Il discrimen tra le sfere di cognizione del giudice del lavoro e di quello fallimentare va individuato nelle rispettive speciali prerogative: del primo, quale giudice del rapporto e del secondo, quale giudice del concorso. “In definitiva, per quanto riguarda i rapporti di lavoro occorre distinguere fra le azioni promosse dal dipendente all’unico scopo di conseguire la soddisfazione di una pretesa meramente economica, dalle azioni finalizzate ad ottenere una pronuncia di mero accertamento o costitutive (ad es. l’accertamento della nullità o l’annullamento del licenziamento). Ciò in considerazione della particolarità della disciplina lavoristica che è diretta ad una finalità di tutela del lavoro che, per il suo specifico contenuto e per il suo rilievo costituzionale, prevale sulle pur importanti finalità alle quali è diretta la disciplina del fallimento”. Più specificamente, “nel primo caso, viene in rilievo un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno della impresa sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio; mentre nel secondo caso, viene in rilievo la strumentalità dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito” (Così, Cass. 14 luglio 2020, n. 14975).
G. C.