Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 settembre 2020, n. 19850

Contratti di lavoro, Nullità del termine, Conversione del
rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, Divieto di assunzione in
assenza di procedura concorsuale previsto dalla legge regionale, Società per
azione a totale partecipazione pubblica

 

Rilevato

 

1. il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato la
nullità del termine apposto ai contratti di lavoro con decorrenza dal 1.6.2008
e scadenza al 15.11.2009 stipulato tra la A.R.S.T. – SPA e C.R., aveva
dichiarato la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo
indeterminato, aveva condannato l’Azienda al risarcimento in misura pari a tre
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

2. la Corte di Appello di Cagliari, adita dalla
A.R.S.T. in via principale e dal C. in via incidentale, in riforma della
sentenza impugnata, ha dichiarato l’illegittimità dei termini apposti ai
contratti dedotti in giudizio “senza possibilità di conversione del
rapporto di lavoro” ed ha condannato l’A.R.S.T. a pagare al C. il
risarcimento del danno nella misura corrispondente a quattro mensilità
dell’ultima retribuzione ed ha rigettato l’appello incidentale proposto dal C.;

3. la Corte territoriale ha condiviso la sentenza
impugnata quanto alla ritenuta illegittimità della clausola di durata ed ha
evidenziato che la stessa mancava della necessaria specificità;

4. il giudice di appello ha ritenuto che la
conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo in rapporto di lavoro a
tempo indeterminato era impedita perché il divieto di assunzione in assenza di
procedura concorsuale previsto dalla l.r. n. 16/1974 doveva ritenersi vigente
anche successivamente alla trasformazione dell’A.R.S.T. in società per azioni
avvenuta il 2.8.2007 ai sensi della l.r. n. 11 (“recte”n.21) del
2005; tanto sul rilievo che tale divieto era stato recepito nello statuto della
società e che il medesimo divieto, che trovava ragione nel fatto che I’
A.R.S.T. SPA era una società per azione a totale partecipazione pubblica quale
società Regione e soggetta a controlli di quest’ultima, era coerente con le
disposizioni contenute nel d.l. n. 112 del 2008
che impone alle società “in house”, che gestiscono servizi pubblici
locali a rilevanza economica, di adottare con propri provvedimenti criteri e
modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di cui
all’art. 35 del d. Igs n.
165 del 2001;

5. la Corte territoriale ha condannato l’A.R.S.T.
SPA al pagamento dell’indennità risarcitoria parametrandola a 4 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla durata del
rapporto, ed ha richiamato le disposizioni contenute nel d.lgs n. 23 del 2015 in tema di licenziamento non
sorretto da giustificato motivo oggettivo ritenendo questa fattispecie
equiparabile a quella del contratto con termine illegittimo di cui non può
essere disposta la conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato;

6. avverso questa sentenza C.R. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al
quale I’ A.R.S.T. ha resistito con controricorso;

 

Considerato

 

sintesi dei motivi del ricorso

7. con il primo motivo è denunciata violazione e
falsa applicazione della L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16 e della L.R. 7
dicembre 2005 n. 21, violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., violazione della L. Cost. 28 febbraio 1948, n. 3, illegittimità
costituzionale della L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost.
e della L. Cost. 26 febbraio 1948 n. 3;

8. il ricorrente assume che la Corte territoriale ha
male interpretato la L.R. Sardegna n. 16 del 1974, che pur stabilendo, all’art.
23, che le assunzioni devono avvenire “esclusivamente mediante concorso
pubblico”, non prevede la nullità dei o contratti stipulati senza previa
procedura concorsuale e sostiene che tanto esclude il carattere inderogabile
della disposizione alla quale dovrebbe essere attribuita natura meramente
programmatica; assume che la I. r. n. 16 del 1974 non è più in vigore;

9. aggiunge che una diversa interpretazione
determinerebbe l’illegittimità costituzionale di tale normativa per contrasto
con la L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 3, che
dispone che la potestà legislativa della regione deve svolgersi in armonia con
la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con
il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali e delle
norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica, e per
contrasto con l’art. 117 Cost., che prevede che
l’ordinamento civile è di competenza esclusiva dello Stato;

10. asserisce che la disciplina dei contratti a
termine e delle conseguenze del loro abuso è dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla I. n. 368 del 2001, di derivazione comunitaria in
quanto applicativa della direttiva 70/99/CE;

11. sostiene che è privo di rilievo il riferimento
alla I. n. 133 del 2008, art. 2 bis, c.d.
patto di stabilità, perché successiva ai fatti di causa e perché non prevede il
divieto di conversione dei contratti a termine;

12. con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione della l.r. n. 16 del 1974 e della l.r. n. 21
del 2005, nonché conseguente violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata
abrogazione delle prime due norme ad opera del D.lgs.
n. 368 del 2001) nella parte in cui viene negata la conversione del
contratto dichiarato nullo nel termine in contratto a tempo indeterminato;
omessa e comunque contraddittoria motivazione-su un punto decisivo della
controversia costituito dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per
concorso;

13. il ricorrente sostiene che: nella fattispecie
dedotta in giudizio trova applicazione il d.lgs. n.
368 del 2001; quest’ultimo ha abrogato per incompatibilità la l.r. n. 16
del 1974, a sua volta abrogata dalla l.r. n. 21 del 2005; il d.lgs n. 368 del 2001 regola i rapporti di lavoro
a tempo determinato di tutti i dipendenti pubblici e privati e aggiunge che non
può trovare applicazione il d.lgs. n. 165 del 2001,
perché I’ A.R.S.T. anche al momento della stipula del contratto dedotto in
giudizio era una società per azioni e che pertanto trova applicazione il d.lgs. n. 368 del 2001;

14. con il terzo motivo è denunciata la violazione
del principio di effettività del risarcimento del danno, conseguente falsa
applicazione della liquidazione equitativa, vizio di motivazione, conseguente
violazione degli artt. 1218, 1213, 1223, 1224, 1225 e 1226 cod.civ.;

15. il ricorrente imputa alla Corte territoriale di
avere violato il principio del diritto comunitario di effettività “(avente
efficacia dissuasiva)” del risarcimento del danno;

16. assume che: l’art. 36 del d.lgs. n. 165 del
2001, ove pure non ritenuto abrogato per incompatibilità dal d. Igs. n. 368 del 2001, deve essere disapplicato
perché, in difformità rispetto ai principi di diritto comunitario ed alla
giurisprudenza della CGUE, non indica in misura concreta l’entità del
risarcimento del danno; l’indennità risarcitoria deve essere commisurata a
tutte le retribuzioni maturate dalla scadenza del contratto in applicazione
delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 368 del
2001;

17. imputa alla Corte territoriale di avere
liquidato il danno in via equitativa e forfetaria con mero richiamo, senza
alcuna altra specificazione, del d. Igs. n. 81 del
2015 e in violazione delle norme del codice civile richiamate nella
rubrica;

18. in via preliminare va respinta l’eccezione di
inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente in quanto i
requisiti ¡mosti dall’art. 366 cod.proc.civ.,
rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, perché finalizzati a
consentire al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi
fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per
comprendere il significato e la portata delle censure;

19. non è, quindi, necessario che la sentenza venga
trascritta nei suoi esatti termini, essendo sufficiente che il ricorrente
individui e sintetizzi le ragioni sulle quali poggia la decisione e li confuti
con argomenti specificamente riferibili al “decisum”, ragioni che il
ricorrente ha esplicitato nelle prospettazioni difensive sviluppate a sostegno
dei vizi addebitati alla sentenza impugnata;

20. a prescindere dai profili di inammissibilità di
cui si dirà innanzi (cfr. “infra” punti da 22 a 32 di questa
ordinanza), va rigettata anche l’eccezion di improcedibilità, ovvero di
inammissibilità, del ricorso formulata dalla controricorrente sul rilievo della
mancata impugnazione della sentenza nella parte in cui ha considerato
preclusiva alla conversione del rapporto la disposizione contenuta nell’art. 18 c. 2 bis del d.l. n. 112 del
2008 convertito con modificazioni nella I. n.
133 del 2008 e integrato dall’art. 19 della
l.n. 102 del 2009;

21. il ricorrente con i primi due motivi di ricorso
ha negato la ricostruzione della disciplina di fonte legale, statale e
regionale, ritenuta applicabile dalla Corte territoriale al rapporto dedotto in
giudizio, disciplina che compete alla Corte di Cassazione di individuare;

esame dei motivi

22. i primi due motivi di ricorso, da esaminarsi
congiuntamente in quanto connessi logicamente, sono inammissibili;

23. è utile premettere che la sentenza impugnata ha
accertato, e sul punto non è stata formulata alcuna censura, (cfr. sentenza
impugnata pg. 4, I capoverso), che il P. ha lavorato alle dipendenze della
odierna controricorrente in virtù di due contratti a tempo determinato dal
1.6.2008 al 15.11.2009;

24. l’A.R.S.T., istituita con personalità giuridica
di diritto pubblico dalla l.r. Sardegna n. 3 del 9 giugno 1970 e
successivamente disciplinata dalla l.r. Sardegna n.16 del 20 giugno 1974, è
stata trasformata dalla l.r. Sardegna n. 21 del 7 dicembre 2005 “in
società per azioni, a partecipazione azionaria pubblica e privata, con il
vincolo della proprietà pubblica maggioritaria e con la denominazione di
“ARST Spa” (art. 30);

25. la stessa legge ha previsto che “le azioni
della società di proprietà regionale sono attribuite all’Assessorato regionale
degli enti locali, finanze e urbanistica che esercita i diritti di azionista
secondo le direttive emanate dalla Giunta regionale”;

26. quanto ai rapporti di lavoro il legislatore
regionale, oltre a stabilire che “tutto il personale dell’ARST transita
nella società per azioni, consentendo il trattamento economico e normativo del CCNL
autoferrotranvieri e degli accordi integrativi in essere” (art. 30, comma
6), ha espressamente escluso (artt. 31 e 47) che, a partire dalla data di
trasformazione dell’ente in società per azioni, possano trovare ancora
applicazione le norme dettate dalla l.r. n. 16/1974, che all’art. 23 prevedeva
per le assunzioni il previo esperimento di concorso pubblico;

27. quest’ultima disposizione non è, dunque,
applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio (il primo dei contratti
dedotti in giudizio è stato stipulato successivamente (il 1.6.2008) all’entrata
in vigore della l.r. n. 21 del 2005, giacché la norma sopravvenuta (art. 47
lett. b della l.r. n. 21/2005) è chiara nell’estendere l’effetto abrogativo
all’intera disciplina riguardante l’Azienda Regionale, con il solo limite della
“garanzia di conservazione dei trattamenti economici e previdenziali
goduti all’entrata in vigore della presente legge” (art. 46);

28. la questione qui controversa non è pertanto
sovrapponibile a quella già decisa da questa Corte con le sentenze nn. 4630,
4631, 4632 e 5229 del 2017 (negli stessi
termini Cass. nn. 4825, 5286, 5287, 5315,
5319, 5456, 5457, 5555, 6413 del 2017) che, in relazione a contratti a
termine affetti da nullità-stipulati dall’ARST nella vigenza della legge
regionale n. 16/1974, hanno fatto discendere dalla necessaria concorsualità
dell’assunzione l’impossibilità dell’automatica trasformazione del rapporto in
contratto a tempo indeterminato, rilevando che la conversione finirebbe per
eludere le garanzie imposte a tutela di un interesse pubblico;

29. alla fattispecie dedotta in giudizio non trovano
applicazioi) e nemmeno i principi affermati da questa Corte nelle decisioni
Cass. n. 6818/2018; Cass. n. 6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018;
Cass. n. 5395/2018; Cass. n. 4897/2018; Cass.
n. 4358/2018; Cass. n. 3621/2018) relative
a fattispecie nelle quali veniva in rilievo la stipulazione di un contratto a
tempo determinato stipulato con la A.R.S.T. nella vigenza dell’art. 18 del d.l. 25 giugno 2008 n.
112, conv. con modd. dalla I. 6 agosto 2008 n.
133;

30. la Corte territoriale (cfr. p. n. 4 di questa
sentenza) ha ritenuto che la conversione del rapporto di lavoro a termine in
rapporto di lavoro a tempo indeterminato era impedita perché il divieto di
assunzione in assenza di procedura concorsuale previsto dalla L.R. n. 16/1974
doveva ritenersi vigente anche successivamente alla trasformazione dell’A.R.S.T.
in società per azioni avvenuta il 2.8.2007 ai sensi della l.r. n. 11 del 2005;
tanto sul rilievo fondante che tale divieto era stato recepito nello statuto
della società , divieto ritenuto coerente con le disposizioni dettate dal d.l. n. 112 del 2008;

31. questa statuizione non risulta aggredita da
nessuna delle censure formulate dal ricorrente il quale ha denunciato (primo
motivo1) la violazione delle I. r. n. 16 del 1974 e n. 21 del 2005, dello
Statuto della Regione Sardegna (approvato con la legge
Costituzionale n. 3 del 1948, deducendone il contrasto con gli artt. 3, 117 della
Costituzione, e la violazione del d.lgs. n. 368
del 2001 (secondo motivo) senza correlazione alcuna con l’affermata
esistenza nello Statuto della A.R.S.T. spa del divieto di assunzione in assenza
di procedura concorsuale;

32. la inammissibilità dei motivi in esame non può
essere esclusa dalla circostanza che l’A.R.S.T. spa nel controricorso (pgg.
9,26, 33) ha evidenziato che il divieto di assunzione in assenza di procedura
concorsuale previsto dalla l.r. n. 16 del 1974 era stato recepito nel suo
statuto, trattandosi, come evidenziato innanzi di questione, pur pregnante, non
esaminabile perché estranea ai motivi di ricorso;

33. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per
difetto di rilevanza;

34. il ricorrente si duole del criterio di
liquidazione del danno adottato dalla Corte d’Appello, in quanto il
risarcimento, equitativo e forfettario, non sarebbe effettivo come, invece, nel
caso della corresponsione di tutte le retribuzioni dalla scadenza del contratto
alla sentenza;

35. in tal modo, tuttavia, prescinde, sia pure ‘quanto
al profilo risarcitorio, dall’intera “ratio decidendi” della
statuizione del giudice di appello che ha come inscindibile presupposto
logico-giuridico la legittima impossibilità di dare corso alla trasformazione e
riconoscere al lavoratore un posto di lavoro a tempo indeterminato, a cui
consegue la non assimilabilità della mancata trasformazioni a voce di danno;

36. quanto all’applicazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 183 del 2010,
il ricorrente non ne contesta la quantificazione, né ha dedotto di aver
allegato e provato danni ulteriori;

37. pertanto il terzo motivo di ricorso non è
decisivo ed è inammissibile per difetto di rilevanza;

38. sono inammissibili le censure che addebitano
alla sentenza il vizio di omessa e comunque contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia (secondo motivo) e il vizio di motivazione
(terzo motivo perché estranee al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., nel testo
sostituito dall’art. 54, comma 1,
lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile
“ratione temporis” perché la sentenza impugnata è stata pubblicata il
9 gennaio 2015);

39. in conclusione il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile;

56. le spese del giudizio di legittimità, nella
misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza;

57. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in € 4.000,00 per compensi professionali, €
200,00 per esborsi, oltre 15%per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA
e CPA.

Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 settembre 2020, n. 19850
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