Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 settembre 2020, n. 19611

Licenziamento disciplinare, Prelevamenti indebiti
disconosciuti, Necessaria contestazione dell’addebito, Diritto di difesa del
lavoratore, Documenti non prodotti in precedenza

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza del
17.7.2018, respingeva il gravame proposto dalla Banca N. s.p.a. avverso la
decisione resa all’esito del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 51 I.
92/1992, del Tribunale di Cosenza, che aveva confermato l’ordinanza emessa ai
sensi dell’art. 1, comma 49, della
legge 92/2012, con la quale era stato annullato il licenziamento
disciplinare intimato dalla Banca a F.C. e ne era stata disposta la
reintegrazione nel posto di lavoro.

2. La Corte distrettuale, per quel che ancora rileva
nella presente sede, osservava che le deposizioni rese dai testi escussi nel
corso dell’istruttoria non potevano ritenersi idonee a corroborare
l’attendibilità di quanto dichiarato da J.S., cliente della Banca – che aveva
dichiarato di disconoscere una serie di operazioni di prelevamento effettuate
dal suo conto e riferito che il C. le aveva fatto firmare in più occasioni
moduli in bianco dopo l’estinzione di un libretto di risparmio a lei intestato
e del riversamento delle  somme su un
conto corrente bancario -, avendo i dichiaranti fatto riferimento a circostanze
non oggetto di conoscenza diretta, in quanto apprese dalla stessa S.;
aggiungeva che la disamina delle dichiarazioni rese da quest’ultima dinanzi
alla Corte d’appello aveva confermato i dubbi palesati dal Tribunale circa la
genuinità della ricostruzione della vicenda operata dalla stessa, su cui si
basavano le contestazioni di addebito elevate nei confronti del C..

3. In particolare, la Corte osservava che non era
dato comprendere: per quale motivo alla fine di ottobre 2013, allorchè la S. si
era recata presso la filiale per avere chiarimenti circa i movimenti del
proprio conto – avendo quindi già il sospetto di essere stata raggirata dal C.
– avesse sottoscritto ulteriori moduli in bianco; perché, posto che, come la
cliente sosteneva, i prelievi erano stati effettuati in periodi in cui ella era
fuori sede, non avesse segnalato fin dal primo momento tale circostanza, così
consentendo di effettuare i relativi accertamenti nell’immediatezza dei fatti;
per quale motivo il C. avesse sottoscritto una ricognizione di debito per un
importo inferiore a quello del preteso ammanco dopo che la cliente aveva
scoperto di essere stata raggirata, come sosteneva, dal predetto impiegato
della filiale; perché avesse segnalato solo in sede di reclamo la presenza, nel
giorno di fine ottobre indicato, del proprio compagno, che, a dire della
stessa, l’aveva accompagnata; perché non si fosse preoccupata di segnalare
l’esistenza di una registrazione di una conversazione telefonica intercorsa con
il C., nel corso della quale questi avrebbe ammesso le proprie responsabilità.
Rilevava che tali incongruenze – che si aggiungevano a quelle evincibili dal
verbale della escussione di tale teste – si traducevano in lacune del
procedimento disciplinare ed in carenze della contestazione dell’addebito che
la banca aveva basato unicamente sulla denunzia della cliente, senza procedere
ad alcun vaglio della fondatezza della stessa, come dimostrato dalla
circostanza che solo nel grado di appello erano stati richiesti accertamenti
volti a confermare la genuinità di quanto dalla predetta dichiarato.

4. Al riguardo la Corte affermava che il vaglio
giudiziale doveva riguardare quei fatti e quelle circostanze che parte
datoriale aveva posto a base della contestazione e che la fase giudiziale non
poteva servire, invece, ad integrare lacune dell’iter procedimentale culminato
nel provvedimento espulsivo, in quanto ciò avrebbe comportato la violazione del
diritto di difesa del lavoratore, nonchè del principio di immutabilità della
contestazione.

5. Di tale decisione domanda la cassazione Intesa
Sanpaolo s.p.a. (successore a titolo universale della s.p.a. Banca Nuova),
affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il C..

6. Entrambe le parti hanno depositato memorie
illustrative, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, la s.p.a. Intesa Sanpaolo
contesta la mancata ammissione di mezzi istruttori, con conseguente vizio della
sentenza derivante dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso ai mezzi
istruttori ritualmente richiesti; in particolare, si duole della omessa acquisizione
di documentazione decisiva ripetutamente richiesta, denunziando la violazione e
falsa applicazione degli artt. 112, 115, 210, 421 e 437 c.p.c.,
in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché
nullità della sentenza per violazione dell’art. 116
c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.,
sul rilievo che già con il reclamo aveva dedotto le gravissime carenze
dell’istruttoria svolta dal giudice dell’opposizione.

1.1. In particolare, lamenta la mancata
acquisizione, all’udienza del 5 luglio 2018, della documentazione in possesso
della teste escussa, relativa alla prova della sua assenza nelle date in cui in
filiale erano stati effettuati prelevamenti indebiti disconosciuti,
documentazione relativa a prenotazioni e soggiorno in F., e messaggistica
comprovante i contatti con il C., il mancato ordine di esibizione del cellulare
per eseguire accertamenti tecnici, in contrasto con i principi di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c.

1.2. Assume che, vertendosi in ipotesi di semiplena
probatio, tale situazione avrebbe legittimato il ricorso ai poteri istruttori
anche d’ufficio atti a superare la lacuna istruttoria.

1.3. Evidenzia come nessuna motivazione sia stata
addotta per disattendere le richieste e che la stessa istanza di acquisizione
non poteva considerarsi tardiva, avendo riguardo a documentazione personale
della teste di cui la banca non poteva disporre altrimenti, relativa a copia di
messaggi scambiati su Facebook, copia di estratto conto relativa all’utilizzo
di carta bancomat presso diversi esercizi commerciai in Roma nei giorni dei
prelevamenti dal c/c, copia di fatture emesse dall’Hotel in Roma, prenotazioni
di alberghi, fotografie etc. La prova richiesta era relativa specificamente a
ciascun prelevamento nelle giornate in cui la S. assumeva di essere in grado di
provare la sua assenza da Cosenza, al contenuto di messaggi asseritamente
dimostrativi della appropriazione, da parte del C., delle somme mancanti dal
conto della S. e comprovanti l’attendibilità complessiva e veridicità delle
affermazioni della teste, nonché la colpevolezza del C.. Tale documentazione
era richiamata per la sua ritenuta idoneità a fugare dubbi sulle dichiarazioni
rese dalla teste ed, in quanto tale, decisiva ai fini di causa.

1.4. Aggiunge che anche la richiesta di rinnovazione
della escussione testimoniale non solo della S., ma anche della direttrice T.,
messa dalla prima al corrente dei fatti in prossimità temporale della loro
verificazione, è stata immotivatamente disattesa, benchè la T. avesse
confermato talune circostanze riferite dalla S. (inviti reiterati a
quest’ultima da parte del C., attraverso messaggi, a recarsi in filiale per
apporre alcune firme).

2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta
violazione dei principi in materia di ripartizione degli oneri della prova ed
in materia di prova presuntiva, violazione degli artt.
2727, 2729 e 2697
c.c., adducendo che la Corte non abbia vagliato la rilevanza dei numerosi
indizi, gravi, precisi e concordanti, che comprovavano gli addebiti mossi al
C., quali il disconoscimento della cliente delle operazioni di prelevamento
indebitamente poste in essere dall’impiegato, unitamente ad altri
incontrovertibili elementi di fatto. Richiama, specificamente l’avvenuta
sottoscrizione, da parte dello stesso, a seguito della ricevuta comunicazione
di allontanamento cautelare dal servizio a seguito del reclamo della S., di una
dichiarazione di riconoscimento del debito per € 10.000,00, e la mancanza di
ogni giustificazione della causale e delle ragioni di un simile debito nei
confronti della cliente, del quale era indimostrata la riconducibilità ad un
prestito. Di ciò – secondo la ricorrente – la sentenza d’appello non dava alcun
conto, con evidente violazione della regola di ripartizione dell’onere
probatorio e di mancata valorizzazione di tutti gli indizi, rappresentati dai
documenti di viaggio, prenotazioni alberghiere relative a soggiorni in località
diverse da Cosenza nei giorni dei prelievi dal conto corrente, con evidente
violazione delle norme in materia di presunzioni.

3. Con il terzo motivo, la società bancaria adduce
ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art.
437, comma 2, c.p.c., insussistenza dell’asserita violazione del cd.
divieto di “nova” in appello, per essere i richiesti approfondimenti
necessari e relativi a fatti tempestivamente dedotti anche con riguardo a
precedenti disciplinari del C., ammessi dallo stesso, che non aveva mai neppure
impugnato le conseguenti sanzioni disciplinari irrogate. Assume che sia stato
trascurato anche un ulteriore episodio di richiesta di consegna di danaro
insistentemente avanzata dal C. nella prospettiva di un investimento, nello stesso
periodo cui si riferivano i fatti di causa, a dipendente della ditta del
servizio di pulizia operante presso la Filiale di Cosenza.

4. Il ricorso è infondato, essendo tutte le censure
da disattendere.

5. Con riferimento alle doglianze espresse nel primo
motivo, è sufficiente osservare che la sentenza impugnata, come
condivisibilmente osserva il controricorrente, si fonda sull’insuperabile
rilievo dell’avvenuta violazione dei principi di necessaria contestazione
dell’addebito e del diritto di difesa del lavoratore, essendo stata la Banca
sin dall’inizio del giudizio al corrente di molte circostanze in relazione alle
quali è stata chiesta tardivamente ammissione di prove anche documentali,
sicchè non poteva la stessa tentare irritualmente di colmare le iniziali
ingiustificate lacune istruttorie. Ciò senza considerare che la Corte
distrettuale aveva anche proceduto alla rinnovazione dell’escussione della
teste S., pervenendo al rigetto del gravame per avere la Banca emesso un
provvedimento di licenziamento in assenza di mezzi idonei a provare la
fondatezza delle contestazioni e precludendo al C. l’esercizio del diritto di
difesa.

5.1. Quanto alla produzione documentale, la Corte di
Catanzaro ha acquisito agli atti la copia dell’estratto conto del 30.9.2013,
unica prova documentale di cui risulta essere stata domandata l’acquisizione.
La ricorrente rileva che l’ulteriore documentazione sia pervenuta in possesso
della Banca dopo la sentenza di appello e risulta depositata con il ricorso in
cassazione ed asseritamente notificata alla controparte. Orbene, a prescindere
dalla inammissibilità di produzione documentale in sede di legittimità, al di
fuori di quanto previsto dall’art. 372 c.p.c.,
ed anche dalla parziale inconferenza di documenti comprovanti la permanenza in
Roma della S. nei giorni 27-29 agosto 2013, per essere il prelevamento indebito
di € 2800,00 avvenuto in un giorno successivo e gli altri prelevamenti in date
del tutto diverse – come evidenziato dal controricorrente -, la Banca aveva
evidentemente un onere di approfondire le dichiarazione della S. già in sede di
procedimento disciplinare e di riscontrare utilmente la documentazione di
supporto in epoca antecedente alla tardiva attivazione per la relativa
acquisizione.

5.2. Nel giudizio per cassazione è ammissibile la
produzione di documenti non prodotti in precedenza solo ove attengano alla
nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità processuale del ricorso o
del controricorso, ovvero al maturare di un successivo giudicato, mentre non è
consentita la produzione di documenti nuovi relativi alla fondatezza nel merito
della pretesa, per far valere i quali, se rinvenuti dopo la scadenza dei
termini, la parte che ne assuma la decisività può esperire esclusivamente il
rimedio della revocazione straordinaria ex art.
395, n. 3, c.p.c. (cfr., in tali termini, Cass. 12.7.2018 n. 18464). L’art. 372 c.p.c., in tema di deposito di documenti
nuovi in sede di legittimità, nonostante il testuale riferimento alla sola
inammissibilità del ricorso, consente la produzione di ogni documento incidente
sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo,
inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla
sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la
cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano
l’interesse alla pronuncia sul ricorso purché riconosciuti ed ammessi da tutti
i contendenti (cfr. Cass.29.2.2016
n.3934).

6. Anche le censure articolate nei successivi due
motivi di ricorso, al di là del riferimento in rubrica alle norme evocate, di
cui si assume la violazione, sono tali da sollecitare una diversa
interpretazione delle risultanze probatorie anche là dove si assume la
violazione dei principi in tema di riparto probatorio o di valutazione degli
indizi in tema prova presuntiva (secondo motivo).

6.1. E’ all’uopo sufficiente il richiamo al
principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui “é
incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito
circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e
concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti
di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto
alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.” (cfr. Cass.
18 marzo 2003, n. 3983; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2431; Cass. 4 maggio 2005, n. 9225; Cass. 23 gennaio
2006, n. 1216; Cass. 11 ottobre 2006, n. 21745; Cass. 20 dicembre 2006, n.
27284; Cass. 8 marzo 2007, n. 5332; Cass. 7 luglio 2007, n. 15219), motivazione
ritenuta oggi sindacabile soltanto nei ristretti limiti dell’articolo 5 dell’articolo 360 c.p.c. (cfr. Cass. 17.1.2019 n.
1234). Spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle
presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo
processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con
apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di
legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di
motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può
limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice
di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del
ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata
valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame
di un punto decisivo (cfr. Cass.2.4.2009 n. 8023).

6.2. Così la valutazione della ricognizione di
debito effettuata dal C., ritenuta elemento di contraddittorietà ed
inattendibilità della teste S. per l’importo in essa contenuto, non
corrispondente alla somma dei prelievi effettuati indebitamente, non può essere
censurata nei termini in cui la Banca ne ha criticato la valutazione.

6.3. Peraltro, non va omesso di rilevare, a monte,
come la denunzia dell’abusivo riempimento da parte del C. di moduli firmati in
bianco da parte della S. era presidiata da altri ed appropriati rimedi dei
quali la Corte distrettuale ha evidentemente considerato la mancanza
nell’addivenire alla conclusione di una insufficienza di riscontri probatori,
non colmabili in una fase successiva, se non incorrendo in un vulnus per la
difesa del soggetto attinto da provvedimento disciplinare.

7. Alla stregua delle esposte considerazioni, il
ricorso va, complessivamente respinto.

8. Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo, con attribuzione all’avv. P.F.D.L., dichiaratosi antistatario.

9. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in
euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre
accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura
del 15%, con attribuzione all’avv. P.F.D.L..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 settembre 2020, n. 19611
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