Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 settembre 2020, n. 19679
Personale dipendente dalle imprese di credito, Fondo di
solidarietà e di sostegno al reddito ed all’occupazione, Esodo incentivato,
Assegno straordinario da parte del Fondo, Prosecuzione dei versamenti
contributivi per il lavoratore fino alla data di maturazione dell’anzianità
utile al pensionamento, lmporto della retribuzione su cui calcolare la
contribuzione
Fatti di causa
1. Con ricorso al Tribunale di Salerno, F.A.
esponeva di avere lavorato alle dipendenze del Banco di N. fino al 30/6/2002,
allorché il rapporto era cessato avendo egli aderito all’esodo incentivato
usufruendo delle prestazioni del Fondo di solidarietà e di sostegno al reddito
ed all’occupazione, istituito con DM n. 158 del
28/4/2000 per il personale dipendente dalle imprese di credito. Aggiungeva
di avere sottoscritto davanti alla Direzione Provinciale del lavoro di N. un
accordo con cui il Banco si era impegnato, tra l’altro, all’attivazione della
procedura per far ottenere al dipendente l’assegno straordinario da parte del
Fondo nonché alla prosecuzione dei versamenti contributivi per il lavoratore
fino alla data di maturazione dell’anzianità contributiva utile al pensionamento;
che in tale occasione gli era stata fatta firmare una modulistica per la
richiesta dell’assegno straordinario, che era rimasta tuttavia incompleta del
quadro D che doveva contenere l’indicazione della retribuzione e delle
competenze arretrate, quadro che il Banco di N. avrebbe dovuto completare ed
inviare all’Inps.
2. Il ricorrente riferiva, inoltre, che aveva
successivamente accertato che l’importo della retribuzione su cui calcolare la
contribuzione previdenziale era stato determinato in misura inferiore, avendo
il Banco fatto riferimento solo alle voci fisse della retribuzione contrattuale
con conseguente minore accredito dei contributi previdenziali e pregiudizio per
il lavoratore.
3. Chiedeva, pertanto, che fosse riconosciuto il
proprio diritto a che la convenuta eseguisse i versamenti previdenziali tenendo
conto dell’ultimo anno di retribuzione globale, con successivi aggiornamenti
Istat, con condanna al pagamento in favore dell’Inps delle somme dovute.
4. Il Tribunale di Salerno accoglieva in parte la
domanda, riconoscendo il diritto dell’A. al ricalcolo della contribuzione, ma
non quello alla relativa rivalutazione.
5. La decisione di primo grado veniva confermata
dalla Corte d’appello di Salerno con la sentenza qui impugnata.
6. La Corte territoriale richiamava una propria
precedente sentenza avente ad oggetto la medesima vicenda e, disattesa
l’eccezione di incompetenza territoriale, accertava che nel quadro D della
domanda di erogazione dell’assegno la retribuzione media settimanale su cui
calcolare i contributi era stata indicata in € 777,00 e che tuttavia il Banco
di N. prima e il S.P. dopo avevano versato all’Inps contributi su una
retribuzione settimanale di € 716,00, quindi in misura inferiore a quella
risultante sulla domanda di assegno straordinario. Riteneva quindi che il Banco
non avesse dato puntuale esecuzione ai suoi impegni, considerato il diverso
importo della retribuzione indicato sulla domanda di assegno.
7. La Corte rigettava poi l’appello incidentale con
cui il lavoratore aveva chiesto la rivalutazione della retribuzione annuale,
argomentando che la rivalutazione non era prevista nella domanda di assegno
straordinario, né nel verbale di conciliazione e comunque poteva operare con
riguardo alla prosecuzione della contribuzione volontaria regolamentata dal d.lgs n 184/1997, non applicabile alla
fattispecie.
8. Avverso la sentenza Intesa S.P. s.p.a.(già S.P.
IMI s.p.a., incorporante il Banco di N.) ha proposto ricorso, affidato a cinque
motivi. F. A. ha resistito con controricorso ed ha proposto altresì ricorso
incidentale affidato ad un unico motivo, cui Intesa San Paolo ha resistito con
controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c.
9. Il ricorso principale e quello incidentale sono
stati riuniti ex art. 335 c.p.c.
Ragioni della decisione
10. Occorre premettere che l’eccezione
d’inammissibilità del ricorso principale formulata dal controricorrente non è
fondata.
11. La tecnica dell’assemblaggio degli atti
processuali determina l’inammissibilità del ricorso solo quando si renda in tal
modo incomprensibile il mezzo processuale, perché privo di una corretta ed
essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.), della sintetica
esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonché
dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo
facciano considerare tale (Cass. n. 22185 del 30/10/2015, Cass. n. 8245 del 04/04/2018).
12. Tali lacune non si riscontrano nel ricorso in
esame, in cui l’illustrazione dei motivi è formulata in modo completo e
comprensibile e le 33 pagine che la precedono, contenenti la trascrizione degli
atti del processo, ne costituiscono la premessa.
13. Come primo motivo del ricorso principale la
Banca lamenta la nullità della sentenza e la violazione degli articoli 132, 156,
161 c.p.c. nonché dell’articolo 111 Cost.; sostiene che la sentenza
costituirebbe una mera trascrizione di altra decisione resa dalla medesima
Corte d’appello in un giudizio intercorso fra esso S.P. e altro ex dipendente,
con utilizzazione di argomenti che sono stati oggetto di altro processo, che
non hanno trovato ingresso nel processo in esame e non hanno attinenza con le
censure sollevate dall’appellante nel ricorso, sicché si renderebbe impossibile
il confronto tra le tesi dibattute, le censure sollevate e la decisione.
14. Come secondo motivo deduce la nullità della
sentenza e la violazione degli articoli 132, 156, 161 c.p.c.
nonché dell’articolo 111 Cost.
15. Il ricorrente lamenta che la Corte abbia
ritenuto rilevante la retribuzione indicata nel modulo, mentre questa non aveva
nessuna importanza, trattandosi di rapporto previdenziale, sicché la lite
avrebbe dovuto essere risolta applicando la disciplina contenuta nel DM 158 del 2000 e del
d.lgs n. 184 del 1997.
16. Come terzo motivo deduce la mancanza di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la violazione dell’articolo 112
c.p.c. e sostiene che erroneamente la Corte d’appello e il giudice di primo
grado avrebbero ritenuto che la domanda riguardasse l’adempimento degli
obblighi scaturenti dalla conciliazione formalizzata con il dipendente e,
quindi, una domanda di adempimento contrattuale che invece non era stata mai
proposta, in quanto l’A. aveva chiesto la condanna della convenuta al pagamento
della contribuzione prevista dalla normativa vigente.
17. Come quarto motivo deduce la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 10,
commi 7 e 12, del DM 158 del 2000. Sostiene che con la sottoscrizione della
transazione in sede di DPL l’A. aveva accettato l’applicazione delle disposizioni
contenute nella disciplina del Fondo di solidarietà e che il dato indicato
nell’allegato D al modulo compilato dal Banco di N. per accedere a detto
trattamento si riferiva ad una base errata perché non determinata a stregua di
legge.
18. Come quinto motivo deduce l’omessa motivazione
su un punto decisivo della controversia avente ad oggetto l’interesse ad agire
dell’A. e lamenta che la Corte abbia ritenuto che un ampliamento della base su
cui calcolare la contribuzione avrebbe determinato automaticamente un
ampliamento della base su cui calcolare la pensione, senza fornire alcuna
motivazione.
19. F. A. ha proposto a sua volta ricorso
incidentale affidato ad un motivo, con il quale deduce la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 2, comma 28, della legge n 662 del 1993 degli articoli 1 e seguenti del DM 158 del
2002, del d.lgs 30 aprile 97 n. 184 e di
ogni altra norma e principio in materia di contribuzione obbligatoria
volontaria e figurativa. Il motivo attinge la sentenza della Corte d’appello
nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto alla rivalutazione annuale
della base pensionabile.
20. Preliminarmente all’esame dei motivi posti con i
ricorsi, va rilevata la nullità del giudizio per difetto di integrità del
contraddittorio.
21. Come si è detto nello storico di lite, la
sentenza impugnata ha confermato quella del Tribunale che aveva condannato
Intesa S.P. s.p.a. a ricalcolare i contributi dovuti al Fondo di solidarietà in
base all’ultima mensilità percepita dall’A. secondo il criterio di 1/360 della
retribuzione annua per ogni giornata e a versare all’Inps la differenza tra
quelli dovuti e quelli già versati, dalla data dell’esodo alla data di maturazione
del trattamento pensionistico di anzianità.
22. Non risulta, però, che l’INPS sia mai stato
chiamato in giudizio.
23. In vicenda affatto analoga alla presente questa
Corte ha già avuto modo di affermare che essendo la posizione dell’INPS «solo
quella di soggetto destinatario del predetto versamento» ed in considerazione
dell’autonomia dall’istituto del Fondo di solidarietà, non sarebbe nei suoi
confronticonfigurabile un’ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. n. 13874
del 7 luglio 2016 e Cass. n. 17162 del 2016,
in motivazione).
24. A tale soluzione non può tuttavia essere data
continuità, ostandovi argomenti logici e sistematici desumibili sia dalla
natura della c.d. contribuzione correlata di cui al d.m. n. 158/2000 che, più
in generale, dalle ricadute di ordine processuale della struttura del rapporto
dedotto in giudizio.
25. Circa la natura della contribuzione correlata
per i periodi di erogazione dell’assegno straordinario per il sostegno al
reddito, da calcolarsi com’è noto sulla base della retribuzione di cui all’art. 10, comma 7, d.m. n. 158/2000,
questa Corte ha chiarito che si tratta di contribuzione di carattere
obbligatorio: l’obbligo del Fondo di provvedere ad accreditare la contribuzione
presso la gestione previdenziale di iscrizione del lavoratore costituisce
infatti oggetto di una autonoma obbligazione di diritto pubblico, che deriva
dalle espresse disposizioni del d.m. n. 158/2000
che regolano compiutamente tanto il meccanismo di accreditamento quanto la
finalità della contribuzione stessa, significativamente definita
“correlata” siccome obbligatoriamente rapportata alla prestazione
erogata e, dunque, non subordinata, quanto al suo verificarsi, né ad alcuna
preventiva autorizzazione dell’ente previdenziale, né ad alcuna valutazione del
singolo assicurato circa l’utilità che gliene possa derivare ai fini
pensionistici, come invece tipicamente accade nelle ipotesi di c.d.
contribuzione volontaria (Cass. n. 4433 del 2019).
26. Ciò chiarito, è evidente che la soluzione della
questione relativa alla necessità o meno di un litisconsorzio con l’ente
previdenziale nella controversia con cui si lamenti, da parte del lavoratore,
il mancato versamento della contribuzione correlata da parte del datore di
lavoro, deve risultare coerente con gli approdi ermeneutici cui questa Corte è
progressivamente pervenuta per ciò che concerne la più generale questione delle
parti necessarie del giudizio in cui un lavoratore chieda la condanna del
proprio datore di lavoro al pagamento all’ente previdenziale dei contributi
dovuti sulla propria prestazione lavorativa: e ciò indipendentemente dal fatto
che, nella specie, la normativa di settore ponga formalmente a carico del Fondo
il versamento all’INPS della contribuzione correlata, trattandosi di onere che
grava in ultima analisi sull’istituto di credito alle cui dipendenze ha
prestato servizio il lavoratore prima dell’accesso al Fondo medesimo.
27. Al riguardo, è dato rilevare che, nella
giurisprudenza di questa Corte di legittimità, sono coesistiti per lungo tempo
due distinti orientamenti.
28. Secondo il primo di essi, la domanda con la
quale il lavoratore subordinato chieda la condanna del datore di lavoro al
versamento all’INPS di contributi evasi, al fine della tutela della sua
posizione assicurativa, richiede la presenza in causa dell’ente previdenziale,
quale diretto interessato all’accertamento giudiziale sull’esistenza e durata
del rapporto di lavoro e sulla misura della retribuzione, nonché quale
destinatario del pagamento (così, tra le numerose, Cass. nn. 2452 del 1975,
2638 del 1976, 379 del 1989, 12946 del 1999).
29. Tale orientamento ha ricevuto sistemazione
definitiva ad opera di Cass. S.U. n. 3678 del 2009,
la quale, pronunciandosi in materia di azione promossa dal lavoratore per
ottenere la costituzione della rendita vitalizia ex art. 13, comma 5, I. n. 1338/1962,
per essersi il datore di lavoro sottratto al versamento all’INPS della relativa
riserva matematica e per il cui versamento lo stesso datore resta obbligato, ha
affermato la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti
dell’anzidetto datore di lavoro e dell’INPS, ravvisandone la giustificazione in
considerazione del riflesso, sotto il profilo processuale, che assumono gli
aspetti sostanziali rappresentati, rispettivamente, dall’interesse del lavoratore
alla realizzazione dei presupposti della tutela assicurativa (con la condanna
dell’INPS alla costituzione della rendita vitalizia e del datore di lavoro
inadempiente al versamento della riserva matematica), dall’interesse dell’INPS
a limitare il riconoscimento della rendita vitalizia ai casi di esistenza certa
e non fittizia di rapporti di lavoro e dall’interesse del datore di lavoro a
non trovarsi esposto, ove il giudizio si svolga in sua assenza, agli effetti
pregiudizievoli di un giudicato ai suoi danni a causa del riconoscimento di un
inesistente rapporto lavorativo, lontano nel tempo. E, seppure senza alcun
esplicito riferimento a Cass. S.U. n. 3678 del
2009, cit., analogo principio di diritto è stato affermato da Cass. n. 19398 del 2014, che, nel riconoscere la
sussistenza di un interesse del lavoratore al versamento dei contributi
previdenziali di cui sia stato omesso il versamento, ha bensì ammesso la
possibilità che egli chieda in giudizio l’accertamento dell’obbligo
contributivo del datore di lavoro, al fine di sentirlo condannare al versamento
dei contributi che sia ancora possibile giuridicamente versare nei confronti
dell’ente previdenziale, a condizione però che entrambi siano stati convenuti
in giudizio, a pena d’inammissibilità della domanda (nello stesso senso, da
ult., Cass. n. 14853 del 2019).
30. Parallelamente a tale indirizzo, tuttavia, ne è
coesistito per lungo tempo un altro (la cui ultima eco si può scorgere proprio
in Cass. n. 17162 del 2016, dianzi cit.), che,
argomentando dal rilievo secondo cui l’esigenza dell’estensione del
contraddittorio a tutti i soggetti del rapporto previdenziale non sussisterebbe
qualora venga in contestazione soltanto il rapporto di lavoro o qualche
elemento del medesimo o ancora quando, instaurati validamente fra i soggetti
interessati il rapporto di lavoro ed il rapporto previdenziale, la
contestazione sia limitata al conseguimento di prestazioni derivanti dall’uno o
dall’altro, ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei
confronti dell’ente di previdenza nel giudizio promosso dal lavoratore contro
il datore di lavoro per la regolarizzazione della posizione assicurativa (così,
tra le tante, Cass. nn. 2684 del 1973, 66 del 1984, 442 del 1986, 72 del 1998,
10377 del 2000, 3941 del 2004): e ciò sul presupposto per cui, in controversie
del genere, l’esistenza e/o l’atteggiarsi del rapporto di lavoro subordinato,
che rappresenta l’imprescindibile presupposto del rapporto contributivo,
costituirebbe un punto pregiudiziale, risolvibile incidenter tantum dal giudice
e senza efficacia di giudicato al di fuori della causa in cui l’accertamento
avviene.
31. Reputa il Collegio che al primo dei due
orientamenti debba qui darsi seguito, ancorché con i chiarimenti e le
precisazioni che seguono.
32. Occorre in primo luogo ribadire, con Cass. n. 19398 del 2014 e Cass. n. 14853 del 2019, che la condanna a favore
di terzo è istituto di carattere eccezionale, che può trovare giustificazione
solo in presenza di un’espressa previsione legislativa (quali ad es. l’art. 18, commi 2° e 4°, St. lav.,
e gli artt. 2, comma 2, e 3, comma
2, d.lgs. n. 23/2015).
33. Ed inoltre, le medesime ragioni di ordine logico
e sistematico esaminate da Cass. S.U. n. 3678 del
2009, cit., a sostegno della necessità del litisconsorzio necessario con
l’ente previdenziale allorché l’azione risarcitoria abbia ad oggetto la
costituzione della rendita vitalizia, debbono valere anche nel caso in cui
oggetto della domanda del lavoratore sia direttamente la condanna del datore di
lavoro al pagamento in favore dell’ente previdenziale dei contributi omessi:
fermo restando che esula dalle presenti considerazioni ogni indagine circa la
configurabilità di una legittimazione straordinaria del lavoratore a
sostituirsi all’ente previdenziale e di un suo interesse in concreto a farlo,
si deve piuttosto aggiungere, a suffragio della necessità del litisconsorzio
con l’ente previdenziale, che l’obbligo
datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti si configura, nell’ambito
del rapporto di lavoro, come obbligo di facere, non già come un diritto di
credito ai contributi da parte del lavoratore, e che la sentenza di condanna ad
unfacere siffatto, oltre a non essere in alcun modo direttamente utile per il
lavoratore, non avrebbe effetto alcuno verso l’ente previdenziale, stante
l’indisponibilità delle obbligazioni contributive e l’indiscutibile terzietà
dell’ente previdenziale medesimo rispetto al rapporto di lavoro, che gli
renderebbe inopponibile qualsiasi giudicato (Cass. n. 4821 del 1999) e, prima
ancora, qualsiasi interruzione della prescrizione dei contributi (Cass. n. 7104
del 1992, cit.); ed è appena il caso di ricordare che, giusta la ricostruzione
di Cass. S.U. n. 3678 del 2009, cit.,
l’esigenza della partecipazione al processo di tutti i soggetti della
situazione sostanziale dedotta in giudizio sì giustifica in funzione
dell’obiettivo di non privare la decisione (indipendentemente dalla sua natura
di condanna, di accertamento o costitutiva) dell’unitarietà connessa con
l’esperimento dell’azione proposta, ossia quando, in assenza anche di uno
soltanto dei soggetti coinvolti, la sentenza risulti inidonea a produrre un
qualsiasi effetto giuridico anche nei confronti degli altri: che è proprio ciò
che, in assenza dell’ente previdenziale, sarebbe nella specie inevitabile.
34. In merito alle conseguenze della mancata
integrazione del contraddittorio, deve rilevarsi che, per principio generale
dell’ordinamento processuale, nel caso in cui la parte chieda in giudizio un
bene della vita la cui attribuzione non può aver luogo senza che al giudizio
partecipi un terzo non dà luogo ad un’ipotesi di inammissibilità della domanda
(come ritenuto dalle già citate Cass. nn. 19398
del 2014 e 14853 del 2019), ma integra
un’ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102
c.p.c.: e ciò a prescindere da ogni considerazione riguardante le
condizioni dell’azione o la fondatezza nel merito della domanda, che sono
questioni che possono essere delibate soltanto nel contraddittorio fra tutti
gli interessati.
35. Pertanto, considerato che la nullità del giudizio
per difetto di integrità del contraddittorio è rilevabile in ogni stato e grado
del processo e dunque anche in questa sede di legittimità, con il solo limite
del giudicato (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 26388 del 2008, 9394 del 2017), ne deriva ex art. 354 c.p.c. la necessità di rimettere le parti
avanti al primo giudice affinché provveda alla sua instaurazione ex novo,
previa integrazione del contraddittorio (giurisprudenza costante fin da Cass.
n. 2786 del 1963).
36. La sentenza impugnata va quindi cassata e le
parti vanno rimesse avanti al Tribunale di Salerno in persona di diverso
magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
37. Non sussistono i presupposti per il versamento
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, previsto dall’art.
13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
provvedendo sui ricorsi, cassa la sentenza impugnata
e rimette le parti davanti al Tribunale di Salerno in persona di diverso
magistrato, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Si dà atto che il presente provvedimento è
sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore,
ai sensi dell’articolo 1 comma 1 lettera a) del d.P.C.M. 8 marzo 2020.