciò posto, si chiede di chiarire in che modo il
riportato principio enucleato dalla Corte di Cassazione sia compatibile con gli
obblighi fiscali gravanti in capo all’ente che eroga il compenso e,
conseguentemente, quale sia la corretta modalità di redazione della
Certificazione Unica 2021, con particolare riferimento all’assenza, nel caso di
specie, delle ritenute fiscali e previdenziali a carico del lavoratore, nonché
quali adempimenti fiscali debbano essere ottemperati dall’Istante.
Soluzione interpretativa
prospettata dal contribuente
L’Istante non prospetta alcuna soluzione
interpretativa.
Parere dell’agenzia delle
entrate
In via preliminare, si osserva che esulano dalla
competenza della scrivente gli aspetti previdenziali relativi alla corresponsione
dei compensi in esame.
Nel merito, si fa presente che gli emolumenti de
quibus si qualificano fiscalmente quali redditi di lavoro dipendente, così come
determinati ai sensi dell’articolo
51 del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917 (Tuir), dal momento che sono erogati in ragione del rapporto
di lavoro intercorrente tra l’ex dipendente e il Ministero istante.
Al riguardo, l’articolo 29, comma 1, del decreto del
Presidente della Repubblica29 settembre 1973, n. 600, dispone, tra l’altro,
che le Amministrazioni dello Stato che corrispondono redditi di lavoro
dipendente di cui all’articolo 51
del Tuir, «devono effettuare all’atto del pagamento una ritenuta diretta in
acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti».
In particolare, l’articolo 2
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, dal
titolo “Riscossione per ritenuta diretta” sancisce che «le imposte
sono pagate per ritenuta diretta nei casi indicati dalla legge e secondo le
modalità previste dalle norme sulla contabilità generale dello Stato».
Inoltre, il successivo comma 4 del citato articolo 29 del d.P.R. n. 600 del 1973
prevede che «Nel caso in cui la ritenuta da operare sui valori di cui ai commi
precedenti non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti
in denaro, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l’importo
corrispondente all’ammontare della ritenuta».
Per quanto concerne la modalità di tassazione, si
osserva che l’articolo 17, comma 1,
lettera b), del Tuir, prevede che l’imposta si applichi separatamente, tra
l’altro, sugli «emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente
riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti
collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti».
Tale modalità di tassazione del reddito di lavoro
dipendente è finalizzata ad evitare che, nei casi di redditi percepiti con
ritardo rispetto alla loro maturazione, avvenuta in periodi d’imposta
precedenti, il sistema della progressività delle aliquote possa determinare un
pregiudizio per il contribuente, con una lesione del principio di capacità
contributiva.
Inoltre, sui redditi in esame gli uffici provvedono
a iscrivere a ruolo le maggiori imposte dovute con le modalità stabilite negli articoli 19 e 21, ovvero facendo
concorrere i redditi stessi alla formazione del reddito complessivo dell’anno
in cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole per il contribuente (articolo 17, comma 3,ultimo periodo,
Tuir).
Ciò considerato, la lettera c) del comma 1 del richiamato
articolo 29 del d.P.R. n.600 del 1973
dispone che le Amministrazioni dello Stato che corrispondono arretrati di cui
all’articolo 17, comma 1,
lettera b), del Tuir, devono effettuare all’atto del pagamento una ritenuta
diretta in acconto dell’IRPEF, con i criteri di cui all’articolo 21, dello stesso Testo unico.
Più precisamente, la ritenuta sarà determinata applicando,
all’ammontare percepito, l’aliquota corrispondente alla metà del reddito
complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui sono
percepiti (articolo 21, comma 1, del
Tuir).
Qualora in uno dei due anni anteriori non vi fosse
stato reddito imponibile, la ritenuta sarà determinata applicando,
all’ammontare percepito, l’aliquota corrispondente alla metà del reddito
complessivo netto dell’altro anno, ovvero se non vi è stato reddito imponibile
in alcuno dei due anni, l’aliquota stabilita all’articolo 11 per il primo scaglione
di reddito (articolo 21, comma 3, del
Tuir).
Il citato articolo
29, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 600 del 1973 precisa, inoltre, che
per reddito complessivo netto è da intendersi l’ammontare globale dei redditi
di lavoro dipendente corrisposti dal sostituto al sostituito nel biennio
precedente, al netto delle deduzioni di cui agli articoli 12 e 13, commi 1 e 2, del
medesimo testo unico.
Considerato che, nella fattispecie in esame, gli
emolumenti spettanti all’ex dipendente sono maturati in annualità antecedenti
quella di corresponsione, nonché erogati in esecuzione di sentenza, si ritiene
che questi siano da qualificarsi arretrati di lavoro dipendente, da
assoggettare a tassazione separata, ai sensi del citato articolo 17, comma 1, lettera b), del
Tuir.
In ragione delle citate disposizioni, nonché della
circostanza che la sentenza della Corte di Appello di Roma, come riportato, nel
definire gli importi complessivamente spettanti all’ex dipendente, nulla
dispone in merito agli obblighi del sostituto d’imposta circa la non
applicazione di ritenute fiscali, la scrivente è dell’avviso che gli emolumenti
in esame debbano essere assoggettati a ritenuta diretta a titolo di acconto
IRPEF ai sensi del citato articolo
29, comma 1, lettera c), del d.P.R. n.600 del 1973, con conseguente
assolvimento da parte del Ministero istante degli obblighi di certificazione
previsti dall’articolo 4 del
decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322.
Per completezza, dai dati presenti in Anagrafe
tributaria si rileva che l’Istante nel 2019 ha erogato all’ex-dipendente la
somma di euro 70.000,00 a titolo di acconto delle somme a quest’ultimo
spettanti in esecuzione della citata sentenza della Corte di Appello di Roma,
rilasciando al medesimo apposita Certificazione Unica (CU/2020).
Dall’esame di tale modello certificativo, si evince
che sulle somme erogate non sono state effettuate le ritenute dirette alla
fonte, così come disposto dai citati articoli
29, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 2 del d.P.R. n. 602 del 1973.
Tale violazione è disciplinata dall’articolo 14 del decreto legislativo
18 dicembre1997, n. 471, dal titolo «Violazioni dell’obbligo di esecuzione
di ritenute alla fonte» laddove è disposto che «Chi non esegue, in tutto o in
parte, le ritenute alla fonte è soggetto alla sanzione amministrativa pari al
venti per cento dell’ammontare non trattenuto».
Al riguardo, si fa presente che l’Istante potrà
assolvere la citata sanzione avvalendosi, nel rispetto delle condizioni
previste, dell’istituto del ravvedimento operoso disciplinato dall’articolo 13 del decreto legislativo
18 dicembre 1997, n. 472, contenente «Disposizioni generali in materia di
sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge
23dicembre 1996, n. 662».
Resta fermo l’obbligo per il Ministero istante di
emissione di una nuova Certificazione Unica per il periodo d’imposta 2019, con
la valorizzazione del campo relativo al “Totale delle ritenute
operate”, nonché l’assolvimento della sanzione prevista dall’articolo 4, comma 6-quinquies, del
decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 laddove è
disposto, tra l’altro, che «Per ogni certificazione omessa, tardiva o errata si
applica la sanzione di cento euro in deroga a quanto previsto dall’articolo 12, del decreto
legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, con un massimo di euro 50.000 per
sostituto di imposta. Nei casi di errata trasmissione della certificazione, la
sanzione non si applica se la trasmissione della corretta certificazione è
effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza indicata nel primo
periodo. Se la certificazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni
dai termini previsti nel primo e nel terzo periodo, la sanzione è ridotta a un
terzo, con un massimo di euro 20.000».