Le somme corrisposte ai dipendenti a titolo di “indennità di trasferta” e di “rimborso chilometrico” non beneficiano dell’esenzione fiscale prevista dall’art. 51, co. 5 del TUIR nel caso in cui la sede di assunzione del lavoratore costituisca un mero riferimento per la gestione burocratica del rapporto di lavoro e il lavoratore venga costantemente chiamato a svolgere la prestazione di lavoro in altro luogo.
Nota a Cass. (ord.) 7 luglio 2020, n. 14047
Marialuisa De Vita
Con l’ordinanza n. 14047 del 7 luglio 2020 la Corte di Cassazione ha chiarito le condizioni per l’applicazione del trattamento fiscale di favore (esenzione ai fini IRPEF) previsto dall’art. 51, co. 5 del TUIR per le indennità di trasferta.
Nello specifico, una società impugnava gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla medesima società l’omessa esecuzione delle ritenute su parte delle somme corrisposte ai dipendenti che costantemente avevano eseguito la prestazione lavorativa in luoghi diversi da quello di assunzione.
La Commissione tributaria regionale, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda della ricorrente sul presupposto che l’attività svolta dalla società – consistendo in lavori di ristrutturazione e manutenzione presso aziende clienti dislocate in varie località – prevedeva l’invio continuo dei dipendenti in trasferta, sicché alle relative indennità poteva applicarsi il regime fiscale previsto dall’art. 51, co. 5 del TUIR (esenzione ai fini IRPEF).
Alla tesi della ricorrente si contrapponeva quella dell’Agenzia delle Entrate secondo cui l’esenzione fiscale prevista dalla disposizione summenzionata si applica solo nei casi in cui la trasferta sia caratterizzata dalla temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa.
Con il provvedimento in commento la Suprema Corte ha accolto quest’ultima tesi, muovendo da una nozione ampia di retribuzione.
Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, la retribuzione non deve essere intesa solo come il corrispettivo della singola prestazione di lavoro, ma dell’impegno complessivo e personale assunto dal lavoratore, sicché la retribuzione “deve essere commisurata non solo al risultato produttivo ed al tempo impiegato, ma altresì alle condizioni soggettive ed oggettive in cui tale risultato si consegue”.
Con specifico riferimento al lavoro svolto in trasferta, la Corte di Cassazione ha ricordato come la giurisprudenza di legittimità sia ferma nel ritenere che normalmente la trasferta “comporta un maggior disagio, che deve essere appositamente compensato dal datore di lavoro, sicché la relativa indennità generalmente ha una duplice funzione, risarcitoria o meglio restitutoria delle maggiori spese sopportate nell’interesse del datore di lavoro (non imponibile) e retributiva del maggior disagio (tassabile)”. È proprio tale duplice funzione che giustifica il trattamento di favore previsto dall’art. 51, co. 5 del TUIR per le indennità di trasferta.
Ciò premesso, laddove (come nel caso di specie) il lavoratore venga normalmente (e non occasionalmente) chiamato a svolgere la propria attività in un luogo diverso da quello di assunzione, non può applicarsi l’art. 51, co. 5 del TUIR in quanto, in questo caso, le somme erogate al lavoratore assolvono la sola funzione di “retribuzione” della prestazione lavorativa, comprensiva del maggior disagio provocato dal mutamento costante del luogo di esecuzione della prestazione. Ne deriva che tali somme devono considerarsi imponibili ai fini IRPEF.
In definitiva, posto che la trasferta è caratterizzata dalla temporaneità del mutamento del luogo di esecuzione della prestazione, ai fini della corretta applicazione dell’art. 51, co. 5 del TUIR, è indispensabile che la sede di assunzione del lavoratore sia anche il luogo in cui il lavoratore è chiamato a svolgere normalmente la propria attività lavorativa. Laddove la sede di assunzione costituisce, invece, solo un riferimento per la gestione burocratica del rapporto di lavoro e il lavoratore sia chiamato costantemente a svolgere la propria attività in altro luogo, le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di “indennità di trasferta” e di “rimborso chilometrico” non beneficiano del trattamento fiscale previsto dalla norma citata.