Prassi – CONSIGLIO NAZIONALE DOTT COMM E ESP CON – Comunicato 21 settembre 2020
Stp poco utilizzabili, migliorare la normativa, Un documento
Cndcec, Fnc ne esamina gli aspetti civilistici, tributari e previdenziali e
avanza proposte per il loro potenziamento
Rendere le Società tra professionisti (STP) un
modello più e meglio utilizzabile, superandone gli evidenti limiti emersi sin
dal momento della loro istituzione. E’ questo l’obiettivo delle proposte
migliorative della normativa contenute nel documento “La disciplina delle
società tra professionisti: aspetti civilistici, tributari e previdenziali”
messo a punto dal Consiglio e dalla Fondazione nazionale dei commercialisti.
Muovendo dal principio per cui la STP svolge un’attività professionale e non
attività di impresa, i commercialisti propongono di intervenire prevedendo una
gestione della società riservata unicamente a soci professionisti e un
riconoscimento ai soci professionisti di STP del privilegio per i crediti
professionali. Tra le proposte della categoria anche l’esclusione della STP
dall’ambito applicativo della legge fallimentare e l’attrazione alla disciplina
delle crisi da sovraindebitamento. In ambito fiscale la principale richiesta è
quella di mettere a punto una norma di interpretazione autentica sulla
neutralità fiscale delle operazioni di conferimento, apporto, trasformazione e
fusione di studi individuali, associati e società semplici in STP e delle
operazioni inverse.
“Le STP – afferma il presidente della categoria,
Massimo Miani – sono potenzialmente uno strumento virtuoso per l’esercizio in
comune della professione, alternativo allo studio individuale o associato, che
si è però finora rivelato poco utilizzabile e che va quindi decisamente
riformato. Il nostro documento, muovendo dalle indicazioni fornite dal
Consiglio Nazionale e dalle prassi registrate in ambito locale, esamina la
disciplina della STP evidenziandone gli aspetti controversi e le problematiche
emerse in sede di applicazione, e tenta di fornire alcune soluzioni
interpretative che possano facilitare l’utilizzabilità del modello, ma
soprattutto orientare possibili interventi di modifica de jure condendo”.
“Il modello STP – aggiunge Miani – ha evidenziato
negli 8 anni di vigenza molte contraddizioni. La norma è apparsa da subito
quanto mai incoerente con le esigenze dei professionisti. Gli interventi
migliorativi dovrebbero partire da una configurazione ad hoc di un modello
societario, soggetto di diritto, capace di aggregare l’attività intellettuale di
molti professionisti regolandone le modalità e le obbligazioni a garanzia della
pubblica fede. Come emerge chiaramente dall’esame di questo documento, troppo
poco le STP offrono ai professionisti per renderli davvero competitivi. Un
modello societario che troppo mutua dal modello commerciale, a partire dal
cardine organizzativo che è il capitale conferito, mentre i professionisti sono
molto più inclini a riconoscere quale cardine della aggregazione l’integrazione
del sapere professionale e della attività che ne deriva”.
Secondo il consigliere nazionale delegato al diritto
societario, Massimo Scotton “se il legislatore vorrà emendare, correggere,
integrare la normativa dovrebbe far si che le STP, oltre alla condivisione di
spese e costi, possano realizzare un’integrazione di competenze e conoscenze
specialistiche differenti, ponendosi sul mercato in maniera competitiva e
accedendo, anche grazie a una maggiore patrimonializzazione, più facilmente al
mercato del credito. La nostra analisi ha messo in luce come la normativa
attuale disincentivi il ricorso massivo a questo strumento. Ripetute sono stati
le proposte in materia avanzate dal nostro Consiglio nazionale anche nel
documento recentemente depositato nel corso dell’audizione in commissione
Finanze alla Camera. Il nostro auspicio è che vengano accolte in sede di
conversione dei numerosi decreti emergenziali emanati in questo periodo.
“Nell’era post-covid – conclude Scotton – la domanda
di servizi muterà. Per rispondere al nuovo contesto la professione dovrà poter
contare su strumenti operativi e dimensionali che le consentano di competere ed
espandersi con efficaci modalità quali-quantitative che permettano adeguate
marginalità creando altresì una prospettiva per l’inquadramento nelle STP dei
giovani neo abilitati portatori di risorse, anche specialistiche, e quindi
contributori alla realizzazione di una dimensione corporate delle attività
professionali”.
Allegato
La disciplina delle
società tra professionisti
Aspetti civilistici,
fiscali e previdenziali
SOMMARIO
INTRODUZIONE
PARTE PRIMA – ASPETTI CIVILISTICI
1. Premessa
2. I tipi societari
3. La sede
4. La denominazione o la ragione sociale
5. I soci
5.1. La partecipazione dei soci professionisti al
capitale della società e sulle maggioranze
5.2. La prestazione professionale dei soci
6. Il conferimento dello studio
7. L’amministrazione della STP
8. L’oggetto sociale
9. Il conferimento dell’incarico e l’esecuzione
dell’incarico
10. Le responsabilità
11. L’iscrizione nel registro delle imprese e nella sezione
speciale dell’Albo. Cancellazione dall’Albo
12. L’incompatibilità
13. Il regime disciplinare
14. La trasformazione dello studio associato
15. Il privilegio del credito professionale
16. La STP e l’assoggettabilità alle procedure
concorsuali
PARTE SECONDA – ASPETTI FISCALI
1. LA QUALIFICAZIONE FISCALE DEL REDDITO DELLE
SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI
2. IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOMME PERCEPITE DAI
SOCI
3. I PRINCIPI GENERALI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO
3.1. Le società tra professionisti costituite in
forma di società semplice
3.2. Le società tra professionisti costituite in
forma di società di persone commerciali
3.2.1. Le società tra professionisti in contabilità
semplificata
3.2.2. Le società tra professionisti in contabilità
ordinaria
3.3. Le società tra professionisti costituite in
forma di società di capitali o cooperativa
4. ASPETTI PECULIARI RELATIVI ALLA DETERMINAZIONE
DEL REDDITO DELLE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI
COSTITUITE IN FORMA DI SOCIETÀ DI CAPITALI O
COOPERATIVA
5. LE SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI E GLI INDICI
SINTETICI DI AFFIDABILITÀ FISCALE
6. L’EVOLUZIONE DELLO STUDIO INDIVIDUALE O
ASSOCIATO: CESSIONE, CONFERIMENTO E TRASFORMAZIONE
6.1 Il conferimento dello studio professionale in
STP
6.1.1. Conferimento di beni strumentali
6.1.2. Conferimento di beni diversi da quelli
strumentali
6.2 La trasformazione dello studio professionale in
STP
PARTE TERZA – TRATTAMENTO PREVIDENZIALE
CONCLUSIONI
INTRODUZIONE
Il documento “La disciplina delle società tra
professionisti: aspetti civilistici, tributari e previdenziali” fettua un
accurato esame della normativa e delle prassi in uso in relazione alla
disciplina della STP ex lege n. 183/2011.
Le recenti novità introdotte con il d.l. n. 23/2020, convertito con modificazioni
dalla legge n. 40/2020, tramite le quali viene
riconosciuta alla STP e alle associazioni professionali la possibilità di
accedere alla garanzia concessa dalla SACE per far fronte alla situazione
emergenziale causata dalla Pandemia, hanno stimolato l’attuale riflessione per
tentare di comprendere quali siano le future prospettive di diffusione del
modello STP per l’esercizio della professione, alternativo allo studio individuale o associato, che risulti in linea
con le attuali esigenze di mercato richiedenti, nei settori professionali,
competenze diversificate, ma al contempo specializzate.
Il documento, muovendo dalle indicazioni fornite dal
Consiglio Nazionale e dalle prassi registrate in ambito locale, esamina la
disciplina della STP ex lege n. 183/2011
evidenziandone gli aspetti controversi e le problematiche emerse in sede di
applicazione, e tenta di fornire alcune soluzioni interpretative che possano
facilitare l’utilizzabilità del modello, ma soprattutto orientare possibili
interventi di modifica de jure condendo.
In verità, il modello STP ha evidenziato in questi 8
anni di vigenza tutte le contraddizioni che del resto erano già state
evidenziate dal CNDCEC immediatamente dopo la loro (imprevedibile) emanazione,
che ricordiamo avvenne con un emendamento apportato in extremis alla legge di
bilancio 2012, ultimo atto del Governo allora in carica, sotto la pressione
della crisi finanziaria che ne decretò la fine. Da subito, la norma apparve
quanto mai incoerente con le esigenze dei Professionisti che pure,
unitariamente, avevano promosso nei mesi antecedenti la legiferazione di un
modello societario ad hoc, le Società di Lavoro Professionale, sulla scia delle
esperienze di altri Paesi europei che alle Professioni intellettuali avevano
dedicato un modello societario il cui elemento fondante fosse la condivisione
dell’attività intellettuale, prima e piuttosto che del capitale utile all’esercizio
della stessa.
Proprio da questa configurazione ad hoc, di un
modello societario, soggetto di diritto, capace di aggregare l’attività
intellettuale di molti Professionisti regolandone le modalità e le obbligazioni
a garanzia della pubblica fede, si dovrebbe ripartire per revisionare e
correggere la esistente normativa delle STP. Le STP, in effetti e per quanto
emerge anche dall’esame accurato di questo documento, troppo poco hanno
mostrato di offrire ai Professionisti per renderli davvero competitivi su un
mercato, sempre meno locale, che richiede a più voci competenze specialistiche
ed integrazioni delle stesse. Un modello societario che troppo mutua dal
modello commerciale, a partire dal cardine organizzativo che è il capitale
conferito, mentre i Professionisti molto più inclini sono a riconoscere quale
cardine della aggregazione l’integrazione e la congiunzione del sapere
professionale e della attività che ne deriva. Se il Legislatore vorrà emendare,
correggere, integrare la normativa delle STP dovrebbe partire da questo assunto
di base così che le STP, oltre alla condivisione di spese e costi, possono
realizzare tale integrazione di competenze e conoscenze specialistiche
differenti, ponendosi sul mercato in maniera competitiva e accedendo, anche grazie
a una maggiore patrimonializzazione, più facilmente al mercato del credito.
Si tratta dunque di un documento che, tramite la
ricognizione dei vari problemi emersi nella pur modesta numerosità delle
esperienze, è già in grado di indicare i correttivi alla attuale normativa per
addivenire al modello societario che i Commercialisti individuano quale
strumento di effettivo sviluppo e che già in passato avevano promosso per
essere come sempre Utili al Paese prima ancora che a sé stessi.
PARTE PRIMA –
ASPETTI CIVILISTICI
1. Premessa
La situazione emergenziale provocata dalla pandemia
da Covid-19 e le rilevanti ricadute che l’emergenza avrà sul tessuto economico
e, in particolare sull’organizzazione dell’attività dei liberi professionisti,
nonché le recenti novità contenute nella decretazione d’urgenza emanata durante
la pandemia (1), offrono l’occasione per spendere alcune riflessioni in ordine
alla diffusione delle società tra professionisti come modello per l’esercizio
della professione e alternativa allo studio
individuale o associato. La società tra professionisti (di seguito STP),
infatti, oltre alla condivisione di spese e costi, può contribuire alla
realizzazione della piena integrazione di competenze e conoscenze
specialistiche differenti, ponendosi sul mercato in maniera competitiva e
accedendo, anche grazie a una maggiore patrimonializzazione, più facilmente al
mercato del credito.
Può risultare utile, pertanto, riprendere e
sviluppare le riflessioni già condotte sulla disciplina delle STP, costituite
ai sensi della legge 12 novembre 2011, n. 183
(di seguito legge n. 183/2011), evidenziando
le problematiche emerse nell’applicazione della farraginosa normativa di
riferimento, tentando di fornire alcune soluzioni interpretative che possano
facilitare la diffusione del modello, ma soprattutto orientare possibili
interventi di modifica con l’intento di migliorarne la disciplina.
Dalla data di pubblicazione del Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34 (di
seguito, D.M. n. 34/2013), recante il
regolamento attuativo dell’art.
10, commi 4, lett. c), 6 e 7 della legge n. 183/2011, ad oggi, non poche
sono state le richieste di chiarimenti pervenute al Consiglio Nazionale da
parte degli Ordini locali circa la corretta interpretazione della normativa
sulle società tra professionisti e non rare sono state le interlocuzioni avute
con il mondo politico e con le istituzioni, al fine di fornire chiarimenti o al
fine di sollecitare interventi di modifica della vigente disciplina.
Costretti a muoversi nell’ambito di una cornice
normativa foriera di non rare incertezze, un ruolo decisivo è stato affidato
agli statuti e alle istruzioni diffuse dagli Ordini professionali chiamati,
questi ultimi, a esercitare, oltre alle funzioni istituzionali declinate nelle
rispettive leggi professionali, gli importanti adempimenti prescritti nella legge n. 183/2011 e nel D.M. n. 34/2013.
Il formante giurisprudenziale non ha fornito un
valido aiuto agli interpreti, considerata la scarsezza delle pronunce che si
sono occupate della materia. Anche sul fronte delle prassi amministrative
l’istituto è pressoché sconosciuto.
Solo recentemente è stata accordata alla STP la
possibilità di costituire reti di esercenti la professione a seguito
dell’entrata in vigore della legge n. 81/2018 (2). In argomento, la Nota del MISE del 28 gennaio 2020, n. 23331,
richiamando la circostanza per cui la pubblicità del contratto di rete deve
essere assolta tramite iscrizione (effettuata a margine di ciascuna posizione
nel registro delle imprese di ogni imprenditore) nel registro delle imprese, ha
concluso che qualora si tratti di reti costituite tra singoli professionisti,
pur essendo validamente concluso, il contratto di rete non potrà essere
iscritto come richiede la normativa, perché il professionista non risulta
iscritto nel registro delle imprese.
Diversamente è a dirsi quando il retista sia una
STP, considerato che la società è tenuta ex lege all’obbligo di iscrizione
nella sezione speciale del registro delle imprese.
Per quanto attiene all’impianto normativo, inoltre,
la disciplina delle STP ex lege n. 183/2011 è
stata affiancata dalla nuova regolamentazione delle società tra avvocati. Come
è noto, l’art. 1, comma 141, della
legge 4 agosto 2017, n. 124, ha modificato le previsioni della legge n. 247/2012 (Nuova disciplina
dell’ordinamento della professione forense) inserendo l’art. 4-bis, recante la
disciplina di riferimento per l’esercizio della professione forense in forma
societaria (STA). Di talché, con l’intento di garantire maggiore
concorrenzialità nell’ambito della professione forense, si è, per un verso,
consentita la partecipazione al socio
non professionista e, per altro verso, disciplinata anche la STA
multidisciplinare costituita da avvocati e professionisti iscritti in diversi
Albi professionali. Trattandosi di lex specialis, la nuova disciplina della STA
di cui all’art. 4-bis della legge
n. 247/2012, prevale sulle generali previsioni contenute nell’art. 10 della legge n. 183 del 2011
e sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina contenuta nel D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96.
Essendo precluso agli avvocati partecipare a società
tra professionisti che non siano STA (3), si è reputato opportuno, dunque, procedere
con un ragionato raffronto tra la disciplina di riferimento per la STP
costituita ex lege n. 183/2011 e la disciplina
della STA ex art. 4-bis della
legge n. 247/2012, anche al fine di orientare i professionisti iscritti
all’Albo dei Commercialisti che intendano costituire STA multidisciplinari con
avvocati iscritti all’Albo degli esercenti la professione forense.
In tale
ultimo caso, difatti, considerata la specialità della normativa di riferimento
per la costituzione della STA, la legge generale
n. 183/2011 non trova applicazione e la STA, sebbene multidisciplinare, è
assoggetta allo “statuto” della società tra avvocati (4). Resta da considerare,
peraltro, se possa essere utile colmare eventuali vuoti normativi della
disciplina della STA tramite l’applicazione analogica delle disposizioni della legge n. 183/2011.
In conclusione, con l’intenzione di effettuare una
ricognizione completa degli aspetti di maggiore criticità, si è tentato di
fornire soluzioni circa alcune problematiche ancora aperte, quali sono, a
titolo d’esempio, quelle del riconoscimento del privilegio per i crediti
professionali e della eventuale non assoggettabilità delle STP al fallimento
(liquidazione giudiziale, de futuro).
2. I tipi societari
Per quanto concerne le STP costituite, costituite ai
sensi della legge n. 183/2011, dai
professionisti iscritti all’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti
Contabili, anche in società con altri professionisti ordinistici, l’art. 10, comma 3, della citata
legge continua a rappresentare la norma di riferimento relativa ai tipi
societari concretamente fruibili dai soci.
Come è noto, la disposizione consente “la
costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate
nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V, VI
del libro V del codice civile. Le società cooperative di professionisti sono
costituite da un numero di soci non inferiori a tre”.
Ferme restando le discipline di settore
specificatamente indirizzate ad alcune professioni, un primo generale corollario
che si evince con chiarezza dalla disposizione, e che occorre qui ribadire,
concerne l’ambito applicativo della legge n.
183/2011, destinata a disciplinare unicamente l’esercizio di attività
professionali regolamentate nel sistema ordinistico in forma societaria. Di
talché non possono essere costituite STP per l’esercizio di attività
professionali differenti da quelle regolamentate, svincolate dalla vigilanza
degli Ordini professionali e dei Ministeri preposti nonché dall’osservanza
delle previsioni degli Ordinamenti professionali e dei codici deontologici di
riferimento.
Di poi, la richiamata disposizione chiarisce che le
STP possono essere costituite ricorrendo, sia ai tipi societari delle società
di persone che a quelli delle società di capitali, ovvero anche al tipo della
società cooperativa, stabilendo, con riferimento a quest’ultima, che i soci
devono essere almeno tre.
Non rappresentando la società tra professionisti un
genere autonomo con causa propria (come invece avrebbe dovuto, con il
necessario corollario di una normativa che cogliesse più e meglio le esigenze
aggregative dei professionisti come invece il CNDCEC aveva promosso con il
progetto di legge sulle Società di Lavoro Professionale), tutti i tipi societari
ricompresi nella elencazione fornita dal legislatore possano essere impiegati
per l’esercizio dell’attività professionale, anche quelli delle società di
capitali.
Controversa la questione se il generico rinvio
effettuato ai modelli societari del titolo V dall’art. 10, comma 3, della legge n.
183/2011, consenta di includere anche le società a responsabilità
semplificata di cui all’art. 2463-bis c.c.,
seppur con gli accorgimenti che si rendano necessari in ragione della peculiare
disciplina che la contraddistingue.
Ciò posto, si ribadisce che, prescelto il modello,
lo statuto della STP sarà dettato dalle disposizioni relative al tipo
societario per come descritte nel codice civile, disposizioni che dovranno
essere necessariamente coordinate con la disciplina contenuta nella legge n. 183/2011 e nel D.M. n. 34/2013: è doveroso precisare, sin da
subito, che tramite la STP non si esercita attività di impresa bensì
un’attività professionale regolamentata, tanto che l’atto costitutivo deve
prevedere l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei
soci.
Preme già qui evidenziare che per “attività
professionale” non devono intendersi le sole attività riservate, bensì tutte le
attività tipiche di una professione, dunque certamente quelle elencate nella
legge di ordinamento professionale, così da evitare tra l’altro che sia
sottratta alla vigilanza deontologica l’attività non riservata che si pensasse
di svolgere per tramite di una STP.
La possibilità di fruire dei tipi societari
contemplati nel titolo V consente di concludere che la STP possa assumere la
forma di s.r.l. o s.p.a. unipersonale di cui unico socio sia un professionista
iscritto in ordini o collegi. Del resto, la normativa vigente non contiene
indicazioni in ordine al numero dei soci, ad eccezione di quanto esplicitato
per i soci di STP cooperativa: un minimo di soci (tre), come accennato, è
unicamente previsto per le società cooperative.
Per quanto concerne le STA, anche costituite con
iscritti all’Albo dei Commercialisti, l’art. 4-bis della legge 31 dicembre
2012, n. 247 è tornato a precisare che “l’esercizio della professione
forense in forma societaria è consentito a società di persone, a società di
capitali o a società cooperative”.
L’ordinamento forese non precisa il numero minimo
dei soci professionisti qualora si utilizzi il modello della società
cooperativa.
3. La sede
L’atto costitutivo della STP dovrà dare evidenza
della sede sociale della società e, conformemente a quanto previsto nell’ambito
della disciplina dei differenti tipi societari, anche di eventuali sedi secondarie.
La sede legale rileva, tra l’altro, ai fini di
iscrizione nella sezione speciale dell’Albo, dal momento che l’art. 9 del D.M. n. 34/2013
precisa che la domanda di iscrizione all’Albo è rivolta al Consiglio
dell’Ordine nella cui circoscrizione è posta la sede legale.
Alla luce di tale ultima previsione, è stato chiesto
al Consiglio Nazionale quale sia l’Ordine territoriale presso cui una STP debba
presentare istanza di iscrizione nella sezione speciale dell’Albo, qualora la
società abbia la propria sede legale in una circoscrizione diversa da quella
dell’Odine di appartenenza dell’unico socio professionista (5).
Il procedimento di iscrizione nell’Albo
professionale della STP è disciplinato negli artt. 8-10 del D.M. n. 34/2013.
L’art.
8 del D.M. n. 34/2013 impone alla STP di iscriversi in una sezione speciale
tenuta dall’Albo professionale a cui appartengano i soci professionisti,
precisando, al contempo, che la STP multidisciplinare è iscritta nella sezione
speciale dell’Albo professionale relativo all’attività individuata nello
statuto della società come prevalente. Questa disposizione sembra finalizzata a
precisare il regime disciplinare a cui la STP, una volta iscritta, risulterà
assoggettata. In proposito, si rammenta
che l’art. 10, comma 4,
della legge n. 183/2011, precisa che la STP è soggetta al regime
disciplinare (determinato in base alla professione dei soci professionisti)
dell’Ordine al quale risulti iscritta.
Per quanto attiene al procedimento di iscrizione,
come chiarisce l’art. 9 del D.M.
n. 34/2013, a seguito della presentazione della domanda corredata dalla
documentazione di cui ai commi 1 e 2, la STP si iscrive presso l’Ordine
territoriale nella cui circoscrizione è posta la sede legale della società e al
quale è demandata la cura dell’Albo a cui appartiene l’unico socio
professionista.
Effettuata la pubblicità presso la sezione speciale
del registro delle imprese, infatti, l’ordinamento demanda all’Ordine di
effettuare le verifiche in ordine alla ricorrenza delle condizioni richieste
dalla legge e dal regolamento anche per validare la regolarità della STP in
relazione alla legge professionale di riferimento.
In definitiva, la domanda di iscrizione della STP va
presentata presso l’Ordine in cui la società ha posto la propria sede legale.
Al termine della attività di verifica espletata dal Consiglio dell’Ordine, ai
sensi dell’art. 9, comma 3, del
D.M. n. 34 /2013, la STP verrà iscritta nella sezione speciale dell’Albo la
cui tenuta è curata dal Consiglio dell’Ordine che riceve la domanda e che è
tenuto a esprimersi circa la ricorrenza delle condizioni prescritte dalla
normativa.
Anche nel caso in cui l’unico socio professionista
della società risulti iscritto nell’Albo tenuto da un Ordine territoriale
differente, la domanda di iscrizione della STP dovrà essere presentata presso
l’Ordine nella cui circoscrizione risulta posta la sede legale della società.
Iscritta la STP nella sezione speciale dell’Albo, il socio professionista
provvederà a comunicare all’Ordine di appartenenza la partecipazione nella STP.
4. La denominazione o la ragione sociale
Come precisa l’art. 10, comma 5, della legge n.
183/2001, la denominazione sociale della STP, in qualunque modo formata,
deve contenere l’indicazione di società tra professionisti.
L’art.
9, comma 3, del D.M. n. 34/2013, colmando una lacuna della legge n. 183/2011, in occasione del procedimento
di iscrizione della STP nella sezione speciale dell’Albo, accenna alla ragione
sociale della società costituita e svolgente l’attività professionale con la
forma di società di persone (6). Ne consegue che la STP, a seconda dei casi,
indicherà nell’atto costitutivo la propria ragione sociale o la propria
denominazione sociale formata secondo i criteri indicati nel codice civile per
il tipo societario effettivamente utilizzato, con la necessaria e ulteriore
precisazione che si tratta di società tra professionisti.
Di qui, possono trarsi alcune conclusioni.
Nel caso di società semplice, mancando previsioni
codicistiche che disciplinano la formazione della ragione sociale per dare
evidenza del rapporto sociale, dovrebbe essere consentito l’utilizzo della
semplice espressione “società tra professionisti” senza ulteriori inserimenti.
Laddove la STP sia costituita nella forma di s.n.c., ovvero secondo il tipo
societario della s.a.s., nella ragione sociale andranno doverosamente inseriti
il nome di uno o più soci illimitatamente responsabili.
Fermo restando quanto sopra, non sembra necessario
inserire nella ragione sociale o nella denominazione sociale della STP i nomi
dei soci professionisti o l’indicazione della professione o delle professioni,
quando si tratti di una STP multidisciplinare, esercitate dai soci
professionisti.
Del pari, non si rinvengono nella normativa di
riferimento divieti circa la possibilità di utilizzare formule di fantasia.
Trattandosi di società costituite non per l’esercizio di un’attività di
impresa, bensì esclusivamente per l’esercizio di una o più attività
professionali e come tali tenute all’osservanza delle regole deontologiche e
del necessario decoro che caratterizza l’esercizio delle professioni ordinistiche
(7), un necessario supplemento di attenzione si imporrà quando si intenda
utilizzare formule di fantasia. Tali considerazioni sono spendibili anche per
le STP costituite per lo svolgimento di più attività professionali.
Alcune precisazioni si impongono con riguardo ai
criteri da impiegare per la formazione della denominazione o della ragione
sociale della STA. Per quanto di diretto interesse, anche nei casi in cui
partecipino soci professionisti iscritti all’Albo dei Commercialisti, l’art.4-bis, comma 6-bis, della legge
n. 247/2012 precisa che le STA, in qualunque forma costituite, sono tenute
a prevedere e inserire nella rispettiva denominazione (o ragione) l’indicazione
“società tra avvocati”.
5. I soci
L’art.
10, comma 4, lett. b), della legge n. 183/2011, precisa che l’atto
costitutivo della STP può prevedere l’ammissione in qualità di soci:
i) dei soli professionisti iscritti ad ordini o
collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri
dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante;
ii) di soggetti non professionisti soltanto per
prestazioni tecniche o per finalità di investimento.
Con riferimento alla categoria sub i), come chiarito
in diverse occasioni dai documenti di prassi elaborati dalle professioni
regolamentate, unicamente gli iscritti in Albi o in Elenchi, ai sensi dell’art. 2229 c.c., che siano tenuti da Ordini o
Collegi professionali possono essere soci professionisti della STP. Per fare
maggior chiarezza sull’ambito applicativo delle previsioni, è d’obbligo
richiamare l’art. 1, lett. a) del
D.P.R. n. 137/2012, secondo il quale per professione regolamentata si
intende l’attività o l’insieme di attività il cui esercizio è consentito solo a
seguito di iscrizione in ordini o collegi subordinatamente al possesso di
qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità.
Stando alla medesima disposizione, inoltre, per professionista si intende colui
che esercita la professione per come descritta nella menzionata lett. a) (art. 1, lett. b) D.P.R. n. 137/2012).
Si può concludere, dunque, che soci professionisti
della STP possono essere unicamente gli iscritti in Albi o Elenchi di
professioni c.d. regolamentate, od ordinistiche.
Soggetti appartenenti alle c. d professioni non
ordinistiche, ovvero soggetti abilitati a svolgere attività di prestazione di
servizi o di opere iscritti in registri tenuti da enti differenti da Ordini o
Collegi, possono partecipare alla STP meramente in qualità di soci di
investimento o di soci per prestazioni tecniche.
Allo stesso modo, possono partecipare a STP
multidisciplinari unicamente professionisti iscritti in Albi o Elenchi tenuti
da Ordini o Collegi professionali, anche se differenti. In tale ipotesi, la
compagine sociale della STP deve essere composta da soci professionisti
abilitati per l’esercizio di ciascuna attività professionale dedotta
nell’oggetto sociale della STP (8).
Stando alla lettera a) dell’art. 10, comma 4, della legge n.
183/2011, i soci professionisti possono essere iscritti anche in differenti
sezioni dell’Albo.
La precisazione effettuata dal legislatore è stata
foriera di non poche incertezze. In particolare, da più parti è stato chiesto
se un socio iscritto nell’Elenco speciale dell’Albo tenuto dall’Ordine
professionale possa partecipare come socio professionista.
Anche in tale ipotesi, occorre coordinare le
previsioni dettate dalla legge n. 183/2011,
con quelle previste dal diritto comune per l’esercizio di professioni
regolamentate e con quelle speciali contenute nei singoli ordinamenti
professionali.
Abbiamo già messo nella dovuta evidenza, che la
lett. b) del succitato art. 1, del
D.P.R. n. 137/2012 qualifica come “professionista” chi esercita una
professione regolamentata come sopra qualificata. Per i Commercialisti, in base
alle disposizioni di cui all’art.
34, comma 8, del D.lgs. n. 139/2005, l’iscrizione nell’elenco speciale è
riservata a coloro che non possono esercitare la professione. L’iscritto
nell’Elenco speciale, in altri termini, non può esercitare, neanche
occasionalmente, la professione di Commercialista.
La combinazione delle disposizioni del D.lgs. n. 139/2005 e di quelle dell’art. 10 della legge n. 183/2011
consente di concludere che il soggetto iscritto nell’Elenco speciale, di cui
all’art. 34 del D.lgs. n. 139/2005,
può partecipare ad una STP in qualità di socio di investimento ovvero di socio
che fornisca mere prestazioni tecniche, ma non come socio professionista. Con
l’ulteriore corollario che l’iscritto nell’elenco speciale non può essere
computato ai fini del raggiungimento delle maggioranze richieste per la
partecipazione dei soci professionisti alla STP (9). Soffermiamoci, a questo
punto, sulle categorie di soci ricompresi sub ii), e, segnatamente, sul socio
per prestazioni tecniche.
Costui non è un socio professionista e non può
svolgere le prestazioni professionali che in base alle risultanze dell’atto
costitutivo e in base alle competenze previste negli ordinamenti professionali
di appartenenza sono riservate solo ai soci professionisti. Si tratta,
piuttosto, di un socio che fornisce mansioni ancillari, rispetto all’attività
della STP, quali ad esempio la gestione delle risorse umane o la gestione dei
sistemi informatici. Il conferimento della prestazione tecnica sarà possibile
solo nei tipi societari in cui la prestazione d’opera è consentita. Nelle STP
s.p.a., pertanto, il socio può eseguire la prestazione tecnica ai sensi dell’art. 2345 c.c., vale a dire come prestazione
accessoria e aggiuntiva rispetto al conferimento.
Quanto al socio per finalità di investimento, si
tratta di un soggetto che apporta capitale, che non svolge attività
professionale ma che deve essere in possesso di specifici requisiti di
onorabilità, come stabilisce l’art.
6 del D.M. n. 34/2013 (10).
Occorre mettere nella dovuta evidenza che, nella
disciplina delle STA, l’art.
4-bis, comma 2, legge 31 dicembre 2012, n. 247, pur stabilendo che i soci,
per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere
avvocati iscritti all’Albo, ovvero avvocati iscritti all’Albo e professionisti
iscritti in Albi di altre professioni, non contiene riferimenti alle categorie
del socio con finalità di investimento e del socio per prestazioni tecniche.
L’ordinamento forense enfatizza, inoltre, la
necessità che il socio partecipi direttamente alla STA. Gli ultimi periodi del
summenzionato comma 4-bis, infatti, precisano che “È vietata la partecipazione
societaria tramite società fiduciarie, trust o per interposta persona”.
Nell’ottica di suggerire possibili modifiche della legge n. 183/2011, pertanto, la riproposizione
del divieto anche per le STP sarebbe opportuna.
L’aspetto della partecipazione indiretta ad una STP
è stato oggetto di alcuni chiarimenti da parte del CNDCEC., a cui gli Ordini
potrebbero comunque ispirarsi.
Al riguardo, è stato oggetto di quesito se una STP
s.r.l. costituita nel pieno rispetto delle disposizioni di cui all’art. 10, comma 4, lett. b) della
legge n. 183/2011 e in ossequio alle indicazioni fornite dallo stesso
CNDCEC, possa essere partecipata con quota minoritaria da una persona fisica
nella sua qualità di trustee che interviene nella sottoscrizione del capitale
in nome e conto di un trust (11). Come accennato, l’aspetto della
partecipazione alla STP per mezzo di società fiduciaria ovvero per mezzo di
trust o per interposta persona non è espressamente considerato nella legge n. 183/2011 né nel D.M. n. 34/2013; nella stessa legge n. 183/2011 e nello stesso D.M. n. 34/2013, invero, non esistono divieti
espressi in tal senso.
Occorre sottolineare, peraltro, che il corredo
normativo vigente contempla l’ipotesi che socio di una STP possa essere un
soggetto differente dalla persona fisica, restringendo l’ambito applicativo
esclusivamente alla partecipazione di altre società che non siano a loro volta
STP.
Depone espressamente in tal senso l’art. 6, comma 5, del D.M. n. 34/2013
quando precisa che la verifica dei requisiti di onorabilità richiesti in capo
al socio per finalità di investimento persona fisica dallo stesso art. 6, commi 3 e 4, vada
effettuata rispetto ai legali rappresentanti e agli amministratori della
società che intenda partecipare alla STP.
È del pari evidente che il legislatore si sia
premurato di consentire la partecipazione nella STP solo ed esclusivamente a
soggetti che possano distinguersi agevolmente dai propri amministratori, che
siano dotati di una certa soggettività e autonomia giuridica e che possano
essere adeguatamente e agevolmente individuati nell’ambito della compagine
della società tra professionisti.
Il trust, come è noto, non ha autonomia né
soggettività giuridica. In senso conforme si è già espressa la giurisprudenza
secondo la quale il trust non è un soggetto giuridico dotato di propria
personalità, mentre il trustee è la persona di riferimento nei rapporti con i
terzi che agisce non in funzione di “legale rappresentante” di un inesistente
soggetto distinto, ma come soggetto che dispone del diritto (12). Il raffronto
con le disposizioni di cui all’art.
4-bis della legge n. 247/2012, e una lettura delle disposizioni secondo
criteri di ragionevolezza, orientano l’interpretazione in senso negativo.
Di importante rilievo, per le ricadute che la
disposizione reca in relazione anche ai poteri di vigilanza attribuiti agli
Ordini professionali, è la previsione di cui alla lett. b) dell’art. 10, comma 4, della legge n.
3/2012 che annovera tra coloro che possono essere soci professionisti i ”
… cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del
titolo di studio abilitante”. Con tale formulazione, il legislatore non ha
preteso, come invece avrebbe dovuto quantomeno per non creare ingiustificate
disparità di trattamento con i soci professionisti cittadini italiani, che il cittadino
UE abbia conseguito il riconoscimento del titolo professionale attraverso le
procedure esistenti per i Commercialisti come per tutte le altre Professioni.
Una lettura della disposizioni aderente al testo,
sembra astrattamente consentire che un cittadino UE possa essere socio professionista di STP
esibendo il possesso di un semplice titolo di studio che, nel suo Paese, lo
abilita allo svolgimento di una attività professionale, anche se per
l’esercizio della stessa professione viene richiesto in Italia, un adeguato
periodo di tirocinio, il superamento dell’esame di Stato, costituzionalmente
riconosciuto quale requisito e condizione di validità per l’esercizio della
professione, e la successiva iscrizione all’Ordine. La problematicità della
previsione poc’anzi menzionata, nel senso da noi indicato, inoltre, si coglie
appieno considerando che, per tramite della normativa sulla STP, si rende
possibile aggirare le rigorose regole con cui, da anni, si tengono gli esami
compensativi per riconoscere in Italia i titoli abilitanti di altri Paesi.
Anche tale disposizione, pertanto, necessiterebbe di
un intervento correttivo che subordini la partecipazione alla STP da parte di
cittadini degli Stati membri, al riconoscimento del titolo professionale
conseguito all’estero, secondo la normativa vigente.
5.1. La partecipazione dei soci professionisti al
capitale della società e sulle maggioranze
L’art. 10, comma 4, lett. b) dispone che il numero
dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale deve essere
tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni
dei soci. La medesima disposizione chiarisce altresì che il venir meno della
condizione costituisce causa di scioglimento della società e il Consiglio
dell’Ordine presso il quale risulta iscritta è tenuto a procedere alla
cancellazione della stessa dall’Albo, salvo che la STP non abbia provveduto a
ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei
mesi.
Circa l’interpretazione delle accennate previsioni,
il Tribunale di Treviso con Ordinanza n. 3438 del
20 settembre 2018, unico precedente rinvenibile, ha chiarito che ” …Il
requisito della prevalenza dei soci professionisti sia nella partecipazione al
capitale sociale che nel numero dei soci è prescritto dalla legge in via
cumulativa senza possibilità di eccezione alcuna, stante la lettera della norma
laddove statuisce che “in ogni caso” i soci professionisti devono sia
possedere la maggioranza del capitale sociale che essere in numero tale da
garantire la maggioranza dei due terzi nelle deliberazioni, a prescindere,
quindi, dal metodo di voto (per quote o per teste)”.
La questione è tuttora aperta. Considerati gli
auspici dell’Antitrust rivolti al legislatore in occasione della relazione
annuale sul funzionamento dell’autorità (13) e finalizzati all’ elaborazione di
un testo di modifica legislativa di immediata comprensione e generalizzata
condivisione che possa essere finalmente risolutivo delle differenti interpretazioni
emerse su tutto il territorio nazionale da parte dei professionisti e degli
Ordini interessati in ordine all’applicazione del disposto normativo, il CNDCEC
ha ritenuto opportuno suggerire ai propri iscritti e agli Ordini di assumere un
atteggiamento prudenziale, consentendo l’iscrizione alla sezione speciale
dell’Albo alle STP nelle quali ai soci professionisti sia assicurata la
maggioranza di due terzi nelle decisioni dei soci, pur possedendo questi ultimi
una quota di partecipazione inferiore ai due terzi dell’intero capitale sociale
o essendo numericamente inferiori ai due terzi dei soci.
Mette conto rilevare, al riguardo, che la soluzione
tratteggiata non è del tutto soddisfacente per “arginare” eventuali
intromissioni dei soci non professionisti nell’assunzione delle decisioni della
STP.
Eventuali previsioni statutarie, impiegate per
garantire ai professionisti maggiore incisività nell’assunzione delle decisioni
rispetto ai soci non professionisti, che prescindano dalle quote di partecipazione
al capitale possedute, non escludono la possibilità che il voto del socio non
professionista possa divenire determinante per l’assunzione delle decisioni.
Degna di nota, al riguardo, è l’ulteriore riflessione da spendere circa la
possibilità che lo statuto, prevedendo quorum deliberativi superiori ai 2/3,
possa consentire ai soci non professionisti di acquisire un peso determinante
nelle decisioni.
Sembra utile, dunque, raffrontare la disciplina
della legge n. 183/2011 con quella dell’art. 4-bis, comma 2, lett. a), della
legge n. 247/2012.
Nella STA i soci, per almeno due terzi del capitale
sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’Albo, ovvero
avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in Albi di differenti
professioni. Tale disposizione, prevedendo che i soci professionisti prevalgono
sia per voto che per quote di partecipazione al capitale sociale della STA, è
finalizzata a delimitare l’ambito di influenza dei soci non professionisti, pur
rimanendo valide le considerazioni sopra esposte con riferimento alla
possibilità che lo statuto possa richiedere per l’assunzione delle decisioni o
delle deliberazioni quorum più elevati rispetto ai due terzi. In ogni caso, la
regola declinata nella lett. a) del comma 2 si collega a quella affermata nella
lettera b), in forza della quale la maggioranza dei membri dell’organo di
gestione deve essere composta da soci avvocati (14). L’intento del legislatore,
in questo caso, è di garantire ai soci avvocati un ruolo preponderante nella
governance della STA.
Nella prospettiva de jure condendo cui accennava
l’Antitrust e con l’obiettivo di rafforzare la posizione dei soci
professionisti nelle STP aperte all’investimento, sarebbe auspicabile proporre
modifiche delle disposizioni relative alle partecipazioni dei soci della STP
che, al contempo, garantiscano che la gestione della STP sia riservata, almeno
per la maggioranza, ai soci professionisti.
5.2. La prestazione professionale dei soci
La legge n. 183/2011
tace circa le modalità degli apporti e dei conferimenti dei soci
professionisti; la lacuna può essere colmata con una previsione di statuto
sulla base, ovviamente, della disciplina relativa al tipo societario prescelto
in sede di costituzione.
Innanzitutto, la prestazione professionale può
essere effettuata a titolo di conferimento a cui è correlata l’assunzione della
qualifica di socio e l’acquisto delle partecipazioni nella STP, nei limiti di
compatibilità con l’ordinamento societario. Il conferimento d’opera, infatti,
se è consentito nelle società di persone e nella s.r.l., incontra nelle s.p.a.
il divieto di cui all’art. 2342, comma quinto, c.c.(15).
Nella s.p.a. si può ricorrere all’istituto della
prestazione accessoria che, oltre al particolare regime di trasferibilità delle
azioni a cui è connesso l’obbligo della prestazione, consente di determinare
particolari sanzioni in caso di inadempimento del titolare; inoltre, a fronte
dell’apporto professionale da parte del socio professionista, la STP s.p.a. può
emettere strumenti finanziari partecipativi di cui all’art. 2346, sesto comma, c.c.
Come accennato, nel silenzio della legge, il
professionista può non essere un socio d’opera, conferendo denaro o altri beni
e obbligandosi di volta in volta, in base a specifici accordi con la STP, ad
effettuare la propria prestazione; il professionista può essere anche un
dipendente dalla società e, in tale ultimo caso, il rapporto di lavoro con la
STP sarà disciplinato dalla normativa vigente.
Al riguardo va segnalata la differente impostazione
adottata nel vecchio progetto della SLP presentato dal CNDCEC nel 2010 che, di
seguito, si riporta in sintesi.
In quel progetto, l’obbligo di conferimento da parte
dei soci professionisti aveva ad oggetto la prestazione di lavoro intellettuale
del socio. Salvo diversa pattuizione, il valore del conferimento dell’opera
intellettuale era determinato dai soci concordemente e ad esso è commisurata la
partecipazione agli utili. L’aspetto della “retribuzione” dei soci era oggetto
di attenzione specifica attenzione da parte del progetto di legge sulla SLP.
Sul punto, il progetto di legge prevedeva che gli amministratori valutavano il
conferimento dell’opera dei soci al termine dell’esercizio sociale e propongono
ai soci la percentuale di partecipazione agli utili ai fini della relativa
approvazione da parte degli stessi. I compensi derivanti dall’esercizio
dell’attività professionale dei soci, resa contestualmente sia ai clienti in
esecuzione dell’incarico ricevuto, che alla società in esecuzione dell’obbligo
di conferimento della loro opera intellettuale, costituivano crediti della società,
mentre, al termine dell’esercizio sociale i conferimenti di opera
intellettuale, che non avevano fatto ancora sorgere crediti a favore della
società costituivano prestazioni professionali in corso di esecuzione e
venivano valutati dagli amministratori. Oltre all’obbligo del conferimento
dell’opera intellettuale, il contratto sociale poteva stabilire l’obbligo dei
soci, o di alcuni di essi, di effettuare conferimenti accessori in denaro,
crediti, beni in natura o prestazioni di servizi, mentre ai soci non
professionisti era imposto il conferimento di denaro società, di crediti o beni
in natura oppure di prestazioni tecniche. In ogni caso, il progetto di legge
prevedeva che la quota di partecipazione agli utili connessa ai conferimenti
accessori effettuati dai soci professionisti e dai soci non professionisti non
può essere superiore al 25%.
Con riferimento a tale aspetto, veniva precisato che
qualora ricorrevano conferimenti di mezzi e particolarmente laddove questi
fossero effettuati, se consentito, anche da soci non professionisti, la
remunerazione, in termini di distribuzione dell’utile, del lavoro intellettuale
doveva essere tenuta distinta da quella dei conferimenti di mezzi, con decisa
prevalenza della remunerazione a favore del primo, e con modalità distinte da
definire nello statuto, nel quale ricorreranno gli ordinari canoni societari
per i conferimenti di mezzi.
In sede di prima applicazione della legge n. 3/2012, alcune incertezze si sono
riscontrate proprio in ordine alle modalità di effettiva retribuzione dei soci.
Nella s.p.a., come è noto, vige la regola generale
del divieto di pagamento dei dividendi se non per utili realmente conseguiti e
risultanti da un bilancio regolarmente approvato e sempre che, qualora si sia
verificata una perdita, il capitale sociale sia stato reintegrato o ridotto in
misura equivalente. La distribuzione dell’utile, inoltre, è subordinata
all’assunzione da parte dei soci di una deliberazione dei soci.
La distribuzione di acconti sui dividendi, poi, è
limitata al ricorrere delle condizioni fissate nell’art.
2433-bis c.c. e peraltro limitata, secondo il testo di tale disposizione,
alle società il cui bilancio è assoggettato per legge a revisione legale, secondo
il regime previsto dalle leggi speciali per gli enti di interesse pubblico.
Nelle STP che adottino la forma della s.p.a.,
l’utilizzo dell’istituto della prestazione accessoria può agevolare la
retribuzione in corso d’esercizio dei professionisti, anche i più giovani,
incentivandone la partecipazione alla STP. Al riguardo, la disciplina
riveniente dall’art. 2345 c.c. precisa che le
azioni a cui è connesso l’obbligo delle prestazioni accessorie devono essere
nominative e non possono essere trasferite se non con il consenso degli
amministratori. Le prestazioni accessorie, poi, danno diritto al riconoscimento
di un compenso per la cui determinazione, sempre per espressa previsione dell’art. 2345, primo comma, c.c., devono essere
osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse
prestazioni. Riconosciuto allora il diritto al compenso del professionista che
si obbliga verso la STP con la prestazione accessoria a fornire la propria
attività professionale, tale ultima precisazione è un importante monito rivolto
ai soci della STP ad indicare nell’atto costitutivo criteri che possano
garantire un compenso equo e adeguato all’importanza dell’opera e al decoro
della professione, come impone l’art. 2333, secondo
comma, c.c.
Nelle s.r.l. le previsioni degli artt. 2478-bis c.c. e 2479
c.c. replicano i contenuti di quelle dettate per le s.p.a., fissando il
principio per cui gli utili possono essere distribuiti se i soci approvino il
bilancio e decidano sulla relativa distribuzione.
In tali società, peraltro, una clausola dell’atto
costitutivo potrebbe attribuire ai soci un diritto particolare ex art. 2468 c.c. alla percezione degli utili
conseguiti indipendentemente dalla decisione dei soci relativa alla
distribuzione, in diretta continuità con quanto avviene nelle società di
persone.
Purtuttavia, va precisato che secondo un autorevole
orientamento, nonostante l’obbligo di prestazioni accessorie faccia parte della
disciplina della s.p.a., non sarebbe precluso all’autonomia negoziale dei soci
inserirlo anche negli statuti delle s.r.l.
Nella disciplina delle società di persone, il socio,
salvo patto contrario, vanta un diritto soggettivo all’utile ma tale diritto è
in ogni caso subordinato all’approvazione del rendiconto o del bilancio, come
prevede l’art. 2262 c.c.
La possibilità di derogare alla regola suesposta con
specifiche previsioni di statuto, consente ai soci delle società di persone di
poter conseguire acconti sugli utili prima dell’approvazione del rendiconto,
come, peraltro, è diffuso nelle prassi. È stata ritenuta pertanto legittima la
prassi di corrispondere una somma con cadenza mensile al socio d’opera a titolo
di acconto sugli utili (16). Resta inteso che nelle s.n.c. e nelle s.a.s.
troverà applicazione il principio in base al quale la ripartizione degli utili
è vietata in presenza di una perdita sul capitale fino a che il capitale
medesimo non sia stato reintegrato o ridotto in misura corrispondente.
Nelle STP costituite come società personali il socio
professionista conferente la propria opera professionale potrà essere
periodicamente remunerato con una somma versata come acconto sugli utili.
6. Il conferimento dello studio
Occorre comprendere se nella STP possa essere
conferito lo studio professionale. A fronte del conferimento dello studio, il
professionista acquista partecipazioni della STP di cui diventa socio
professionista (17). La liceità dell’operazione dipende dalla possibilità di
conferire la clientela dello studio.
Ciò che oggi è sicuramente lecito, è unicamente il
conferimento della prestazione d’opera, ovvero l’apporto d’opera od anche la
prestazione accessoria dell’opera professionale del singolo professionista,
secondo la disciplina del tipo societario prescelto in sede di costituzione per
la STP. La questione, come è intuibile, è di una certa importanza e implica
l’emersione, almeno sotto un profilo meramente economico, del concetto di
avviamento professionale ogni qualvolta l’oggetto del conferimento non sia la
prestazione intellettuale del professionista bensì lo studio inteso come
complesso di beni materiali e immateriali organizzati al fine dell’esercizio
dell’attività professionale (18). Letta in questi termini, le problematiche
correlate al trasferimento dell’avviamento e della clientela, sono state
ampiamente dibattute in relazione alla cessione dello studio professionale e
affrontate dal documento della FNC “Evoluzione dello studio professionale in
STP” del 15 gennaio 2015.
Il formante giurisprudenziale formatosi anni
addietro che escludeva la possibilità di concludere un valido contratto di
cessione dello studio professionale, è stato più recentemente superato dalla
giurisprudenza di legittimità che ha riconosciuto pienamente lecito il
contratto di cessione dello studio e della clientela dietro versamento di un
corrispettivo (19).
La giurisprudenza è approdata ad una nuova
concezione di avviamento professionale in linea con il concetto
dell’organizzazione dell’attività professionale.
Dopo l’epoca di importanti pronunce delle Sezioni
Unite in cui si chiarisce che il professionista non è un imprenditore e che lo
studio professionale non è un’azienda poiché in esso primeggiano l’attività e
la capacità del professionista rispetto all’organizzazione dei beni che
connotano lo studio e in cui si pone il luce come il concetto di clientela sia
influenzato dal nome, dalla professionalità e dalla capacità del professionista
e dalla fiducia che egli esprime (20) e dunque non sia autonomamente
valutabile, la Corte mette in evidenzia, già in epoca anteriore all’emanazione
del d.l. n. 223/2006 (21), come in alcuni casi
la netta demarcazione studio/azienda tenda ad attenuarsi, rendendo opportuna,
pertanto, una valutazione caso per caso con riferimento alla liceità del
contratto di cessione dello studio e di cessione della clientela.
In questo orientamento si inquadrano le pronunce
della Cassazione secondo le quali anche gli studi professionali possono essere
organizzati in forma di azienda ogni qualvolta al profilo personale
dell’attività concretamente svolta si affianchino un’organizzazione di mezzi e
strutture, un numero di titolari e di dipendenti e un’ampiezza dei locali
adibiti per l’esercizio dell’attività tali che il fattore organizzativo e
l’entità dei mezzi impiegati sovrastino l’attività professionale del titolare
o, quantomeno, si pongano rispetto ad essa come un’entità giuridica dotata di
una propria autonomia strutturale e funzionale che è suscettibile di una
propria valutazione economica nell’ambito del contratto posto in essere dalle
parti secondo quanto disposto dagli artt. 2238,
2112, 2255 c.c.
(22).
Rispetto a tali realtà il contratto di cessione
dello studio condivide la disciplina applicabile al trasferimento d’azienda,
emergendo, a livello interpretativo, la fattispecie della cessione della c.d.
azienda professionale.
Nei contesti maggiormente organizzati, pertanto, la
cessione dello studio comprensivo della cessione della clientela e
dell’avviamento viene definitivamente ammessa.
Il principio esposto con riferimento a tali
tipologie di studi o associazioni professionali (23) è stato rielaborato dalla
Cassazione in occasione di giudizi vertenti su cessioni di studi professionali
di piccole dimensioni (24).
In questa occasione la Corte, oltre ad affermare che
il professionista non è un imprenditore (25), che lo studio non è un’azienda e
che la clientela fondata sulla fiducia personale non si ricollega ad un
substrato oggettivo, si sofferma sull’evoluzione legislativa degli ultimi anni
che ha inciso in modo significativo la stessa concezione dell’attività
professionale, svincolandola dallo stereotipo dell’esercizio in forma
individuale e consentendone l’esercizio in forma societaria (26).
Nei casi in cui l’aspetto organizzativo prevalga su
quello personale dell’attività professionale, la Cassazione, in linea con i
precedenti, riafferma che la vicinanza tra studio professionale e azienda tende
ad accentuarsi con le accennate ricadute sotto il profilo della qualificazione
del contratto in termini di cessione di azienda (professionale) (27).
Nei casi in cui tale prevalenza non si realizzi e la
persona del professionista resti elemento fondamentale all’interno
dell’organizzazione dello studio, la Corte ritiene comunque lecito e
validamente stipulato in base al principio dell’autonomia negoziale declinato
nell’art. 1322 c.c. (28) il trasferimento a
titolo oneroso dell’attività comprensivo di arredi, di beni strumentali, di
rapporti contrattuali di fornitura e della clientela (29).
In particolare, con riferimento alla clientela, non
è possibile ipotizzare una cessione in senso stretto: l’insormontabile
principio dell’intuitus personae su cui si fonda il rapporto tra cliente e
professionista e, per quanto sopra detto con riferimento al concetto stesso di
clientela, l’indeterminatezza dell’oggetto renderebbero nullo il contratto di
cessione.
Si tratta, allora, di approdare ad una differente
soluzione della questione privilegiando l’interpretazione che implica
l’insorgere di un rapporto obbligatorio tra i professionisti interessati.
In altri termini, secondo i giudici di legittimità,
il contratto risulterà validamente stipulato ex art.
1322 c.c. in quanto diretto a realizzare un interesse meritevole di tutela,
ogni volta in cui il professionista cedente si sia impegnato a favorire la
prosecuzione del rapporto professionale tra i propri clienti e il
professionista che subentra e abbia in concreto assunto obblighi positivi di
fare (quali l’attività promozionale di presentazione e di canalizzazione) (30)
e obblighi negativi di non fare (quale l’astensione dall’esercizio della stessa
attività nello steso luogo) che possono essere autonomamente valutati ai fini
della determinazione del corrispettivo.
Alla luce di quanto sopra detto in ordine alla
cessione a titolo oneroso, l’emersione del concetto della c.d. azienda
professionale relativamente agli studi di grandi dimensioni consentirebbe di
ritenere valido il conferimento dello studio professionale nella STP, a fronte
del quale il professionista previa valutazione anche dell’avviamento e della
clientela, riceverebbe quote di partecipazione nella società conferitaria, con
applicazione dei criteri declinati per i conferimenti in natura e delle
disposizioni dettate in tema di trasferimento di azienda, nei limiti di
compatibilità (31). Nel caso in cui il professionista si obblighi rispetto alla
conferitaria ad adempiere quegli obblighi di fare o di non fare così come
enunciati dalla Suprema Corte, si sarebbe in presenza di un conferimento di
servizio o d’opera o di una prestazione accessoria con particolari ricadute sul
piano delle modalità dell’impegno secondo la disciplina del tipo societario
utilizzato.
7. L’amministrazione della STP
Nell’art.
10 della legge n. 183/2011 non esistono disposizioni che affidano
l’amministrazione della società ai soci professionisti. In assenza di
specifiche previsioni di legge, lo statuto potrà determinare la composizione
numerica e personale dell’organo di amministrazione. L’organo di
amministrazione potrebbe dunque astrattamente essere composto – anche
esclusivamente – da soggetti estranei alla compagine societaria. Una simile
prospettiva che potrebbe comportare ricadute sul piano della disciplina
generalmente applicabile, come avremo modo di chiarire nel prosieguo.
Al riguardo, si segnala l’orientamento di quanti
ritengano maggiormente appropriato, trattandosi di società costituite per
l’esercizio di attività professionali e non per l’esercizio di un’attività di
impresa, che lo statuto affidi l’amministrazione della STP esclusivamente ai
soci e, segnatamente, ai soci professionisti, anche ricorrendo, dove consentito
dalla disciplina di riferimento del tipo societario, al confezionamento di
clausole che attribuiscano ai soci professionisti particolari diritti
riguardanti l’amministrazione della società, ovvero ad accorgimenti che possano
“sterilizzare” l’influenza dei soci non professionisti in occasione della
nomina dell’organo di amministrazione.
L’opzione interpretativa di riservare
l’amministrazione della STP solo ai soci professionisti si lascia preferire,
vuoi per quanto prevede l’art. 2238, comma primo,
c.c., come si avrà modo di precisare nel prosieguo (32), vuoi perché
l’esecuzione dell’incarico conferito alla STP è lasciata alla discrezionalità
del professionista in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della
prestazione professionale.
Sarebbe opportuno, dunque, che quest’ultimo svolga
la propria attività libero da condizionamenti e svincolato da logiche ispirate
non tanto dall’interesse del cliente, quanto dall’ interesse economico dei soci
investitori. Sul punto, occorre mettere nella dovuta evidenza che l’attuale
corredo normativo non garantisce i soci professionisti da possibili ingerenze
da parte del socio investitore.
I criteri ideati rispetto alla partecipazione dei
soci professionisti e la previsione per cui il socio professionista può opporre
agli altri soci il segreto concernente le attività professionali a lui affidate
(33), infatti, non sembrano
assolutamente adeguati per ridimensionare il ruolo assunto dal socio non
professionista all’interno della società (34).
Diversa la questione circa l’attribuzione
dell’amministrazione a soggetti esterni quando la disciplina del tipo
societario lo consenta. Nelle STP maggiormente strutturate e di più ampie
dimensioni, infatti, i soci potrebbero valutare positivamente l’opportunità di
affidare l’amministrazione della società anche a soggetti che possano vantare
particolari competenze nella gestione. Tale valutazione, però, deve essere
assunta con la consapevolezza che la gestione da parte di soggetti che non
apportano la propria attività professionale ma si limitano ad organizzare
quella di altri potrebbe realizzare la fattispecie di cui all’art. 2238, comma primo, c.c., in cui, come è noto
l’attività professionale costituisce elemento di un’attività organizzata in
forma di impresa. In buona sostanza. parrebbe coerente con l’impostazione
legislativa un organo amministrativo a trazione professionale, così da
confermare anche a livello esecutivo che le decisioni dei soci siano
prevalentemente di origine professionale, pur apprezzando la possibilità di
fruire delle competenze di soggetti non professionisti che ben possono
contribuire alla amministrazione della società che è la formula organizzativa
prescelta dai soci professionisti per lo svolgimento congiunto dell’attività.
In proposito, occorre mettere nella dovuta evidenza,
peraltro, che l’ordinamento forense effettua una scelta di fondo circa
l’amministrazione della STA.
L’art.
4-bis, comma 2, della legge n. 247/2012 stabilisce che:
– la maggioranza dei membri dell’organo di gestione
deve essere composta da soci avvocati;
– i componenti dell’organo di gestione non possono
essere estranei alla compagine sociale;
– i soci professionisti possono rivestire la carica
di amministratori.
Da quanto sopra, deriva il corollario che, stando
alla legge forense, nelle STA non è consentito affidare l’amministrazione a soggetti estranei alla
compagine; i componenti dell’organo di gestione, inoltre, anche in presenza di
professionisti iscritti in Albi differenti o di soci non professionisti, devono
essere per la maggioranza avvocati.
8. L’oggetto sociale
L’art.
10 della legge n. 183/2011 precisa che:
– la costituzione di STP è consentita per
l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico
(35);
– l’atto costitutivo della STP deve prevedere
l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci
(36).
Come evidenziato, tale esercizio è consentito solo
ai soci che siano iscritti negli Albi e negli Elenchi delle c.d. delle
professioni regolamentate (art.
10, comma 4, lett. b).
L’art.
1, comma primo, lett. a) del D.M. n. 34/2013, chiarisce ulteriormente che
la STP ha come oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le
quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel
sistema ordinistico (art. 1, comma primo, lett. a). In particolare, la STP
multidisciplinare come si evince dall’art. 8, comma 2, del D.M. n. 34/2013,
può indicare come prevalente una delle attività professionali dedotte
nell’oggetto sociale.
La combinazione delle disposizioni consente di
addivenire alla conclusione in base alla quale l’oggetto sociale della STP
coincide con l’attività professionale regolamentata esercitata in via
esclusiva.
Da quanto sopra, l’oggetto sociale della STP non può
includere attività che non siano professionali ma imprenditoriali (fatta
eccezione di quelle attività puramente strumentali, o complementari rispetto
all’esercizio della professione o la fornitura di beni strumentali e servizi
accessori che consentano o facilitano l’esercizio della professione medesima)
e, logicamente, delle attività relative ad ambiti di lavoro autonomo non
riconducibili alle attività esercitabili dai professionisti appartenenti alle
c.d. professioni regolamentate.
Alla luce di quanto sopra, occorre rimarcare,
pertanto che, per “attività professionali” non devono intendersi le sole
attività riservate (o quelle svolte in esclusiva), bensì tutte le attività
tipiche di una professione, tra cui sono da annoverare senza dubbio quelle elencate
nell’ordinamento professionale di riferimento professionale, così da evitare
che possano sfuggire alla vigilanza deontologica le attività non riservate
esercitate dai soci della STP.
Con riferimento alle STP multidisciplinari, le
considerazioni sopra esposte mantengono valenza.
Quanto previso dall’art 10, comma 3, lett. a), va
coordinato con le previsioni di cui alla successiva lett. c). Tale ultima
disposizione stabilisce che l’incarico professionale può essere svolto solo dai
soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale
richiesta dal cliente, prestazione professionale che può essere esercitata in
esclusiva dai soci professionisti. Con ciò si intende dire che alle attività
dedotte nell’oggetto sociale della STP multidisciplinare deve corrispondere la
correlata esperienza professionale di almeno un socio professionista
appartenente a ogni professione regolamentata menzionata nell’oggetto sociale,
con l’ulteriore corollario che la costituzione di società multidisciplinari è
consentita solo tra iscritti ad albi professionali in possesso dei requisiti
necessari per lo svolgimento delle differenti attività indicate nell’atto
costitutivo.
Per quanto attiene, invece, alle STA, l’art. 4-bis, comma 1, della legge n.
247/2012 non replica le previsioni di cui all’art. 10, comma 3, lett. a),
circa l’esclusività.
L’oggetto sociale della STA, stando al tenore
letterale della disposizione, dovrebbe coincidere con l’esercizio della
professione forense. Essendo ammesse STA multidisciplinari, nelle STA composte
anche da professionisti iscritti in Albi differenti da quello forense, l’oggetto
sociale dovrebbe includere le rispettive
attività professionali, dal momento che ai sensi dell’art. 4-bis, comma 3, l’incarico
conferito alla STA può essere svolto soltanto da soci professionisti in
possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione
professionale richiesta dal cliente. Effettuando un parallelismo con la
disciplina della STP multidisciplinare ex lege n.
183/2011, potrebbe concludersi che l’attività forense è per la STA
l’attività prevalente a cui accenna l’art. 8, comma 2, del D.M. n. 34/2013
con riferimento alle altre STP multidisciplinari.
9. Il conferimento dell’incarico e l’esecuzione
dell’incarico.
L’atto costitutivo deve prevedere che l’incarico
conferito alla STP venga materialmente eseguito dal socio professionista,
secondo criteri e modalità stabiliti nel D.M. n.
34/2013 (art. 10, comma 4,
lett. c), legge n. 183/2011).
L’atto costitutivo deve altresì prevedere che la
società abbia stipulato una polizza assicurativa per la copertura dei rischi
derivanti da responsabilità civile per i danni eventualmente provocati alla
clientela dai soci professionisti (art.
10, comma 4, lett. c-bis), legge n. 183/2011).
Come accennato, l’ambito di intervento del D.M. n. 34/2013 è stato circoscritto dalla legge n. 183/2011 a fornire indicazioni circa
“criteri e modalità affinché l’esecuzione dell’incarico professionale conferito
alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per
l’esercizio della prestazione professionale richiesta; la designazione del
socio professionista sia compiuta dall’utente e, in mancanza di tale
designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto
all’utente” (art. 10, comma
4, lett. c)).
Al capo II del D.M. n.
34/2013 occorre far rifermento per quanto attiene alle modalità di
conferimento e all’esecuzione dell’incarico professionale.
Nell’art.3 viene esplicitato che tutte le
prestazioni richieste dalla clientela siano eseguite dai soci in possesso dei
requisiti necessari per l’esercizio della professione, ribadendo in tal modo il
principio della personalità dell’esecuzione dell’incarico affidato dal cliente
e declinato nella legge n. 183/2011 (art. 10, comma 4, lett. c).
Per consentire una scelta informata da parte del
cliente, la STP è tenuta a fornirgli, sin dal momento del primo contatto (e
dunque sin dalle trattative), anche tramite il socio professionista,
informazioni relative:
(i) al diritto del cliente di chiedere che
l’esecuzione dell’incarico conferito alla società sia affidato a professionisti
della società dallo stesso individuati. A tal fine il regolamento impone la
consegna al cliente di un elenco scritto dei singoli professionisti con
l’indicazione dei titoli o delle qualifiche professionali possedute nonché
l’elenco dei soci con finalità di investimento;
(ii) alla possibilità che l’incarico sia eseguito da
ciascun socio in possesso dei requisiti necessari per l’esercizio dell’attività
professionale;
(iii) all’esistenza di situazioni di conflitto di
interesse tra cliente e società, che siano anche determinate dalla presenza di
soci con finalità di investimento. A tal fine, viene consegnato al cliente un
elenco dei soci investitori.
Il D.M. n. 34/2013
precisa, infine, che la prova degli adempimenti sopra descritti, a carico della
STP, e il nominativo del professionista o dei professionisti eventualmente
scelti dal cliente devono risultare da atto scritto.
Rispetto ai criteri indicati, emerge con chiarezza
la volontà di rimarcare la netta
distinzione tra conferimento dell’incarico ed esecuzione dell’incarico,
l’uno diretto alla società, l’altra lasciata alla determinazione del singolo
professionista, in ossequio al generale principio di cui all’art. 2232 c.c., nonché di indicare chiare modalità
affinché il cliente sia messo in condizione di effettuare consapevolmente la
scelta delle professionalità maggiormente idonee per espletare l’attività
professionale richiesta.
Ne deriva, pertanto, un sistema in cui il cliente
vanta nei confronti della STP sia un diritto di informazione, sia un diritto di
scelta, assunte le necessarie informazioni.
A conferma di ciò, depone la previsione che, in
mancanza di scelta da parte del cliente, la STP può procedere direttamente a
designare il professionista – o i professionisti – purché si tratti sempre di
soggetti in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione richiesta
in considerazione delle competenze tecniche contemplate negli ordinamenti
professionali. Al ricorrere di questa ipotesi, come impone la legge n. 183/2011, il nominativo del socio scelto
dalla STP deve essere comunicato per iscritto al cliente previamente, vale a
dire prima che sia data esecuzione all’incarico. La tutela della clientela trova
ulteriore supporto nell’art. 5 del
D.M. n. 34/2013, rubricato “Esecuzione dell’incarico”. La previsione
consente al professionista individuato di avvalersi, sotto la propria direzione
e sotto la propria responsabilità, della collaborazione di ausiliari e, solo in
relazione a particolari attività caratterizzate da sopravvenute esigenze non
prevedibili, di sostituti. Al
verificarsi di simili ipotesi, la STP è tenuta a comunicare al cliente i
nominativi degli ausiliari e dei sostituti con le stesse modalità impiegate per
la comunicazione dei nominativi dei soci professionisti al momento del primo
contatto: la STP, allora, deve consegnare al cliente un elenco scritto con
puntuale indicazione di titoli e qualifiche professionali dei collaboratori.
Entro tre giorni dalla comunicazione, il cliente può comunicare il proprio
dissenso in presenza del quale, pur nel silenzio del D.M. n. 34/2013, dovrebbe essere riconosciuta al
cliente la facoltà di scelta del sostituto, con le modalità sopra indicate
(37). Rinviando alla circolare 32/IR per quanto concerne la predisposizione del
preventivo, occorre in questa sede ribadire come la determinazione del
compenso, oltre ad essere adeguata all’importanza dell’opera e proporzionato
alla qualità e alla quantità del lavoro svolto e dell’impegno profuso, non
potrà discostarsi dal precetto di cui all’art. 2233
c.c. che impone, altresì, il rispetto del decoro della professione.
10. Le responsabilità
La legge istitutiva e il D.M.
n. 34/2013 non prendono posizione circa il regime di responsabilità della
società.
Diversamente, come esaminato, la normativa
disciplina le modalità di conferimento dell’incarico, ed è imposto alla STP
l’obbligo di copertura assicurativa.
Potrebbe allora concludersi nel senso che sulla STP
ricada la responsabilità contrattuale nei confronti della clientela per
l’inadempimento del socio professionista, il ruolo del quale sarebbe
equiparabile a quello svolto dal sostituto incaricato dal professionista
individuale.
Ad ogni buon conto, ferma restando la possibilità di
prevedere con apposita clausola statuaria una differente ripartizione delle
responsabilità contrattuali anche in capo al socio professionista che ha
eseguito l’incarico professionale, quest’ultimo è in ogni caso responsabile,
sia nei confronti della società per inesatta esecuzione della prestazione, sia
nei confronti del cliente, ma, in tale caso a titolo di responsabilità da
contatto, ovvero a titolo di responsabilità extracontrattuale.
Differentemente dalla legge
n. 183/2011, l’art. 4-bis,
comma 4, della legge n. 247/2012 delinea il regime della responsabilità
della società forense. Tale disposizione precisa che la responsabilità della
STA e quella dei soci – illimitatamente responsabili secondo la disciplina del
tipo societario concretamente utilizzato per l’esercizio dell’attività
professionale in forma societaria – non esclude la responsabilità del
professionista che ha eseguito la specifica prestazione, in dipendenza di un
obbligo di protezione assunto verso la clientela.
Anche la STA è tenuta a stipulare una polizza
assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio
della professione (38).
11. L’iscrizione nel registro delle imprese e nella
sezione speciale dell’Albo. Cancellazione dall’Albo
Come chiarito nella circolare n. 33/IR, a cui si
rinvia per ulteriori approfondimenti, il procedimento di iscrizione della STP
presso il registro delle imprese e presso l’Albo professionale è disciplinato
non nella legge n. 183/2011, bensì nel D.M. n. 34/2013.
Con finalità meramente ricognitive di tali aspetti,
si rammenta che l’art. 7 del D.M.
n. 34/2013 stabilisce che la STP è iscritta nella sezione speciale del
registro delle imprese istituita ai sensi dell’art. 16, comma secondo, secondo
periodo, del D.lgs. n. 96/2001, secondo le modalità declinate nel D.P.R. n. 581/1995 (39), nel D.P.R. n. 558/1999 (40) e nell’art. 31 della l. n. 340/2000
(41). Viene altresì previsto che la certificazione relativa all’iscrizione
nella sezione speciale attesti la qualifica di società tra professionisti (42)
L’iscrizione è effettuata nella sezione speciale già
istituita presso il registro delle imprese ai sensi dell’art. 16, comma
secondo, del D.lgs. n. 96/2001, espressamente destinata alle società tra
professionisti e non solo alle società tra avvocati. Tale iscrizione ha
funzione di certificazione anagrafica e pubblicità-notizia (43) e viene
effettuata, come chiarisce lo stesso art. 7 del D.M. n. 34/2013, ai
fini della verifica dell’esistenza di cause di incompatibilità della
partecipazione a più società tra professionisti (44) di cui all’art. 6 del D.M. n. 34/2013.
Come accennato, la STP deve iscriversi anche
nell’apposita sezione dell’Albo istituito presso l’Ordine di appartenenza dei
soci professionisti. L’adempimento dell’ulteriore iscrizione nella sezione
dell’Albo professionale è indirettamente sancito dall’art. 10, comma 7, della legge n.
183/2011, ove si chiarisce che la STP è soggetta al regime disciplinare
dell’Ordine al quale risulti iscritta.
All’aspetto dell’iscrizione della STP nell’Albo, in
aggiunta a quanto già esaminato (45), occorre dedicare alcune ulteriori riflessioni.
In primo luogo, è da mettere nella dovuta evidenza
che la STP multidisciplinare è iscritta presso l’Albo dell’Ordine professionale
relativo all’attività individuata come prevalente nell’atto costitutivo, e ciò
determinerà l’assoggettamento della STP alle regole deontologiche proprie
dell’attività professionale “prevalente” (46). Nel caso in cui la STP
multidisciplinare non abbia individuato nell’oggetto sociale un’attività
prevalente, essa si iscrive presso gli Albi o gli Elenchi a cui appartengono tutti i soci professionisti.
In secondo luogo, con riferimento alle verifiche
demandate agli Ordini, è il caso di rammentare che il Consiglio dell’Ordine che
riceve la domanda di iscrizione – che per disposizione normativa coincide con
quello in cui è posta la sede legale della STP47 – è tenuto a deliberare
sull’iscrizione nella sezione speciale dell’Albo, previa verifica
dell’osservanza delle disposizioni contenute nel D.M.
n. 34/2013.
Ne consegue che il Consiglio dell’Ordine, oltre a
verificare la completezza della documentazione presentata a corredo della
richiesta di iscrizione e sopra menzionata, deve effettuare un controllo circa
la ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 10 della legge n. 183/2011
in quanto direttamente richiamate dagli artt. 1 e 2 del regolamento, nonché
circa l’osservanza dei precetti declinati con la normativa secondaria.
Come in altra sede chiarito (48), non può essere
trascurato il dato letterale contenuto nell’art. 1 del D. M. n. 34/2013.Tale
disposizione, infatti, qualifica come STP, ai fini del regolamento medesimo, la
società costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI e
alle condizioni previste dall’art.
10, commi 3-11, della legge n. 183/2011, avente ad oggetto l’esercizio di
una o più attività professionali per le quali sia richiesta l’iscrizione in
albi od elenchi. Il principio appena richiamato viene ribadito nell’art. 2, comma primo, del D.M. n.
34/2013 a mente del quale le disposizioni del regolamento si applicano alle
società costituite ai sensi dell’art.
10, commi 3-11, della legge n. 183/2011.
Si può ritenere, pertanto, che le verifiche del
Consiglio dell’Ordine possano incentrarsi sul rispetto delle condizioni
descritte nell’art. 10, quali ad esempio, il ricorso ad uno dei tipi societari
richiamati dalla norma, la formazione della denominazione o della ragione
sociale secondo le modalità ivi indicate, la formazione delle maggioranze
secondo i criteri che garantiscano la prevalenza dei soci professionisti nelle
deliberazioni o nelle decisioni dei soci, l’esclusività dell’oggetto sociale
(49), la copertura assicurativa (50), oltre all’esistenza delle condizioni di
validità espressamente indicate nel D.M. n.
34/2013, tra cui è ricompresa l’assenza di cause di incompatibilità dei
soci della STP.
Sul procedimento di iscrizione della STP il
Consiglio Nazionale è tornato ad esprimersi in diverse occasioni. Più
partitamente, alcuni dei quesiti sono stati posti per ottenere chiarimenti in
ordine alle questioni di seguito elencate:
– se l’insussistenza di provvedimenti disciplinari a
carico di un iscritto rappresenti la condizione per l’iscrizione nell’Albo
della STP di cui è socio il professionista medesimo;
– se l’apertura di un procedimento disciplinare per
crediti formativi insufficienti possa rappresentare motivo ostativo
all’iscrizione nell’Albo della STP di cui tale iscritto è socio (51).
Si è altresì richiesto se alla STP possa partecipare
un professionista nei cui confronti sia stato aperto un procedimento
disciplinare per crediti formativi insufficienti.
L’art.
10 della legge n. 183/2011 si occupa dei profili disciplinari dei soci e
della STP nei commi 4, lett. d), e 7.
Nell’art.
10, comma 4, lett. d), la legge n. 183/2011 demanda ad una clausola
dell’atto costitutivo della STP l’individuazione delle modalità di esclusione
dalla STP del socio che sia stato cancellato dall’albo con provvedimento
definitivo. Nell’art. 10, comma
7, la legge n. 183/2011 stabilisce che i soci professionisti e la STP sono
tenuti all’osservanza del codice deontologico dell’ordine di appartenenza e al
relativo regime disciplinare. Come corollario di tale ultima previsione, l’art. 12 del D.M. n. 34/ 2013
fissa il regime di responsabilità della STP che, a seconda dei casi, può essere
autonoma o concorrente con quella del socio professionista.
Tali ultime disposizioni disciplinano situazioni in
cui la compagine societaria già è formata e la STP regolarmente iscritta (al
registro e alla sezione speciale dell’Albo) e in attività. La sanzione
disciplinare rilevante ai fini dell’esclusione di un socio professionista da
una STP è unicamente la radiazione, dal momento che con l’irrogazione di tale
sanzione il professionista è cancellato definitivamente dall’Albo, gli è
precluso l’esercizio della professione e, conseguentemente, gli è impedita la
partecipazione alla STP in veste di socio professionista alla STP (cfr. art. 10, comma 4, lett. b) della
legge n. 183/2011).
Coordinando le previsioni della legge n. 183/2011 con la
disciplina dei tipi societari in cui l’esclusione del socio può essere prevista
nell’atto costitutivo, la radiazione dall’Albo, per un verso può rappresentare
una giusta causa di esclusione, per altro verso può coincidere con la
sopraggiunta inidoneità a prestare l’opera (52). Nel caso di una STP costituita
ricorrendo ai modelli della s.p.a. o della s.a.p.a., non contemplando la
disciplina codicistica l’esclusione del socio, tramite una previsione
statutaria si potrebbe prevedere l’obbligo di cessione ovvero il diritto di
riscatto da parte della società delle azioni del socio professionista
cancellato dall’Albo.
Alla luce di tanto, sia nel caso in cui venga aperto
un procedimento disciplinare nei confronti del socio professionista, sia nel
caso in cui il socio professionista venga sanzionato con la censura, la sua
esclusione non potrà essere deliberata dai restanti soci e la società
continuerà ad annoverarlo tra i suoi professionisti e a interessarlo della
esecuzione degli incarichi ricevuti.
Anche nel caso in cui dovesse essere sanzionato con
la sospensione dall’esercizio della professione, il socio professionista non
potrà essere escluso dalla STP, ma l’esecuzione degli incarichi conferiti dai
clienti non gli potrà essere affidata dalla STP per tutta la durata della
sanzione. La sospensione dall’esercizio professionale del socio Commercialista
assunta ai sensi dell’art. 54 del
D.lgs. n. 139/2005, infatti, genera una situazione transitoria che, mentre
incide sull’attività del singolo professionista, è priva di effetti rispetto
alla STP. Come accennato, la STP è cancellata dalla sezione speciale dell’Albo
unicamente al ricorrere delle ipotesi descritte nell’art. 10, comma 4, della legge n.
183/2011 e nell’art. 11 del
D.M. n. 34/2013, tra cui non compare la sanzione disciplinare della
sospensione dall’esercizio della professione irrogata al socio professionista.
Diversamente, l’esclusione del socio dalla STP a
seguito della intervenuta radiazione dall’Albo, non sarà priva di ricadute per
la società, obbligata, per un verso, a rimuoverne il nominativo dall’elenco dei
professionisti da esibire alla clientela al momento del primo contatto per il
conferimento dell’incarico (53) e, per altro verso, a ripristinare, se venute
meno, le condizioni di prevalenza, individuate nell’art. 10, comma 4, lett. b) della
legge n. 183/2011, dei soci professionisti sui soci per finalità di
investimento e sui soci per prestazioni tecniche: tale adempimento, infatti, si
renderà necessario per evitare lo scioglimento e la definitiva cancellazione
dall’Albo.
Laddove la radiazione dall’Albo dovesse riguardare
l’unico socio della STP unipersonale, ferma restando l’opzione di procedere con
una modifica dell’atto costitutivo così che, pur cancellata dall’Albo
professionale, la società possa continuare ad operare con un diverso oggetto
sociale e dunque non come Società tra professionisti, nei sei mesi utili per
regolarizzare la situazione, la STP potrà praticare tutte le soluzioni
opportune e consentite dall’ordinamento per mantenere l’iscrizione nella
sezione speciale dell’Albo e continuare ad operare nel rispetto delle
disposizioni di cui alla legge n. 183/2011.
Occorre in questa sede sottolineare che le
conseguenze della radiazione sono definitive, nel senso che, il socio
professionista Commercialista di una STP, già radiato e che non sia stato
riammesso ai sensi dell’art. 57 del
D.lgs. n. 139/2005, non potrà assumere la qualifica di socio professionista
di differente STP, né la qualifica di socio di investimento. È quanto si evince
dalle previsioni sulle incompatibilità di cui all’art. 6 del D.M. n. 34/2013. Ai
sensi del comma 3, lett. c), infatti, il socio per finalità d’investimento può
far parte di una STP solo quando non sia stato cancellato da un Albo
professionale per motivi disciplinari.
Di tal guisa, vietando che il socio radiato rientri
nella STP nella mutata veste di socio di investimento, il regolamento attuativo
scongiura il pericolo che il divieto, espresso nella norma primaria e in base
al quale il socio radiato dall’Albo deve essere escluso dalla società, possa
essere facilmente eluso con la semplice variazione della “categoria” con cui
tale soggetto intenda partecipare alla STP.
Da quanto sopra, discende l’ulteriore corollario per
cui, ai fini dell’acquisto e del mantenimento della qualifica di socio
professionista di STP, il professionista deve risultare regolarmente iscritto
all’Albo di appartenenza e deve effettivamente esercitare l’attività
professionale dedotta nell’oggetto sociale della società.
L’apertura di un procedimento disciplinare a carico
dell’iscritto – anche per insufficienza di crediti formativi – non rappresenta
condizione ostativa per l’iscrizione della STP a cui costui partecipi,
rilevando in tal senso, come accennato, unicamente la radiazione dall’Albo.
L’analisi comparativa con la società forense mette
in luce come la disciplina di cui all’art. 4-bis della legge 247/2012
si distingua da quella dettata per la STP e sopra esaminata.
Il comma 5 dell’art. 4-bis della legge n. 247/2012,
infatti, declina il principio per cui anche la sospensione, oltre alla
cancellazione e alla radiazione del socio dall’Albo in cui è iscritto,
rappresenta una causa di esclusione dalla società. È doveroso precisare che il
venir meno delle maggioranze previste dall’art. 4-bis, comma 2, della legge n.
247/2012 con riferimento ai soci professionisti (avvocati e non avvocati,
nel caso di STA multidisciplinari) espone la STA alla sanzione della
cancellazione dall’Albo se, nel termine di sei mesi, non abbia ripristinato la
prevalenza dei soci professionisti.
12. L’incompatibilità
Quanto sostenuto in relazione alle verifiche dei
Consigli dell’Ordine fa emergere la necessità di spendere alcuni cenni sulle
“Incompatibilità”.
In un’ottica meramente ricognitiva, va messo in luce
come la legge n. 183/2011 abbia declinato il
principio in base al quale la partecipazione ad una STP è incompatibile con la
partecipazione ad altra società tra professionisti, demandando al regolamento
attuativo la disciplina di dettaglio.
Il primo comma dell’art. 6 del D.M. 34/2013 precisa
che l’incompatibilità considerata nell’art. 10, comma 6, della l. n.
183/2011, conseguente alla contemporanea partecipazione del socio a
differenti società professionali, si determina anche in presenza di STP
multidisciplinare e si applica per tutta la durata della iscrizione della
società nella sezione speciale dell’albo.
Alla luce della richiamata normativa, si è concluso,
pertanto, che il socio professionista può esercitare contemporaneamente la
professione in forma individuale, ovvero in forma associata.
L’incompatibilità dei soci professionisti di STP
multidisciplinari è stata oggetto di alcuni chiarimenti da parte dell’Ordine.
In differenti occasioni (54), il CNDCEC si è trovato
a precisare che la partecipazione del socio sembra essere consentita solo ed
esclusivamente ad ua STP, anche multidisciplinare, a prescindere dalle
abilitazioni possedute e dalle scrizioni agli Albi vantate dal socio e a
prescindere dall’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto
costitutivo dalla società multidisciplinare, essendo questa una condizione
imposta dall’ordinamento a tutela dell’organizzazione societaria.
Si osserva al riguardo che l’art. 6, comma 2, D.M. n. 34/2013,
rafforzando i divieti espressi nel primo comma, prevede espressamente che
l’incompatibilità viene meno alla data in cui il recesso del socio (da una
STP), l’esclusione del socio (da una STP), ovvero il trasferimento dell’intera
partecipazione (in una STP) producono i loro effetti per quanto attiene al
rapporto sociale.
In altri termini, la partecipazione a una differente
STP, anche multidisciplinare, sarà consentita solo a partire dal momento in cui
lo scioglimento del rapporto societario rispetto al socio acquisterà efficacia
secondo le regole della pubblicità effettuata presso il registro delle imprese.
Considerata la tipicità dei rimedi descritti in
relazione a ciascun tipo societario, sarà opportuno, sin dalla costituzione,
coordinare il regime dell’incompatibilità dei soci della STP con le stringenti
regole dettate dal diritto societario55.
La questione del divieto di contemporanea
partecipazione a differenti STP torna ad assumere centralità a seguito della
riforma della STA di cui all’art.
4-bis della legge n. 247/2012.
Occorre precisare, in via preliminare, che la
disciplina della STA non contiene regole espresse in punto di incompatibilità.
L’art. 4-bis, comma 3, della
legge n. 247/2012 vi accenna in maniera del tutto generica quando impone ai
professionisti soci, tenuti a eseguire l’incarico che il cliente conferisce
alla STA e in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della
specifica prestazione richiesta dal cliente, di assicurare piena indipendenza e
imparzialità, dichiarando possibili conflitti di interesse o incompatibilità iniziali o
sopravvenuti.
Più nello specifico, mentre per via del criterio
generale enunciato nel primo comma dell’art. 4-bis, e a seguito della
pronuncia n. 19282/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
l’esercizio della professione forense può essere esercitato solo attraverso la
STA, la legge n. 247/2012 non chiarisce se il
socio avvocato possa partecipare ad altra STA. La stessa legge forense non
chiarisce, inoltre, se il socio professionista di una STA multidisciplinare che
non sia avvocato possa essere al contempo socio di altra STP costituita ex lege n. 183/2011. In maniera simmetrica occorre
comprendere se il socio professionista di una STP costituita ex lege n. 183/2011 possa partecipare anche ad una
STA costituita ex art. 4-bis della legge forense.
All’ultimo interrogativo sembrerebbe potersi fornire
risposta negativa, considerando che i divieti espressi nella legge 183/2011 e nel D.M.
n. 34/2013 hanno portata generale e si riferiscono alla contemporanea
partecipazione del socio a più società tra professionisti, nel novero delle
quali rientra
anche la STA. Trattandosi di divieti generalmente
espressi senza individuazione di un criterio temporale che possa consentire di
individuare il periodo della contemporanea e plurima partecipazione a
differenti società tra professionisti, sembrerebbe parimenti consentito
concludere che il professionista non avvocato, già socio di una STA costituita
ex art. 4-bis della legge forense, non possa partecipare successivamente ad una
STP costituita ex lege n. 183/2011.
Come accennato, l’art. 4-bis della legge 247/2012
non contiene previsioni che precludano al socio (professionista o meno) di
partecipare a differenti STA. Sempre che la lacuna non sia indice di una scelta
di fondo effettuata per non ostacolare l’emersione del fenomeno del gruppo
professionale di avvocati, è da valutare con attenzione la possibilità di
invocare l’applicazione in via analogica anche alle STA delle previsioni di cui
all’art. 10, comma 6, della legge
n. 183/2011, che regola, per l’appunto, un caso simile, così da evitare
l’emersione di ingiustificate disparità di trattamento.
Sempre per quanto attiene al regime delle
incompatibilità, anche con riguardo ai soci della STP non iscritti negli Albi
professionali, trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 10, comma 6, della legge n.
183/2022 e quelle dell’art. 6
D.M. n. 34/2013.
Oltre alla impossibilità di partecipare ad altra
STP, il socio non professionista è destinatario di ulteriori precetti, dal
momento che l’art. 6 del D.M. n.
34/2013, in particolare, subordina la partecipazione del socio per finalità
di investimento a:
i) il possesso dei requisiti di onorabilità previsti
per l’iscrizione all’Albo professionale in cui la società è iscritta (andranno
tenuti in considerazione, in caso di società multidisciplinare, i requisiti di
onorabilità stabiliti dall’ordinamento professionale della c.d. attività
prevalente, ovvero quelli degli ordinamenti professionali a cui soggiacciono i
differenti professionisti). V’è da dire, in proposito, che il regolamento si
premura di precisare che costituisce requisito di onorabilità (anche) la
mancata applicazione, anche in primo grado, di misure di prevenzione personali
o reali; ii) non aver riportato condanne definitive per una pena pari o
superiore a due anni di reclusione per la commissione di un reato non colposo e
salvo che non sia intervenuta riabilitazione; iii) non essere stato cancellato
da un albo professionale per motivi disciplinare. I requisiti di onorabilità
previsti per il socio investitore persona fisica vengono riproposti con
riferimento all’organo di amministrazione e ai legali rappresentanti del socio
investitore persona giuridica o comunque società.
Dalla ricognizione della normativa, pertanto,
emergono alcuni dati significativi.
In primo luogo, degna di nota è la previsione
dell’incompatibilità assoluta del professionista cancellato dall’Albo
professionale per motivi disciplinari: costui, come precedentemente chiarito,
non può partecipare alla STP né in qualità di socio professionista, né in
qualità di socio per finalità di investimento.
Tale disposizione va messa in relazione con quella
contenuta nell’art. 10, comma 4, lett. d) che impone di determinare con
apposita clausola statutaria le modalità di esclusione dalla società del socio
che stato cancellato dall’albo con provvedimento definitivo e, presumibilmente
interpretata alla luce delle regole che caratterizzano il c.d. ordinamento
delle professioni regolamentate, fondate sul decoro e sulla dignità della
professione. Trattandosi di società costituite per l’esercizio di attività
professionali per le quali è necessaria l’iscrizione in albi, dall’osservanza
dei generali canoni descritti nell’art. 2232 c.c.
non si potrà prescindere.
In secondo luogo, la previsione contenuta nell’art 6 del D.M. n. 34/2013, sembra
risolvere il dubbio circa la possibilità di consentire ad un soggetto
differente dalla persona fisica la partecipazione ad una STP. In tal caso, la verifica dei requisiti
di onorabilità, ancorché in alcune circostanze possa rivelarsi non esaustiva,
deve essere necessariamente effettuata solo nei confronti degli amministratori
e dei rappresentanti legali.
Ancora poco chiara, infine, la motivazione per cui
il D.M. n. 34/2013 ometta qualsiasi
riferimento alla onorabilità del socio per prestazioni tecniche e non
contempli, anche per quest’ultimo e al pari di quanto prevede per il socio per
finalità di investimento, il divieto di partecipare alla STP nei casi in cui,
da professionista, sia stato cancellato per motivi disciplinari (56).
Rinviando alla Circolare 33/IR per ulteriori
approfondimenti, è il caso di mettere in evidenza che, come prevede l’art. 6, comma 6, del D.M. n.34/2013,
la violazione dell’obbligo di rimozione della irregolarità, potrà comportare,
previa apertura del procedimento, l’irrogazione di una sanzione disciplinare,
della quale risulteranno essere destinatari:
i) la STP e i soci professionisti nel caso in cui si
tratti di incompatibilità di uno di questi;
ii) la STP qualora trattasi di incompatibilità di
soci investitori.
13. Il regime disciplinare
Trattandosi di società che esercitano un’attività
professionale e che sono iscritte all’Albo professionale come ogni
professionista ordinistico, la legge n. 183/2011
e il relativo regolamento di attuazione si soffermano sul regime disciplinare
della STP.
L’art.
10, comma 7, della legge n. 183/2011, stabilisce al riguardo che i
professionisti sono tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio
Ordine, così come la società è soggetta al regime disciplinare dell’Ordine al
quale risulta iscritta.
L’art.
12 del D.M. n. 34/2013 prevede che, pur restando ferma la responsabilità
del socio professionista secondo le regole deontologiche dell’Ordine di
appartenenza, la società risponde disciplinarmente delle violazioni delle norme
deontologiche dell’Ordine al quale risulti iscritta (art. 12, comma 1).
Tale ultima disposizione aggiunge che, nei casi in
cui l’illecito compiuto dal professionista sia ricollegabile a direttive
impartite dalla STP, la responsabilità disciplinare del socio professionista
concorre con quella della società, anche se il primo risulta iscritto in un
ordine diverso da quello in cui risulta iscritta la società (art. 12, comma 2).
Ne discende un regime disciplinare, per certi versi
eccentrico in quanto può coinvolgere una società, che interessa socio e STP a
seconda della tipologia dell’illecito posto in essere e che conferma
l’individuazione della STP come soggetto professionista autonomo dai soci
professionisti che la partecipano.
Oltre alla responsabilità del professionista,
infatti, viene sancita la responsabilità disciplinare della STP che essendo
autonoma rispetto a quella dei soci professionisti sarà evitata rispettando i
principi informatori della professione e le regole deontologiche dell’Ordine a
cui la STP viene iscritta (57). Per converso, l’eventuale irrogazione della
sanzione disciplinare alla STP non produrrà
necessariamente effetti nei confronti dei soci professionisti i quali,
pur in presenza di sanzioni disciplinari che possano inibire alla società di
esercitare, resteranno legittimati a continuare la propria attività
professionale a titolo individuale o associato. Allo stesso modo, la sanzione
disciplinare irrogata a carico del socio professionista per illecito compiuto
in maniera del tutto autonoma da qualsiasi ingerenza dell’organo di
amministrazione o delle decisioni dei soci della STP, non avrà incidenza sulla
medesima STP, fatta eccezione per quelle particolari ipotesi che determineranno
la cancellazione della STP dall’Albo.
Nelle ipotesi in cui l’illecito disciplinare compiuto
dal socio sia ricollegabile a direttive impartite dalla STP, il regolamento
contempla il concorso di responsabilità (art. 12, comma 2).
Le generali regole relative al regime disciplinare
della STP non soffrono eccezioni laddove si tratti di STP multidisciplinare,
dal momento che, stante quanto sopra, i professionisti iscritti e la STP
rispondono disciplinarmente secondo le regole deontologiche dell’ordine a cui
siano iscritti. Con il corollario che, laddove nell’atto costitutivo di una STP
multidisciplinare sia stata individuata l’attività prevalente della STP,
quest’ultima sarà tenuta all’osservanza delle regole deontologiche dell’ordine professionale a cui
appartengono i soci professionisti che esercitano l’attività indicata come
prevalente, mentre i singoli professionisti continueranno a rispettare i propri
codici deontologici, anche se differenti da quelli della c.d. attività
professionale prevalente.
Come chiarito nella circolare 33/IR, infatti, la
normativa sule STP non elude né deroga ai generali principi a cui sono
informati gli ordinamenti delle professioni regolamentate e in base ai quali,
come è noto, il professionista è tenuto a rispettare la legge professionale e
il codice deontologico adottato dall’Ordine professionale a cui risulti
iscritto e l’azione disciplinare nei suoi confronti è esercitata dal Consiglio
dell’Ordine nel cui Albo risulta iscritto (58).
Nei casi in cui la STP multidisciplinare non abbia
individuato nell’atto costitutivo l’attività prevalente, essa verrà iscritta in
tutti gli Ordini professionali di appartenenza dei soci professionisti, con
conseguente e inevitabile assoggettamento della STP al rispetto degli
ordinamenti professionali e delle relative regole deontologiche di ciascun
socio professionista e con possibile ampliamento degli illeciti ad essa
contestabili.
Laddove la multidisciplinarietà si riferisca ad una
STA, le questioni appena esaminate non hanno motivo di porsi.
Come prevede l’art. 4-bis, comma 1, della legge n.
247/2012, infatti, la STA è tenuta a iscriversi un’apposita sezione
speciale dell’Albo tenuto dall’Ordine territoriale forense nella cui
circoscrizione ha sede la stessa società (59).
La STA, in ogni caso, anche quando multidisciplinare
– e con ciò dirimendo qualsiasi dubbio circa la possibilità di inserire
un’attività differente da quella forense come attività prevalente – è tenuta al
rispetto del codice deontologico forense ed è soggetta alla competenza
disciplinare dell’Ordine di appartenenza (cfr. art. 4-bis, comma 6).
14. La trasformazione dello studio associato
La trasformazione dello studio associato in STP è
stata oggetto di disamina nel documento FNC “Evoluzione dello studio
professionale in stp” del 15 gennaio 2015 e le conclusioni a cui si perveniva
in quella sede sono tutt’oggi valide e, trovano conferma in alcune più recenti
massime del Comitato interregionale del Triveneto.
La soluzione della questione circa la trasformazione
dello studio associato in STP è strettamente correlata alla soluzione della
questione relativa alla qualificazione giuridica del fenomeno “associazione
professionale”.
Passando in rassegna le teorie formulate circa la
natura giuridica dell’associazione professionale, emergono in sintesi tre
orientamenti.
Il primo: l’associazione professionale è
associazione atipica, riconducibile al fenomeno delle associazioni non
riconosciute di cui all’art. 36 c.c., priva di
rilevanza esterna e caratterizzata da un fascio di rapporti obbligatori
interni. Nel solco di tale orientamento, effettuando un’ulteriore precisazione,
l’associazione professionale è stata anche qualificata come contratto
associativo atipico con rilevanza meramente interna.
Il secondo: l’associazione professionale è una
società semplice, rappresentandone una delle più rilevanti e concrete
manifestazioni.
Il terzo: ancorché privo di personalità giuridica lo
studio associato rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazioni
di interesse cui la legge conferisce capacità di porsi come centri autonomi di
imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza pur sempre
in conformità alla disciplina di cui all’art. 36 e
ss. c.c.
Lo studio risulta così dotato di una certa
soggettività giuridica, in quanto nei rapporti con i terzi si presenta come
centro unitario di imputazione ancorché, nei rapporti con la clientela non può
sostituirsi ai singoli professionisti ove si tratti di prestazioni per
l’espletamento delle quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione
di cui soltanto il singolo può essere in possesso.
In definitiva, la qualificazione giuridica dello
studio associato appare ancora incerta. Ciò che emerge con una certa insistenza
è la tendenza di farne un centro autonomo di interessi, con rilevanza
metaindividuale ed esterna.
Ciò posto e passando alla tematica della
trasformazione, va segnalato un interessante precedente della Cassazione (Corte di Cassazione, sez. lav., 21 agosto 2004, n.
16500) dove il Giudice dichiarava legittima l’operazione di trasformazione
di uno studio associato in società (nel caso di specie si trattava di
trasformazione in s.a.s.) ricorrendo la stessa denominazione, lo stesso
oggetto, i medesimi soci e trattandosi, in altri termini, di vicenda connotata
dalla continuità dei rapporti giuridici in essere, come la trasformazione
presuppone. Più precisamente, secondo i giudici di legittimità, si trattava della trasformazione di una società di fatto
(come è qualificata l’associazione professionale) in società in accomandita
semplice.
Lo studio associato, dunque, viene qualificato in
tale contesto come società di fatto e in quanto non esercente attività di impresa,
attratto sotto l’ambito applicativo della disciplina della società semplice.
Muovendo da tale assunto, l’operazione di
trasformazione di studio associato in STP potrà ricadere sotto l’ambito di
applicazione dell’art. 2500-ter c.c.
(trasformazione di società di persone in società di capitali) ovvero essere
attratta nella disciplina della trasformazione in altra società di persone
(trasformazione da società di persone in società di persone) e trovare
disciplina nei principi generali della trasformazione (art. 2498 e ss. c.c.). La trasformazione in
società di persone si realizzerà, ovviamente, con l’evoluzione
dell’organizzazione dello studio in una società in nome collettivo ovvero in una
società in accomandita semplice.
Nello statuto della STP “di arrivo” le regole
proprie del tipo societario prescelto dovranno essere opportunamente “adeguate”
con la disciplina prevista per l’esercizio della professione in forma
societaria dalla legge n. 183/2011.
Laddove si aderisca alla tesi che nega
all’associazione professionale la natura di società semplice l’operazione
esulerà dall’ambito della trasformazione omogenea, per approdare a una
possibile connotazione in termini di trasformazione eterogenea.
L’applicabilità delle regole previste per la
trasformazione eterogenea, oltre a imporre una scelta interpretativa circa la
qualificazione giuridica del fenomeno associazione professionale, costringe
l’interprete a delimitarne l’ambito di operatività. In base al dato letterale
delle disposizioni che dovrebbero trovare applicazione, la trasformazione
eterogenea appare limitata ai casi declinati negli artt.
2500-octies c.c., vale a dire alle ipotesi di trasformazione, in società di
capitali, di consorzi, società consortili, comunioni d’azienda, associazioni
riconosciute e fondazioni.
Emerge con chiarezza, allora, che i tipi societari
d’arrivo sono unicamente quelli delle società di capitali, mentre gli enti di
partenza sono esclusivamente le associazioni riconosciute, oltre ai consorzi,
alle società consortili, alle comunioni d’azienda e alle fondazioni. Con
riferimento al primo degli aspetti considerati, vale a dire il tipo societario
di arrivo, da quanto si evince dalla lettera della norma, sembrerebbe preclusa
la trasformazione in società di persone. Tale compressione dell’ambito
applicativo, non appare del tutto convincente, considerato che legislatore
delegato della riforma del diritto societario, dovette necessariamente
trascurare la disciplina delle società di persone, pena l’eccesso di delega.
Con riferimento al secondo aspetto, vale a dire
l’identificazione degli enti di partenza, secondo l’opinione maggioritaria, le
ipotesi tratteggiate nelle disposizioni di cui agli artt.
2500-septies e ss. c.c. sono unicamente quelle maggiormente significative:
non si tratterebbe di elencazione tassativa e la trasformazione degli enti in
generale sembrerebbe consentita a prescindere dai riferimenti testuali dell’art. 2500-septies c.c., quantomeno in presenza di
tipicità causale.
Aderendo a questa ricostruzione, si può concludere
che la trasformazione eterogenea c.d. atipica da studio associato in STP sia
consentita in via diretta, vale a dire senza necessità di effettuare alcun
passaggio intermedio con cui l’associazione tra professionisti richieda ed
ottenga il riconoscimento, e per l’effetto pienamente lecita ai sensi dell’art. 1322 c.c.
Anche in relazione al delicato aspetto della
trasformazione, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che avalli
gli esiti a cui si è giunti, in sede di prima interpretazione, con disposizioni
integrative e di dettaglio della disciplina della legge
n. 3/2012.
15. Il privilegio del credito professionale
Si dibatte sul riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. ai soci di STP. Occorre
dedicare alcuni cenni alla questione che sembra mantenere una certa attualità
in recenti pronunce dei Giudici dove, al credito professionale vantato dai soci
della STP, non è stato riconosciuto il privilegio di cui all’art. 2751-bis, n. 2, c.c., fatto di per sé
assolutamente censurabile attesa la natura del credito e la prescrizione circa
la personalità della prestazione. E’ infatti di tutta evidenza la
discriminazione ingiustificata tra il credito per la medesima prestazione.
In linea generale, equiparando la STP
all’associazione professionale, si registra una certa ritrosia a considerare la
STP come il professionista intellettuale che fornisce la prestazione
professionale oggetto del mandato conferito dalla clientela. Un diffuso
orientamento della giurisprudenza risulta ancorato, per un verso, all’opinione
tradizionale che riconosce il privilegio ex art.
2751-bis n. 2 c.c. solo al professionista persona fisica, in quanto
personalmente impegnato nell’esecuzione della prestazione professionale di cui
resta responsabile a pieno titolo, e non all’associazione professionale di cui
questi faccia parte, e per altro verso, propenso a enfatizzare la circostanza
che nelle associazioni professionali, il credito professionale si confonde con
la remunerazione dell’attività organizzata dai professionisti e diventa credito
d’impresa, conseguentemente mutando la causa del credito, con ciò delineando
una interpretazione fuorviante e discriminatoria del lavoro del professionista.
V’è da dire che tali interpretazioni sono state
disattese da altra giurisprudenza che, sempre con riferimento ai crediti
vantati da associazioni professionali, ha posto in evidenza come la causa del
credito resti collegata all’attività riferibile direttamente al professionista.
In quest’ottica, si è pervenuti a riconoscere il privilegio al credito
dell’associazione, laddove si fornisca rigorosa prova che tale credito sia
sostanzialmente correlato all’attività professionale svolta in via esclusiva o
prevalente dal singolo professionista associato (60).
La questione merita di essere esaminata effettuando
alcune considerazioni d’insieme.
Con riferimento ai soci di STP non può essere
sottaciuto che, differentemente dalle associazioni professionali, non dovrebbe
essere necessaria la ricerca, ovvero, la rigorosa prova della personalità della
prestazione resa, perché tutto l’impianto normativo, che abbiamo esaminato nei
paragrafi che precedono e su cui si basa la disciplina, enfatizza il rapporto
personalistico con il cliente in modo più accentuato di quanto accade nelle
associazioni professionali. Sia l’art 10, comma 4, lett. c), sia gli artt. 3, 4 e 5 del D.M. n. 34 /2013,
consentono di concludere che pur socio della STP, il professionista svolge la
prestazione professionale, che è dedotta nell’oggetto sociale quale attività
esclusiva della STP, in ossequio ai canoni declinati nell’art. 2232 c.c.. Peraltro, anche nella lettera di
incarico alla associazione professionale deve pur sempre essere indicato il
professionista incaricato, diversamente ritenendo che tutti i singoli
professionisti che compongono la associazione siano congiuntamente incaricati.
Il professionista, inoltre, deve attenersi alle stringenti regole previste
dall’art. 5 del D.M. n. 34/2013
allorché intenda avvalersi, sotto la propria direzione e responsabilità, della
collaborazione di ausiliari: in tali casi, infatti, il professionista deve
comunicare i nominativi dei propri collaboratori al cliente per consentirgli di
esprimere il proprio dissenso entro tre giorni.
Il silenzio del cliente non prova la mancata
accettazione delle condizioni proposte, bensì l’inverso, ovverosia che il
cliente ha accettato che il professionista si faccia coadiuvare nell’esecuzione
dell’incarico. Del resto, lo svolgimento dell’attività professionale in team
non è una facoltà che l’ordinamento riconosce unicamente alla STP, né, per il
sol motivo di essere stata attuata, è indice di un’attività professionale
svolta secondo logiche imprenditoriali: al riguardo, non può sottacersi che lo
stesso professionista individuale può valersi, sempre sotto la propria
direzione e responsabilità, di sostituti o ausiliari, qualora la prestazione di
altri sia consentita dal contratto, dagli usi e non sia incompatibile con
l’oggetto della prestazione (61) e non essere, per tal motivo, necessariamente
considerato alla stregua di un imprenditore. In tale prospettiva, il mancato
riconoscimento del privilegio per il credito professionale del socio
professionista che svolga la propria attività per la STP dà vita ad
un’irragionevole disparità di trattamento con il professionista che svolge la
propria attività a titolo individuale.
In conclusione, laddove si fornisca rigorosa prova
che il credito per la prestazione professionale sia sostanzialmente correlato
all’attività professionale svolta in via esclusiva dal professionista socio,
così come da più di uno congiuntamente incaricati all’esecuzione della
prestazione, in ossequio alle disposizioni di legge e di regolamento dettate
per il conferimento e l’esecuzione dell’incarico, il riconoscimento del
privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c. non
dovrebbe essere negato.
Ad ogni buon conto, nella prospettiva de jure
condendo, dovrebbe proporsi una modifica del testo della legge n. 183/2011 espressamente finalizzata a
riconoscere ai soci della STP il privilegio per i crediti professionali ex art.
2751-bis, n. 2 c.c. e, del pari, ai professionisti associati in associazione
professionale.
16. La STP e l’assoggettabilità alle procedure
concorsuali
La legge n. 183/2011
non contiene alcuna previsione sulla crisi della STP, né esclude espressamente
la STP dal fallimento.
Facendo leva sulle clausole dell’atto costitutivo
relative all’esclusività dell’oggetto sociale che, come accennato, mai può
ricomprendere attività economiche di natura imprenditoriale (62), si è esclusa
in via interpretativa la soggezione della STP alla legge fallimentare.
L’unico precedente della giurisprudenza reso
sull’argomento si conforma a tale orientamento, escludendo dall’ambito applicativo
della lege fallimentare la STP. IL Tribunale di Forlì, con decreto del 25
maggio 2017, ha rigettato il ricorso per la dichiarazione di fallimento
presentato dai creditori di una STP costituita in forma di s.r.l. e messa in
liquidazione volontaria dai soci ai sensi dell’art.
2484, primo comma, n. 3, c.c. e ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. b) della
legge n. 183/2011. Il giudice rammenta che, ai sensi dell’art. 1 l.f., sono soggetti al
fallimento gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale e che
abbiano superato le soglie di cui all’art. 1, comma 2, l.f.
Nel caso in rassegna, pur sussistendo il superamento
dei parametri previsti nel secondo comma dell’art. 1 l.f., il Tribunale
precisa che “… non né possibile ritenere sussistente per la società la qualità
di imprenditore e l’esercizio di un’attività commerciale, necessari ai fini
dell’assoggettabilità al fallimento”.
Per maggior precisione, si trattava di una STP
costituita ricorrendo al tipo societario della s.r.l., ai sensi e per gli
effetti di cui all’art. 10 legge
n. 183/2011, che svolgeva statutariamente in via esclusiva l’attività
professionale del Commercialista e, come tale, era iscritta nella sezione
speciale dell’Albo. Essendo venuti a mancare la prevalenza dei soci
professionisti rispetto ai soci per prestazioni tecniche che pure detenevano
una percentuale minoritaria delle quote della STP – s.r.l. ed essendosi
verificata l’ipotesi descritta nell’art. 10, comma 4, lett. b), della
legge n. 183/2011 – in base alla quale, venendo meno la pluralità dei soci
professionisti nella misura richiesta dalla legge stessa, la società si
scioglie se nel termine di sei mesi non è ristabilita la prevalenza dei soci
professionisti con le stesse maggioranze – la società cessava l’attività
professionale e veniva messa in liquidazione secondo le ordinarie regole
previste per le società di capitali. Non sussistevano, dunque, presupposti per
contestare la deliberazione di messa in liquidazione, né per poter invocare che
l’assenza del socio-professionista avesse contribuito a far “evolvere” la STP
in una s.r.l. ordinaria.
Chiariti tali aspetti, il Tribunale afferma che,
anche in assenza di specifiche previsioni in relazione alla assoggettabilità
alle procedure concorsuali e al fallimento di una STP da parte della legge n. 183/2011, conformemente all’orientamento
della più autorevole dottrina, la STP costituita per l’esercizio in via esclusiva
di una o più attività professionali e che abbia effettivamente svolto – sempre
in via esclusiva – tale attività non può essere assimilata alle altre società
commerciali, non esercitando un’attività commerciale e non rivestendo la
qualità di imprenditore. La STP, pertanto, non è assoggettabile a fallimento.
La ricostruzione effettuata dal Tribunale di Forlì,
dal momento che evidenzia la natura ontologicamente differente tra attività
professionale, anche svolta per tramite dell’organizzazione societaria, e
attività di impresa commerciale, sembrerebbe avallare la validità della
differente impostazione della problematica che, alla luce della vigente
normativa, reputa assoggettabile la STP agli istituti di composizione della
crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio di cui alla legge n. 3 del 27 gennaio 2012. Si richiama, a
tal proposito, il disposto dell’art.
6 della predetta legge n. 3/2012, ove si precisa che le menzionate
procedure sono state previste per far fronte a situazioni di sovraindebitamento
non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali (63). In
questa prospettiva, stesse conclusioni possono spendersi circa il sovraindebitamento
della STA, considerato che nell’art.
4-bis della legge n. 247/2012 risultano assenti, sia espressi richiami ad
altre procedure concorsuali, sia l’espressa esclusione dalla fallibilità.
Uno sguardo al prossimo futuro si impone.
Soffermandosi sulle disposizioni di cui al D.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 (Codice della
crisi), mette conto rilevare che l’attuale formulazione dell’art. 65 (64) stabilisce che
possono proporre soluzioni della crisi da sovraindebitamento i debitori di cui
all’art. 2, comma 1, lett. c).
Questi ultimi ricomprendono, inter alia, il consumatore, il professionista,
l’imprenditore agricolo, l’imprenditore minore, le start-up innovative e ogni
altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale.
Essendo la liquidazione giudiziale riservata agli
imprenditori commerciali, che non siano imprese minori, e che si trovino in
stato di insolvenza (65), in forza delle considerazioni effettuate con
riferimento alla natura non imprenditoriale dell’attività della società, le STP
anche in futuro dovrebbero esplicitamente aver accesso alle procedure di composizione
della crisi da sovraindebitamento (66) o, previo deposito della relativa
domanda, alla liquidazione controllata di cui all’art. 268 del Codice della
crisi.
Vero è che la configurazione che la stessa legge n. 183/2011 consente di dare alla STP, con
l’eventuale apertura al capitale e all’investimento da parte di soci non
professionisti, costringe l’interprete a spendere qualche ulteriore riflessione
sull’argomento della fallibilità (o liquidabilità giudiziale) – o meno – della
società.
Come più volte rimarcato, per scongiurare la
eventualità che la STP venga attratta nell’ambito applicativo dello statuto
dell’imprenditore commerciale, occorre evitare che l’attività professionale
costituisca elemento di un’attività organizzata da altri secondo logiche di
impresa – stante il disposto dell’art. 2238 c.c.
– o che si svolgano attività economiche di natura imprenditoriale accanto a
quella professionale.
In tale duplice prospettiva, oltre alla perspicua
limitazione dell’oggetto sociale all’esercizio dell’attività professionale per
cui la STP è stata costituita, sarebbe quanto meno opportuno, ancorché non
risolutivo della problematica, riservare la gestione della STP ai soci
professionisti.
In conclusione, de jure condendo, dovrebbe proporsi
una modifica del testo della legge n. 183/2011
espressamente finalizzata ad escludere la STP dalla soggezione al fallimento e
alla liquidazione giudiziale come disciplinata nel Codice della crisi,
esplicitando, al contempo, la sua attrazione alla disciplina degli istituti di
composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio
di cui alla legge n. 3 del 27 gennaio 2012.
PARTE SECONDA
– ASPETTI FISCALI
1. La qualificazione fiscale del reddito delle
società tra professionisti
La norma istitutiva delle società tra professionisti
(di seguito, “STP”), nonché il relativo regolamento attuativo, non individuano
la natura del reddito prodotto dalla società, né il conseguente trattamento
delle somme percepite dai soci. La mancanza di una qualificazione fiscale a
livello normativo, impone di individuare i modelli impositivi applicabili alla
fattispecie attraverso il procedimento esegetico che, tuttavia, conduce a
risultati contrapposti a seconda che si scelga di privilegiare il presupposto
soggettivo (vale a dire la natura del soggetto che produce il reddito), ovvero
quello oggettivo (soffermandosi esclusivamente sulla natura dell’attività
esercitata).
La discrasia tra natura commerciale del tipo
societario eventualmente utilizzato e la natura eminentemente professionale
dell’attività svolta determina una situazione antinomica difficilmente
risolvibile in via interpretativa. Le incertezze operative generate da siffatta
situazione hanno trovato risposta in un intervento della prassi amministrativa
sul quale si tornerà fra breve, non prima di aver succintamente riepilogato i
diversi indirizzi interpretativi manifestati in materia.
Con la nostra
circolare 19 settembre 2013, n. 34/IR,
pubblicata all’indomani dall’adozione della disciplina attuativa della STP, è
stato evidenziato che, privilegiando il presupposto soggettivo, il reddito
delle STP andrebbe qualificato come reddito di impresa (67). Tale società,
infatti, deve essere costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli
V e VI del libro V del codice civile. Sotto il profilo fiscale, le società in
nome collettivo e in accomandita semplice (art. 6, comma 3, del testo unico
delle imposte sui redditi – di seguito, “Tuir” – approvato con D.P.R. n. 917/1986) generano redditi di impresa a
prescindere dalla fonte reddituale e dall’oggetto sociale, così come il reddito
complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lett. a) e b)
del comma 1 dell’art. 73 del Tuir
è sempre considerato reddito di impresa (art. 81, comma 1, del Tuir) e
determinato secondo le rispettive disposizioni.
Ponendo l’accento sulla veste giuridica del
soggetto, dunque, le STP costituite in uno dei predetti tipi societari
dovrebbero produrre unicamente reddito di iimpresa.
A conclusioni diverse si giunge, invece, se si ha
riguardo all’oggetto dell’attività svolta. Considerato che le STP possono
esercitare esclusivamente attività professionali, il medesimo reddito andrebbe
più correttamente qualificato come reddito di lavoro autonomo. Infatti, ai
sensi dell’art. 10, comma 3,
della legge 12 novembre 2011, n. 183, le STP sono espressamente costituite
per l’esercizio di attività professionali regolamentate all’interno del sistema
ordinistico. Inoltre, la qualifica di STP può essere assunta unicamente da
società il cui atto costitutivo preveda l’esercizio in via esclusiva
dell’attività professionale da parte dei soci. Tale attività, ai sensi di
quanto disposto dall’art. 53 del
Tuir, genera redditi di lavoro autonomo.
Analoghe incertezze interpretative si erano peraltro
già presentate in passato con riferimento sia alle società di ingegneria (di cui
all’art. 46, comma 1, lett. c),
del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (68), sia alle società tra avvocati (di
cui agli articoli 16 e ss. del
D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 96). In entrambe le occasioni, il dibattito
interpretativo aveva trovato soluzione in un intervento della prassi
amministrativa che, peraltro, era giunta a conclusioni contrapposte per le due
diverse fattispecie.
Per le società di ingegneria, la risoluzione 4 maggio 2006, n. 56/E (69) ha in
primo luogo ricordato che le medesime si costituiscono in forma di società di
capitali e hanno come oggetto sociale l’esecuzione di studi di fattibilità,
ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di
congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale. Secondo l’Agenzia
delle entrate, nella qualificazione del reddito prodotto da dette società non
assume alcuna rilevanza il presupposto oggettivo, essendo viceversa
determinante il presupposto soggettivo. È stato infatti ritenuto che la natura
del reddito prodotto da dette società, sulla base del richiamato art. 81 del Tuir, rientra nella
categoria del reddito di impresa per il solo fatto di essere realizzato da un
soggetto costituito sotto forma di società di capitali.
Provando a trasporre siffatte conclusioni alle STP
che qui ci occupano, va osservato che le due fattispecie non sono perfettamente
sovrapponibili. Infatti, sebbene entrambe svolgano un’attività professionale,
nella STP detta attività deve essere svolta in via esclusiva. Inoltre, le STP
possono essere costituite non solo come società di capitali ma anche sotto
forma di società di persone e, infine, le STP sono soggette al regime
disciplinare dell’ordine al quale risultano iscritte (70). La presenza di
queste caratteristiche peculiari non assicura l’immediata applicazione alle
società fra professionisti delle
conclusioni raggiunte dalla prassi amministrativa con riferimento alle
società di ingegneria.
Viceversa, per le società tra avvocati di cui agli articoli 16 e ss. del D.lgs. 2
febbraio 2001, n. 96 – le quali, ove non diversamente disposto, sono
disciplinate dalle norme che regolano la società in nome collettivo – l’Agenzia
delle entrate ha ritenuto di qualificare il reddito dalle stesse prodotto come
reddito di lavoro autonomo.
La risoluzione 28 maggio
2003, n. 118/E ha tratto spunto dalla relazione governativa al decreto
legislativo, la quale, dopo aver sottolineato in più occasioni il carattere
professionale della società, afferma altresì che il richiamo alle norme sulla
società in nome collettivo “non implica la qualificazione della società tra
avvocati come società commerciale…” e che l’esclusione della società in
oggetto dal fallimento “conferma la specificità del tipo e la natura non
commerciale dell’attività svolta”.
Impostazione che risulta coerente con le
disposizioni dell’art. 2238 del codice civile
il quale nega, anche se in modo indiretto, la natura commerciale delle attività
dei professionisti intellettuali e degli artisti. Peraltro, anche il parere
espresso in materia dalla Sezione consultiva degli atti normativi del Consiglio
di Stato nell’adunanza dell’11 maggio 1998 sottolinea che lo “strumento
societario non può comunque vanificare i requisiti della personalità e della
professionalità del soggetto esercente”, indicando, con tale affermazione, che
l’attività di assistenza legale svolta nella forma societaria mantiene lo
stesso contenuto che ne caratterizza l’esercizio in forma individuale. Il
rinvio alle disposizioni in materia di società in nome collettivo opera
pertanto, secondo il documento di prassi in rassegna, ai soli fini civilistici,
in quanto consente di determinare le regole di funzionamento del modello
organizzativo, mentre ai fini fiscali, per ragioni di coerenza del sistema
impositivo, occorre dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività
svolta.
In base a queste considerazioni, la risoluzione n. 118/E ha concluso che i redditi
prodotti dalla società tra avvocati costituiscono redditi di lavoro autonomo in
quanto ad essi si applica la disciplina dettata per le associazioni senza
personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma
comune di arti e professioni di cui all’art. 5, comma 3, lettera c) del Tuir.
Tale conclusione, peraltro, non è stata ribadita con
riferimento alle società tra avvocati costituite ai sensi della legge 31 dicembre 2012, n. 247, come modificata
dalla legge 4 agosto 2017, n. 124, che
consente l’esercizio della professione forense in forma societaria a società di
persone, di capitali o cooperative iscritte in apposita sezione dell’albo
tenuto dall’ordine territoriale di riferimento. Per tali società, la risoluzione 7 maggio 2018, n. 35/E ha precisato
che, in questo caso, risulta prevalente la veste giuridica assunta secondo le
forme tipiche del codice civile, piuttosto che lo svolgimento di un’attività
professionale, con conseguente riconducibilità del reddito prodotto nella
categoria dei redditi di impresa. La diversa soluzione adottata nella risoluzione n. 118 del 2003 per le società tra
avvocati di cui al D.lgs. n. 96 del 2001
rimane valida, ad avviso dell’Agenzia, considerata l’autonoma disciplina di
queste ultime società.
Come si legge nella risoluzione
n. 35/E del 2018, tale interpretazione è stata confermata anche dalla
Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale del Dipartimento delle
finanze che, a seguito di una richiesta di parere della stessa Agenzia, ha
fornito risposta con nota del 19 dicembre 2017, n. 43619, in cui ha evidenziato
che per tali società, in mancanza di deroghe normative espresse, “sembra
difficile valorizzare l’elemento oggettivo della professione forense esercitata
a discapito dell’elemento soggettivo dello schermo societario”.
Tornando alla tematica connessa alla controversa
natura del reddito prodotto dalle STP, è utile ricordare che il disegno di
legge governativo recante “misure di semplificazione degli adempimenti per i
cittadini e le imprese e di riordino normativo”, presentato al Senato il 23
luglio 2013 (A.S. 958), aveva tentato di introdurre una specifica disciplina
sul punto.
In particolare, l’art. 27, comma 4, del citato
disegno di legge prevedeva che “alle società costituite ai sensi dell’articolo 10 della legge 12 novembre
2011, n. 183, indipendentemente dalla forma giuridica, si applica, anche ai
fini dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il
regime fiscale delle associazioni senza personalità giuridica costituite tra
persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni di cui
all’articolo 5, comma 3, lettera
c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917”.
Riconoscendo alle STP il medesimo trattamento
fiscale riservato alle associazioni professionali, il reddito da queste
prodotto veniva pertanto qualificato come reddito di lavoro autonomo e
attribuito per trasparenza ai soci; con l’unica eccezione dei soci non
professionisti che, avendo assunto – per altro verso – la qualifica di
imprenditori, avessero considerato la partecipazione detenuta nella STP tra i
beni relativi all’impresa esercitata. In quest’ultimo caso, l’utile attribuito
per trasparenza dalla società si sarebbe configurato infatti come un provento
che, rinvenendo da un bene relativo all’impresa, restava irrimediabilmente
attratto alla formazione del reddito di impresa, unitamente agli altri
componenti positivi e negativi afferenti ai beni e alle attività relative
all’impresa stessa.
Tale disciplina non ha tuttavia trovato
codificazione normativa, avendo il Governo successivamente rinunciato alla sua
approvazione, su richiesta formulata in sede di parere delle Commissioni
parlamentari, in quanto la medesima avrebbe reso “estremamente difficile” la
possibilità di adottare questa tipologia di società. Secondo il citato parere,
siffatto intervento non avrebbe costituito, infatti, una semplificazione per le
STP costituite come società di capitali o società cooperative, le quali
avrebbero dovuto tenere una duplice contabilità e redigere un doppio bilancio:
uno civilistico, basato sul principio di competenza economica e uno fiscale,
ispirato al criterio di cassa.
Come anticipato, a sciogliere le incertezze
interpretative manifestate a margine della corretta qualificazione del reddito
prodotto dalle STP è da ultimo intervenuta l’Agenzia delle entrate con due risposte a interpelli: la risposta del 12 dicembre 2018, n. 107 e quella
del 27 dicembre 2018, n. 12871.
Nella prima risposta, l’Agenzia delle entrate,
richiamando espressamente la soluzione interpretativa adottata per le società
tra avvocati con la risoluzione 7 maggio 2018, n.
35/E, ha affermato che le STP c ostituite nelle forme di società
commerciali producono un reddito che, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 6, comma 3 e 81 del Tuir, va qualificato come
reddito d’impresa. Inoltre, “va da sé che per le prestazioni effettuate dalla
S.a.s. nell’esercizio d’impresa non deve essere operata alcuna ritenuta sulla
base di quanto disposto dall’articolo
25, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973”. A tal proposito, la risposta ad
interpello in esame ha ulteriormente specificato che per evitare salti o duplicazioni d’imposta eventualmente
derivanti dal passaggio da un regime per cassa ad un regime per competenza (a
seguito di trasformazione dell’associazione professionale in STP costituita in
forma di s.a.s. [n.d.r.: in regime di contabilità ordinaria]), se un componente
reddituale, per il quale sia mutato il criterio di imputazione temporale, ha
già concorso alla determinazione del reddito in applicazione delle regole
previste dal regime “di provenienza”, lo stesso non concorrerà alla formazione
del reddito dei periodi di imposta successivi, ancorché se ne siano verificati
i presupposti previsti dal regime “di destinazione”.
Analoghe conclusioni sono state rassegnate nella risposta a interpello del 27 dicembre 2018, n. 128,
nella quale l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente specificato che “Sul piano
fiscale, le STP, costituite per l’esercizio di attività professionali per le
quali è prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel
sistema ordinistico, producono reddito d’impresa in quanto non costituiscono un
genere autonomo, appartenendo alle società tipiche disciplinate dal codice
civile e, conseguentemente, sono soggette alla disciplina legale del modello
societario prescelto, salvo deroghe o integrazioni espressamente previste”.
In sostanza, stando agli orientamenti della prassi
amministrativa, ai fini della qualificazione del reddito prodotto dalle STP,
non assume alcuna rilevanza l’elemento oggettivo dello svolgimento di
un’attività professionale; risultando viceversa predominante l’elemento
soggettivo inerente il fatto di operare in una veste giuridica societaria
tipica del codice civile. Di conseguenza, a dette società si applicano le
previsioni di cui agli articoli 6,
comma 3, e 81 del Tuir, per
effetto delle quali il reddito delle società in nome collettivo e in
accomandita semplice, nonché delle società e degli enti commerciali di cui alle
lett. a) e b) del comma 1 dell’art.
73 del Tuir, è considerato reddito d’impresa da qualsiasi fonte provenga il
reddito dalle stesse prodotto.
La qualificazione del reddito delle STP come reddito
d’impresa comporta una serie di effetti, con inevitabili riflessi nella
valutazione circa l’opportunità di costituire una STP per l’esercizio
dell’attività professionale, che saranno esaminate nei paragrafi successivi.
2. Il trattamento fiscale delle somme percepite dai
soci
Per quanto concerne la fiscalità degli utili
distribuiti ai soci, essa sconta regimi fiscali diversi a seconda che la STP
sia costituita in forma di società di persone, società di capitali che hanno
optato per il regime di trasparenza (ex articoli 115 e 116 del Tuir)
ovvero società di capitali che non hanno esercitato detta opzione. Nelle prime
due ipotesi, l’utile sconta l’IRPEF direttamente in capo ai soci; mentre, nel
caso di società di capitali non trasparente, l’utile sconta l’IRES in capo alla
società e i dividendi attribuiti ai soci sono assoggettati alla ritenuta a
titolo di imposta del 26%. A tale ultimo proposito, vanno evidenziati due
importanti interventi della prassi amministrativa, a mezzo dei quali sono state
fornite indicazioni in merito alla qualificazione fiscale delle somme a diverso
titolo erogate ai soci da parte delle STP costituite sotto forma di società di
capitali.
Il primo dei suddetti interventi di prassi è la
risposta della Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle entrate
all’interpello n. 904-1126/2017 del 4 agosto 2017 a mezzo del quale la società
contribuente chiedeva indicazioni in merito alla qualificazione, ai fini
fiscali, dei compensi che intendeva erogare a due nuovi soci (che avrebbero
cessato la loro posizione IVA individuale) a titolo, rispettivamente, di
corrispettivo per l’attività professionale svolta per la STP e di compenso per
l’attività svolta come consigliere d’amministrazione della medesima società.
Al riguardo, la DRE Lombardia, dopo aver ricordato
che il reddito prodotto dalla STP è considerato reddito di impresa, ha
affermato che i compensi erogati a fronte dell’attività professionale svolta
per la STP non possono essere considerati redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente (ex art. 50, comma 1,
lett. c-bis), del Tuir). Infatti, nel caso di STP costituita in forma di
società di capitali, il reddito dalla medesima prodotto è tassato in capo alla
stessa come reddito di impresa e, in capo ai soci, solo in caso di successiva distribuzione
degli utili, come reddito di capitale (ex art. 44, comma 1, lett. e), del Tuir),
fatta salva, ove ammessa, la facoltà di esercizio del regime di tassazione per
trasparenza, di cui all’art. 116
del Tuir.
Diversa, secondo la DRE Lombardia, la situazione del
socio che svolge il ruolo di consigliere di amministrazione della società. Infatti,
l’art. 50, comma 1, lett. c-bis),
del Tuir prevede che sono tassati come redditi assimilati a quelli di
lavoro dipendente, tra gli altri, “le somme e i valori in genere, a qualunque
titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni
liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di
società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica”. Unica
eccezione a tale principio si verifica quando il ruolo di amministratore svolto
rientra nei compiti istituzionali oggetto della professione esercitata dal
soggetto. Solo in questo caso, i relativi proventi devono essere ricondotti nel
reddito di lavoro autonomo derivante dall’attività professionale abitualmente
svolta (tematica ampiamente affrontata dalla circolare
12 dicembre 2001, n. 105/E).
Come anticipato, il tema della qualificazione
fiscale delle somme erogate dalla STP ai propri soci è stato nuovamente
affrontato nella risposta a interpello
dell’Agenzia delle entrate n. 128 del 27 dicembre 2018. In questa seconda
fattispecie, la STP era stata costituita nella forma di società a
responsabilità limitata ed aveva per oggetto l’esercizio dell’attività di
dottore commercialista e la consulenza aziendale. La società intendeva
conoscere il trattamento fiscale di somme che sarebbero state erogate ad alcuni
soci (titolari di propria partita IVA) a fronte di contratti di prestazione
d’opera intellettuale (ex artt. 2230 e ss. c.c.),
ripartite in dodici mensilità e commisurate unicamente alle ore lavorative
svolte per la STP (quindi, in modo completamente svincolato sia dal risultato
economico della STP, sia dalla quota di partecipazione al capitale posseduta
dal singolo socio).
Nel caso di specie, l’Agenzia delle entrate ha
ritenuto che le somme erogate ai soci professionisti costituivano un
corrispettivo per l’attività lavorativa svolta in favore della società dovendosi,
viceversa, escludere in base allo statuto della STP che detta prestazione
d’opera potesse integrare un conferimento in natura (ex art. 2464 c.c.). Sotto il profilo fiscale,
l’Agenzia delle entrate ha quindi ritenuto che i suddetti corrispettivi vadano
qualificati come redditi di lavoro autonomo (ex art. 53 del Tuir), con conseguente
necessità di effettuazione, da parte della STP, della ritenuta d’acconto di cui
all’art. 25 del D.P.R. n. 600 del
1973.
Il tema della qualificazione fiscale delle somme
percepite dai soci della STP viene quindi risolto, in tali documenti di prassi,
facendo di volta in volta attento riferimento ai singoli elementi che
caratterizzano la fattispecie concreta e che consentono di verificare se
trattasi di distribuzione di utili o di pagamento di corrispettivi per
l’attività professionale svolta.
3. I principi generali di determinazione del reddito
Come già ricordato, l’art. 10, comma 3, della legge 12
novembre 2011, n. 183 prevede che la STP possa essere costituita secondo i
modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Pertanto,
le STP possono essere costituite ricorrendo sia ai tipi societari delle società
di persone che a quelli delle società di capitali ovvero anche al tipo della
società cooperativa. Con riferimento a quest’ultima, la disposizione da ultimo
richiamata ne circoscrive l’applicabilità a società con non meno di tre soci,
derogando alla regola generale declinata nel primo comma dell’art. 2522 del c.c. che fissa il numero minimo dei
soci a nove
3.1. Le società tra professionisti costituite in
forma di società semplice
La STP costituita nella forma della società
semplice, ossia secondo un modello a cui è precluso l’esercizio di attività
commerciali, determina il reddito con le regole proprie del reddito di lavoro
autonomo di cui agli articoli 53 e
54 del Tuir.
3.2. Le società tra professionisti costituite in
forma di società di persone commerciali
Le STP costituite in forma di società di persone di
tipo commerciale (vale a dire in forma di società in nome collettivo o in
accomandita semplice) assolvono le imposte dirette in applicazione del
principio di tassazione per trasparenza ai sensi dell’art. 5 del Tuir, a prescindere dal
regime contabile (semplificato o ordinario) adottato.
Pertanto, il reddito della STP, che si qualifica
comunque come reddito di impresa, viene assoggettato ad IRPEF direttamente in
capo ai soci e a prescindere dall’avvenuta (o meno) distribuzione dell’utile prodotto
dalla società.
3.2.1. Le società tra professionisti in contabilità
semplificata
Con riferimento ai soggetti in regime di contabilità
semplificata è utile ricordare che, dal 1° gennaio 2017, i medesimi adottano un
regime di determinazione del reddito improntato al criterio di cassa, che nei
fatti diventa poi un regime misto cassa-competenza (circ.
11/E/2017).
Tale regime si applica, ovviamente, anche alle STP
costituite in forma di s.n.c. e di s.a.s. in contabilità semplificata.
Anche per queste ultime STP sono tre le soluzioni
praticabili per la tenuta della contabilità.
La prima è quella prevista dal comma 2 dell’articolo 18 D.P.R. n. 600/73 che
prevede l’istituzione di due registri distinti (incassi/pagamenti) nei quali
annotare cronologicamente ricavi percepiti e spese sostenute con riferimento
alla data di incasso/pagamento.
In questi registri sarà necessario individuare:
– l’importo del ricavo/spesa percepito o pagato,
– le generalità, l’indirizzo e il comune di
residenza anagrafica del soggetto che effettua o a cui è stato effettuato il
pagamento,
– gli estremi della fattura o altro documento
emesso.
Sempre all’interno dei suddetti registri dovranno
essere annotati, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei
redditi, gli altri componenti rilevanti ai fini della determinazione
dell’imponibile (tipicamente plusvalenze, minusvalenze, canoni di leasing e
ammortamenti, spese per prestazioni di lavoro, ecc.).
Questa modalità di gestione ha l’indubbio vantaggio
di tassare i ricavi solo al momento dell’incasso, analogamente a quanto avviene
per i professionisti o per le associazioni professionali. I suddetti registri
degli incassi e dei pagamenti possono essere sostituiti da quelli da tenere ai
fini dell’IVA, se il contribuente procede, all’interno di essi, con separata
indicazione, a contabilizzare:
– le
operazioni, non soggette a registrazione ai fini IVA (es. ammortamenti, canoni
di leasing, plusvalenze, ecc.),
– l’importo complessivo dei mancati
incassi/pagamenti e delle fatture cui gli stessi si riferiscono.
Tale annotazione dovrà essere riportata nei registri
IVA entro i termini di presentazione della dichiarazione delle imposte sui
redditi.
In questo modo, infatti, secondo l’art. 18, comma 4, D.P.R. n. 600/73,
risulta ugualmente certa la determinazione del reddito d’impresa in base al
principio di cassa.
Si ricorda inoltre che, successivamente, al momento
dell’effettivo incasso/pagamento i ricavi e i costi dovranno essere registrati
separatamente entro i successivi sessanta giorni.
Si tratta dunque di un “sistema a consuntivo” che
permette a posteriori l’indicazione dei soli componenti non incassati/pagati.
Tale metodologia si fa sicuramente preferire
rispetto a quella dei registri degli incassi/pagamenti poiché più snella sull’aspetto
amministrativo, incamerando ugualmente l’indubbio vantaggio di permettere la
tassazione dei ricavi solo al momento dell’incasso.
D’altro lato, questo metodo, potrebbe generare
qualche difficoltà, specie in prossimità della fine dell’anno, derivanti dalla
necessità di dover ricostruire i mancati incassi e pagamenti di tutto il
periodo.
L’ultima soluzione percorribile per la tenuta della
contabilità semplificata è data dalla possibilità di tenere solamente i
registri IVA senza separata indicazione degli incassi e pagamenti.
La scelta si concretizza previo esercizio di
un’apposita opzione (vincolante per almeno un triennio) che consente di tenere
i soli registri IVA senza operare sugli stessi alcuna annotazione relativa ad
incassi e pagamenti: opera infatti, in questo caso, una presunzione legale
secondo cui la data di registrazione (ai fini IVA) dei documenti coincide con quella
di incasso o pagamento.
Si tratta decisamente di un sistema semplificato in
termini di oneri amministrativi poiché prevede, in buona sostanza, che tutte le
fatture o documenti che risultano annotati nei registri IVA entro la data di
fine esercizio siano da considerarsi incassati o pagati nell’anno.
Tale metodologia presenta tuttavia per le STP il
grosso limite di dover anticipare la tassazione di ricavi già fatturati, ma non
ancora incassati; il che, per i motivi sopra esposti, potrebbe anche non essere
la soluzione idonea per tale tipo di società.
3.2.2. Le società tra professionisti in contabilità
ordinaria
Come noto, l’art. 18 del D.P.R. n. 600 del 1973
subordina la possibilità di tenere una contabilità semplificata in luogo di
quella ordinaria al ricorrere di determinati requisiti che vanno periodicamente
verificati dai soggetti di minori dimensioni.
Con riferimento all’attività propria delle STP, che
è tipicamente un’attività di prestazione di servizi, si rammenta che l’obbligo
di tenuta della contabilità ordinaria scatta qualora i ricavi percepiti in un
anno intero, ovvero conseguiti nell’ultimo anno di applicazione dei criteri
previsti dall’art. 109, comma 2,
del Tuir, abbiano superato l’ammontare di quattrocentomila euro.
Il regime di contabilità semplificata rimane,
quindi, il regime naturale per quanti si collocano al disotto di detta soglia,
ferma restando anche per questi soggetti la possibilità di optare per la tenuta
di una contabilità ordinaria.
3.3. Le società tra professionisti costituite in
forma di società di capitali o cooperativa
Le STP costituite sotto forma di società di capitali
e società cooperative sono soggetti passivi dell’IRES (ex art. 73, co. 1 lett. a) del Tuir),
proprio in virtù del principio più sopra esplicitato secondo cui le stesse non
costituiscono un genere autonomo di società con causa propria, ma sono
sottoposte in tutto e per tutto alla disciplina del modello societario
prescelto.
Come noto, se le società di capitali non superano le
soglie di cui all’art. 2435-ter del codice civile
previste per le c.d. “micro-imprese” (72) che redigono il bilancio in forma
abbreviata, il reddito di impresa sarà determinato secondo le regole previste
dal Tuir (il principio di c.d. “derivazione semplice”). Per le altre società di
capitali che superano dette soglie e redigono il bilancio in forma ordinaria,
il reddito d’impresa sarà invece determinato secondo il principio di c.d.
“derivazione rafforzata” di cui all’art.
83 del Tuir. Per queste ultime società varranno, pertanto, i criteri di
qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti
dai princìpi contabili nazionali.
4. Aspetti peculiari relativi alla determinazione
del reddito delle società tra professionisti costituite in forma di società di
capitali o cooperativa
Lo svolgimento dell’attività professionale sotto la
veste giuridica di STP costituita nelle forme delle società di tipo commerciale
provoca, come già ricordato, un vero e proprio “cambio di paradigma” nella
determinazione del reddito per effetto del passaggio dalla categoria dei
redditi di lavoro autonomo a quella dei redditi di impresa, che richiede una
programmazione adeguata ed un profondo cambio culturale ed organizzativo nella
gestione dell’attività.
L’attività professionale si fonda sulla prestazione
d’opera intellettuale, sulla consulenza svolta dal professionista “intuitu
personae” e vede l’organizzazione dello studio come ancillare alla prestazione
professionale.
L’attività d’ impresa, viceversa, implica la
gestione di una azienda definita dal nostro legislatore come “il complesso dei
beni organizzati dall’imprenditore”. Le norme che ne derivano sia sul piano
della redazione del bilancio e conseguente applicazione dei principi contabili,
sia sul piano del diritto tributario presuppongono una differente organizzazione
dell’attività svolta, che non può non essere in qualche misura implementata
nella STP, quanto meno ai soli fini dell’assolvimento degli obblighi di
bilancio e tributari.
Con l’eccezione delle s.n.c e s.a.s. in contabilità
semplificata – forme societarie scarsamente utilizzate per il permanere della
responsabilità illimitata in capo ai soci amministratori -, le altre STP
determinano il reddito di impresa secondo il principio di competenza. Tale
criterio di imputazione temporale dei componenti reddituali implica la
necessità di dover valutare i lavori in corso alla data di chiusura
dell’esercizio, distinguendo fra lavori di durata superiore o inferiore ai
dodici mesi.
L’applicazione del principio di competenza comporta
inoltre la rilevazione dei ratei e risconti attivi e passivi, dei crediti e dei
relativi fondi di svalutazione, dei fondi per i rischi professionali derivanti
da potenziali richieste di risarcimento del danno da parte di clienti o di
terzi e, più in generale, il rispetto di una serie di regole proprie del
reddito di impresa differenti da quelle previste per i redditi di lavoro
autonomo.
Lo studio professionale che intenderà adottare la
veste giuridica di STP costituita nella forma di società di capitali o società
cooperativa dovrà quindi necessariamente dotarsi di una organizzazione interna
che preveda un sistema di rilevazione dei tempi di lavoro (time sheet) dedicati
da professionisti, collaboratori e personale dipendente alle singole pratiche.
La rilevazione di tali tempistiche è infatti indispensabile per poter impostare
una contabilità di tipo “industriale” dello studio-STP, anche al fine di
valorizzare correttamente le prestazioni in corso alla data di chiusura
dell’esercizio sociale. Con la
redazione del bilancio di esercizio si dovranno determinare anche i ratei e i
risconti attivi e passivi, riferiti ad esempio alle polizze assicurative, ai
contratti di locazione o alle utenze, si dovranno poi valutare i rischi
relativi ai sinistri aperti con la propria compagnia di assicurazione non
coperti dalla stessa o relativi agli avvisi ricevuti dalla clientela per i
quali vi è una responsabilità dello studio, si dovranno altresì analizzare i
singoli crediti per determinare gli importi delle eventuali svalutazioni degli
stessi.
Appare infine importante evidenziare che il
passaggio dalla tassazione per cassa alla tassazione per competenza
determinerà, quanto meno nel primo esercizio, un esborso finanziario molto
elevato che potrebbe di fatto azzerare quasi completamente i flussi di cassa in
entrata. Molti studi hanno ingenti crediti nei confronti della clientela e di
fatto si assiste in non poche realtà professionali ad un decalage di un anno
fra prestazioni svolte e incassi. In questi casi, si avrà di fatto un carico di
tassazione doppia che potrebbe portare quasi ad annullare il reddito dello
studio nell’anno di costituzione della STP.
Di seguito, passeremo in rassegna le principali
differenze derivanti dalla determinazione del reddito di impresa rispetto alla
determinazione del reddito di lavoro autonomo, con l’obiettivo di offrire un
quadro sintetico a coloro che per la prima volta volessero approcciare il tema
della “trasformazione” dello studio individuale o associato in STP costituita
nella forma di società di capitali o cooperativa.
Servizi in corso alla data di chiusura
dell’esercizio sociale
La valorizzazione dei servizi in corso di esecuzione
al termine dell’esercizio è certamente uno degli aspetti più problematici
derivanti dal passaggio dal criterio di cassa a quello di competenza. In
termini generali, è doveroso ricordare che:
– i servizi per i quali le parti hanno pattuito per
contratto una durata non superiore ai 12 mesi sono valutati applicando alla
parte non ancora ultimata il criterio basato sulla spesa sostenuta nell’esercizio
(ex art. 92, comma 6, del Tuir);
– i servizi pattuiti come oggetto unitario e con
tempo di esecuzione ultrannuale sono valutati sulla base dei corrispettivi
pattuiti. Alla fine di ogni esercizio, la STP dovrà quindi calcolare, con
riferimento alla parte del servizio già prestato, la quota maturata del
corrispettivo pattuito (ex art. 93
del Tuir).
Al riguardo, sembra opportuno segnalare i seguenti
aspetti:
– senza un sistema di contabilità per commesse
basato sulla rilevazione dei tempi di lavorazione da parte di tutti i
componenti della STP (professionisti, collaboratori, dipendenti) risulta quasi
sempre impossibile effettuare tali valutazioni;
– nelle STP in cui la componente del lavoro dei soci
è preponderante in rapporto ai costi dei dipendenti, dei collaboratori e dei
costi di struttura, la valutazione delle rimanenze dei servizi di durata
infrannuale in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sarà influenzata
in modo rilevante dalla modalità con cui i soci professionisti sono remunerati
da parte della STP per l’attività da loro prestata nei confronti della stessa.
Nel caso in cui tali soci, non avendo anche una propria posizione IVA
individuale, siano remunerati per l’attività svolta solo all’atto della
distribuzione dei dividendi da parte della STP, quest’ultima non potrà infatti
valorizzare nel costo della rimanenze l’attività svolta dai soci, per effetto
della mancanza di costi per servizi professionali sostenuti dalla STP. Nel caso
in cui i soci professionisti abbiano invece anche una propria posizione IVA
individuale e per le prestazioni da loro svolte emettano fattura nei confronti
della STP, quest’ultima potrà valorizzare nel costo delle rimanenze l’attività
svolta dai soci sulla base dei costi per servizi professionali sostenuti;
– la maggior parte delle attività prestate dai
professionisti come ausiliari del giudice hanno una durata ultrannuale, ma
indeterminata, e un corrispettivo fissato in base a parametri determinati, ma
di ammontare determinabile solo nel corso dell’adempimento della prestazione.
In alcuni casi, quali le curatele, l’importo del compenso è condizionato anche
dalla presenza di attivo nella procedura. In simili circostanze, la valutazione
delle rimanenze finali dei predetti servizi in corso di esecuzione al termine
dell’esercizio risulta particolarmente critica, né risulta possibile rilevare
in bilancio un ricavo considerato che il principio contabile relativo ai lavori
in corso su ordinazione (cfr. OIC 23, par. 52)
prevede che la rilevazione di quest’ultimo sia effettuata “solo quando vi è la
certezza che il ricavo maturato sia definitivamente riconosciuto … quale
corrispettivo del valore dei lavori eseguiti”.
Oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione
Solo nell’ambito del reddito di lavoro autonomo
troviamo una disciplina specifica per l’acquisto e la cessione di oggetti
d’arte, di antiquariato o da collezione. L’art. 54, comma 5, del Tuir prevede,
infatti, che il costo di acquisto o d’importazione di tali beni sia ricondotto
fra le spese di rappresentanza, seguendone la relativa disciplina. La
deducibilità è consentita nei limiti dell’1% dei compensi percepiti nel periodo
d’imposta, unitamente alle altre spese di rappresentanza quali ad esempio
quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad essere ceduti
gratuitamente (omaggi). Lo stesso trattamento fiscale è previsto anche per gli
oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione che siano utilizzati come beni
strumentali per l’esercizio dell’attività. La cessione di questi beni non
determina, tuttavia, l’emersione di plusvalenze o minusvalenze rilevanti
fiscalmente. Nell’ambito del reddito d’impresa le spese per l’acquisto di tali
beni non sono invece oggetto di una disciplina specifica ed è necessario quindi
ricorrere ai principi generali per stabilire le modalità con cui poter dedurre
le stesse. Per la STP la scelta della deducibilità del costo sarà rimessa
dunque alla sensibilità degli amministratori che dovranno stabilire la natura
del bene, distinguendo quelli strumentali da quelli meramente patrimoniali
ovvero ancora verificando la loro riconducibilità tra le spese di rappresentanza
nel caso in cui gli stessi siano destinati ad essere ceduti gratuitamente alla
clientela. La cessione (o la destinazione a finalità estranee all’esercizio
dell’attività) degli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione
strumentali o meramente patrimoniali genererà inoltre plusvalenze o
minusvalenze sempre rilevanti ai fini della determinazione del reddito
d’impresa.
Spese di rappresentanza
Nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, come già
ricordato, è stato fissato un tetto alla deducibilità alle spese di
rappresentanza pari all’1% dei compensi percepiti nel periodo d’imposta. È
stato altresì ricordato che rientrano tra le spese di rappresentanza, oltre a
quelle sostenute per l’acquisto di oggetti d’arte, di antiquariato o da
collezione, le spese sostenute per l’acquisto di beni destinati ad essere
ceduti a titolo gratuito.
L’Agenzia delle entrate con la circolare 13 luglio 2009, n. 34/E (par. 1) ha
anche chiarito che le disposizioni relative alla qualificazione delle spese di
rappresentanza previste in sede di determinazione del reddito di impresa
rilevano anche ai fine del reddito di lavoro autonomo.
Ai fini della determinazione del reddito di impresa
è previsto invece un differente limite alla deducibilità di tali spese. L’art. 108, comma 2, del Tuir
stabilisce infatti che le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti
dell’1,5% dei ricavi ed altri proventi della gestione caratteristica fino ad un
importo di questi ultimi pari 10 milioni di euro, nei limiti dello 0,6% dei
ricavi e altri proventi per la parte di questi ultimi eccedente 10 milioni di
euro e fino a 50 milioni, e nei limiti dello 0,4% dei ricavi e altri proventi
superiori a 50 milioni di euro.
Nell’ambito del reddito d’impresa le spese relative
ai beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a 50 euro
sono comunque deducibili integralmente, a prescindere dai predetti limiti, e
non trova applicazione una disciplina specifica per la deduzione delle spese
relative all’acquisto di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione.
In ogni caso, le spese di rappresentanza sono
deducibili soltanto se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze
del 19 novembre 2008 (pubblicato in G.U. n. 11 del 15 gennaio 2009).
Compensi ai familiari
In sede di determinazione del reddito di impresa
della STP non è replicata la disposizione di cui all’art. 54, comma 6-bis, del Tuir che,
nell’ambito del reddito di lavoro autonomo, inibisce la deduzione dei compensi
al coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o permanentemente
inabili al lavoro, nonché agli ascendenti del professionista, dei soci o
associati, per il lavoro prestato o l’opera svolta nei confronti del
professionista, della società o associazione.
Ne consegue la possibilità per la STP di dedurre
tali compensi, nel rispetto ovviamente del requisito di loro inerenza
all’attività esercitata.
Spese per corsi di formazione o di aggiornamento
professionale, master, convegni e congressi La disciplina dei redditi di lavoro
autonomo prevede che le spese per l’iscrizione a master, convegni e congressi,
nonché a corsi di formazione o di aggiornamento professionale, comprese quelle
di viaggio e soggiorno, sono integralmente deducibili entro il limite annuo di
diecimila euro (art. 54, comma 5,
Tuir).
In sede di determinazione del reddito d’impresa non
sono invece previste limitazioni specifiche alla deducibilità di tali costi,
per cui in presenza di spese eccedenti il predetto limite di diecimila euro, la
STP potrà dedurre anche l’importo eccedente di tali spese.
Regime degli immobili strumentali e spese di natura
incrementativa su beni di terzi
In sede di determinazione del reddito di impresa
della STP vengono meno alcune significative limitazioni alla deduzione dei
costi di acquisto degli immobili strumentali all’esercizio dell’attività. In
particolare, le quote di ammortamento relative a tali immobili risultano
pacificamente deducibili, a differenza di quanto accade nel reddito di lavoro
autonomo (73).
Per quanto concerne il trattamento fiscale dei
canoni di leasing il regime risulta invece simmetrico, essendo prevista sia per
il reddito di impresa che per il reddito di lavoro autonomo che gli stessi
siano deducibili in un periodo non inferiore a dodici anni, a prescindere dalla
durata effettiva del contratto. Con riferimento ai costi di natura
incrementativa, intendendosi per tali le spese di manutenzione, riparazione,
ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad
incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, quelle relative ai beni
immobili strumentali sono deducibili in base al processo di ammortamento
proprio del cespite in relazione al quale le stesse sono state sostenute.
Nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, tali
spese (74) sono invece deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento nel
limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili
risultante all’inizio del medesimo periodo; mentre l’eventuale eccedenza è
deducibile in quote costanti nei 5 periodi d’imposta successivi (cfr. art. 54, comma 2, ultimo periodo, Tuir)
(75). Analoga differenza sussiste per le spese di manutenzione, riparazione,
ammodernamento e trasformazione di natura incrementativa sostenute su immobili
strumentali di terzi, detenuti in locazione o comodato. Ed infatti, in sede di
determinazione del reddito di impresa della STP risulta applicabile l’art. 108, comma 1, del Tuir che
prevede la deducibilità delle spese relative a più esercizi nel limite della
quota imputabile a ciascun esercizio. La norma rinvia dunque alle diposizioni
civilistiche, per cui bisogna fare rifermento al principio
contabile OIC 24, secondo cui tali spese devono essere ammortizzate sulla base della loro
utilità futura o della durata residua del diritto di utilizzazione
dell’immobile, se inferiore. Nel caso le migliorie incrementative siano
separabili dai beni alle quali le stesse si riferiscono, dovranno essere
classificate nelle immobilizzazioni materiali, nella specifica categoria alla
quale appartengono e seguiranno il processo di ammortamento proprio del
cespite. Nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, l’Agenzia delle entrate,
nella risoluzione 8 aprile 2009, n. 99/E, ha
ritenuto che le spese di natura incrementativa su immobili strumentali di terzi
sono deducibili in base ai medesimi criteri di imputazione temporale dettati
dall’art. 54, comma 2, del Tuir
per le spese non aventi tale natura, “non essendo rinvenibile nell’ambito della
disciplina del reddito di lavoro autonomo un altro criterio d’imputazione per
le spese di natura pluriennale”. Dal che, le stesse, analogamente a quelle
relative agli immobili in proprietà acquistati dal 1° gennaio 2010 in poi, sono
deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento nel limite del 5% del costo
complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultante all’inizio del medesimo
periodo; mentre l’eventuale eccedenza è deducibile in quote costanti nei 5
periodi d’imposta successivi.
Spese relative a autovetture, autocaravan,
ciclomotori e motocicli
Tali spese, come è noto, ricevono la medesima
disciplina ai fini della determinazione sia del reddito di impresa che del
reddito di lavoro autonomo.
L’art.
164 del Tuir prevede, infatti, per entrambe le categorie di reddito i
medesimi “limiti di deduzione delle spese e degli altri componenti negativi
relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e
professioni”.
Per le autovetture, autocaravan, ciclomotori e
motocicli le spese e gli altri componenti negativi relativi agli stessi risultano
quindi deducibili nella misura del 20%, fermi restando i limiti di rilevanza
fiscale del costo di acquisto dei medesimi (18.075,99 euro, per autovetture e
autocaravan; 4.131,66 euro, per i motocicli; 2.065,83, per i ciclomotori).
Interessi passivi
Sebbene gli interessi passivi siano una componente
di costo generalmente non molto rilevante nell’ambito della attività
professionali, è bene ricordare che alla STP soggetta ad IRES si applicano i
limiti di deducibilità previsti dall’art.
96 del Tuir. La norma consente, come è noto, la deduzione degli interessi
passivi fino all’ammontare degli eventuali interessi attivi e per l’eventuale
eccedenza nel limite del 30% del ROL (risultato operativo lordo) della gestione
caratteristica determinato ai sensi del citato art. 96. Limiti di deducibilità,
questi ultimi, che invece non trovano applicazione nell’ambito dei redditi di
lavoro autonomo.
5. Le società tra professionisti e gli indici
sintetici di affidabilità fiscale
Dalla qualificazione fiscale del reddito prodotto
dalle STP come reddito di impresa discendono alcune conseguenze anche in merito
all’applicabilità degli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA). Si
ricorda infatti che una particolare situazione in cui trova applicazione una
causa di esclusione dagli ISA riguarda i contribuenti con categoria reddituale
diversa da quella per la quale è stato approvato l‘ISA e, quindi, diversa da
quella prevista nel quadro dei dati contabili contenuto nel modello ISA
approvato per l’attività esercitata.
Quest’ultima è proprio la situazione che si verifica
quando l’attività professionale viene svolta sotto forma di STP, i cui criteri
di determinazione del reddito, come più volte ricordato, sono quelli del
reddito di impresa, ma i quadri dei dati contabili del modello si riferiscono
alle attività di lavoro autonomo.
Si prenda ad esempio una STP costituita in forma di
società a responsabilità limitata che ha ad oggetto l’attività di
commercialista. Essa determina il reddito secondo le regole del reddito di
impresa, ma il modello ISA (BK05U) non ne prevede il relativo quadro contabile
(quadro F), in quanto esiste il solo quadro H concepito unicamente per
l’attività di lavoro autonomo professionale. In tal caso scatta quindi la
predetta causa di esclusione dall’applicazione degli ISA.
6. L’evoluzione dello studio individuale o
associato: cessione, conferimento e trasformazione
Le operazioni straordinarie che possono coinvolgere
i soggetti esercenti arti e professioni, ancorché nella pratica siano sempre
più frequenti, non sono state nel corso degli anni oggetto di specifica
attenzione da parte del legislatore fiscale.
L’unico intervento normativo è stato l’inserimento
nell’art. 54 del Tuir – ad opera
del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (conv. dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) – del comma 1-quater, ai
sensi del quale concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo anche i
corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi
immateriali, comunque riferibili all’attività artistica o professionale.
Con tale disposizione è, stato, dunque, ampliato il
novero dei componenti positivi riconducibili alla categoria dei redditi
derivanti dall’esercizio abituale di arti e professioni, risolvendo la
controversa questione, sorta in passato, relativa al corretto inquadramento
fiscale dei proventi in oggetto percepiti da parte dei titolari di reddito di
lavoro autonomo, proventi che – prima della novella normativa – erano stati
qualificati dall’Amministrazione finanziaria come redditi diversi ai sensi
dell’art. 67 del Tuir (sul
punto si rinvia alla ns. circolare n. 1/IR del 12
maggio 2008, § 7). Per tutte le altre ipotesi che consentono le
aggregazioni tra studi professionali e, tra queste, il passaggio da studio
individuale o associato a STP manca una disciplina positiva, a differenza di
quanto previsto per i soggetti che esercitano un’attività d’impresa per i
quali, a partire dal D.lgs. 8 ottobre 1997, n. 358,
è stato introdotto un regime diffuso di neutralità fiscale.
A tal riguardo, occorre sottolineare come il CNDCEC
abbia sollecitato in più occasioni un intervento normativo diretto a evitare
che operazioni di apporto o conferimento di studi individuali o associati in
società tra professionisti ovvero di trasformazione, fusione o scissione
eterogenea di società semplici svolgenti attività professionale in società tra
professionisti fossero considerati, sotto il profilo fiscale, realizzativi, con
conseguente emersione di materia imponibile in relazione ai beni, ai crediti,
al valore della clientela o agli elementi immateriali comunque riferibili
all’attività professionale (76). In tale prospettiva, il Consiglio nazionale ha
anche evidenziato la necessità di emanare una norma di interpretazione autentica
volta ad assicurare il medesimo trattamento fiscale alle operazioni
straordinarie poste in essere fino al momento di approvazione della norma sulla
neutralità, al fine di superare l’attuale mancanza di espressa disciplina
fiscale in materia.
Nella speranza che tale intervento normativo non
tardi ad arrivare, per una sintetica ricognizione del dibattito sulla materia
appaiono centrali il conferimento dello studio individuale o associato e la
trasformazione dello studio associato.
6.1 Il conferimento dello studio professionale in
STP
Tramite il conferimento dello studio professionale
(77), il professionista ovvero i soci dell’associazione professionale
forniscono alla società i mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività
professionale, ricevendone in cambio quote di partecipazione.
Nella pratica, il ricorso all’istituto in esame può
realizzarsi per “trasformare” lo studio associato in STP ovvero per realizzare
un’aggregazione di studi professionali fino a quel momento distinti.
In proposito, l’art. 10 della L. 12 novembre 2011,
n. 183 – che, unitamente al D.M. 8 febbraio
2013, n. 34, detta la disciplina generale riguardante le STP – non contiene
prescrizioni specifiche con riferimento agli apporti e ai conferimenti dei soci
professionisti; saranno, pertanto, i soci a definire tali aspetti in sede di
costituzione, in relazione al tipo societario prescelto (così, ad esempio, se
la società è costituita sotto forma di s.r.l., i soci – oltre al denaro –
potranno conferire anche beni in natura e crediti secondo quanto previsto dagli
articoli 2464 ss. del c.c.).
Quanto ai profili fiscali, superando – almeno
apparentemente – la ricostruzione proposta con la ris.
9 luglio 2009, n. 177, l’Agenzia delle entrate (risposta
ad interpello 5 dicembre 2018, n. 125), ha ritenuto che – ai fini delle
imposte dirette – non possa trovare applicazione il regime fiscale di cui all’art. 176 del Tuir, ai sensi del
quale “i conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel
territorio dello Stato nell’esercizio di imprese commerciali non costituiscono
realizzo di plusvalenze o minusvalenze”.
Nel caso in parola non risulterebbe, infatti,
integrato il requisito soggettivo richiesto da tale disposizione, ciò in quanto
il professionista conferente non esercita (prima dell’operazione di conferimento)
alcuna impresa commerciale e determina, altresì, il proprio reddito imponibile
secondo regole diverse da quelle previste per gli imprenditori commerciali.
Pertanto, per il professionista conferente o per lo
studio associato, in quanto titolari di redditi di lavoro autonomo,
l’operazione di conferimento deve essere disciplinata in base al combinato
disposto degli artt. 9 e 54 del Tuir
(con riferimento alla trasformazione di cui si dirà in seguito, si veda anche
la ris. 12 dicembre 2018, n. 107).
A tal riguardo, occorre ricordare che, ai sensi
dell’art. 9 comma 5 del Tuir,
“le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche (…)
per i conferimenti in società”.
Ne consegue che tutte le ipotesi reddituali
disciplinate dall’art. 54 del Tuir
possono assumere rilievo ai fini in esame, fermo restando che, in assenza di un
corrispettivo, le valutazioni dovrebbero essere effettuate sulla base del
valore normale, intendendosi per tale il prezzo o corrispettivo mediamente
praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni
di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e
nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in
mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi (art. 9, comma 3, del Tuir).
Come si è accennato, la ricostruzione recentemente
proposta dall’Agenzia delle entrate sembra superare una pronuncia della stessa
Amministrazione finanziaria, la quale aveva ritenuto fiscalmente irrilevante il
conferimento della clientela (aspetto preponderante di uno studio
professionale) in un’associazione professionale. Secondo l’Agenzia, “l’apporto
della clientela in occasione dell’ingresso in uno studio associato, senza
corresponsione di compenso, configura un’operazione fiscalmente irrilevante in capo
ai singolo associati, indipendentemente dalla circostanza che tale apporto
rientri tra i parametri considerati per la fissazione delle quote di
partecipazione agli utili”.
Tale contrasto comporta una serie di problematiche
legate ai profili di legittimo affidamento dei contribuenti per quei soggetti
che, nell’intervallo tra i due citati documenti di prassi, abbiano effettuato
operazioni di riorganizzazione dello studio professionale in neutralità fiscale
in anni ancora accertabili, con il rischio di contenzioso con l’Agenzia delle
entrate. Sarebbe opportuno quindi che il legislatore intervenisse con una norma
di interpretazione autentica che, nel sancire la neutralità delle predette
operazioni, consentisse di superare il richiamato contrasto interpretativo.
Come già accennato, il CNDCEC, ormai da tempo, ha avanzato nelle competenti
sedi istituzionali una proposta di intervento normativo in tal senso.
6.1.1. Conferimento di beni strumentali
Ove si aderisse all’impostazione proposta
dall’Agenzia delle entrate nelle risoluzioni di fine 2018, nel caso di
conferimento di beni strumentali, dovrebbe trovare applicazione il disposto di
cui all’art. 54, comma 1-bis, lett.
a) del Tuir, secondo il quale concorrono alla formazione del reddito di
lavoro autonomo le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di
beni strumentali, calcolate sulla differenza positiva tra il valore normale del
bene e il costo non ammortizzato.
Con riferimento ai beni mobili strumentali,
assumerebbero quindi rilevanza le sole plusvalenze relative a beni acquisiti in
epoca successiva all’entrata in vigore del DL n.
223/2006, norma che ne ha previsto la rilevanza fiscale, cioè
successivamente al 4 luglio 2006 (ris. Agenzia
delle entrate 21 luglio 2008, n. 310).
Con riguardo invece ai beni immobili, rileverebbero
esclusivamente le plusvalenze relative ad immobili strumentali acquisiti nel
triennio 2007-2009 (risposta all’interrogazione parlamentare 21 febbraio 2007,
n. 5-00752).
Ai sensi dell’art. 54, comma 1-ter, del Tuir, si
considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, la
differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato. Non
concorrono invece alla formazione del reddito di lavoro autonomo le plusvalenze
derivanti dalle cessioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione (art. 54, comma 1-bis, del Tuir),
indipendentemente dal momento in cui è intervenuto l’acquisto (ciò in quanto il
costo d’acquisto o d’importazione di tali oggetti non è ammortizzabile ed è
ricondotto tra le spese di rappresentanza, seguendone la relativa disciplina,
cfr. circ. Agenzia delle entrate 4 agosto 2006, n.
28, § 38).
6.1.2. Conferimento di beni diversi da quelli
strumentali
Nella risoluzione n.
107/2018, l’Agenzia precisa che anche i “beni diversi da quelli
strumentali” conferiti concorrono alla formazione del reddito di lavoro
autonomo (78). Con la locuzione sopra richiamata, stante la sua genericità,
l’Agenzia sembrerebbe riferirsi, in prima battuta, alle fattispecie disciplinate
dall’art. 54, comma 1-quater, del
Tuir, norma che, giova ricordarlo, prevede l’assoggettamento ad imposizione
dei corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi
immateriali, comunque riferibili all’attività artistica o professionale. A ben
vedere, la norma in esame, diversamente da quanto previsto dall’art. 54, comma 1 bis, del Tuir per
i beni strumentali (79), non richiama la cessione a titolo oneroso, quanto
piuttosto “i corrispettivi percepiti a seguito di cessione”, circostanza questa
che potrebbe far supporre che la cessione degli elementi immateriali assume
rilievo solo quando questi sono monetizzati.
Deporrebbe a favore di tale ricostruzione la
concomitante introduzione ad opera del DL n.
223/2006 di una nuova ipotesi di tassazione separata ex art. 17, comma 1, lett. g-ter) del Tuir,
riferita ai corrispettivi di cui all’articolo
54, comma 1-quater, se percepiti in unica soluzione. Posto che concetti
come “unica soluzione” o, all’opposto, rateazione richiamano inevitabilmente i
corrispettivi in denaro, si dovrebbe concludere che il conferimento di
clientela, in assenza di tali corrispettivi, non dovrebbe determinare il
presupposto imponibile. Questa impostazione consentirebbe di delineare la
fattispecie con maggiore chiarezza, posto che – come si avrà modo di
evidenziare – la cessione di clientela non è una cessione in senso tecnico, ma
un insieme di obblighi negativi e positivi che rendono quanto mai problematica
l’applicazione della disciplina fiscale in assenza di un corrispettivo in
denaro.
L’Agenzia non sembra valorizzare tale differenza
terminologica (80), affermando ai fini in esame la centralità dell’art. 9 del Tuir, idoneo anche ad
individuare il valore normale dei beni e dei servizi conferiti, quale
corrispettivo del conferimento.
Resta il fatto che, per quanto evidenziato nel
prosieguo, appare difficile ricondurre la “cessione della clientela” nell’alveo
della cessione di beni, siano essi materiali o immateriali, motivo per cui a
tale specifica fattispecie non potrebbe applicarsi l’art. 9, comma 2, del Tuir.
Venendo all’ambito oggettivo del comma 1-quater, è
opinione condivisa che esso sia idoneo ad includere un’ampia gamma di elementi
intangibili, quali il know how, il marchio e anche la clientela.
Tali elementi, ove conferiti nella STP,
concorrerebbero a formare il reddito del soggetto conferente sulla base del
valore normale.
A differenza di quanto previsto per i beni
strumentali, relativamente ai quali la plusvalenza è rappresentata dalla
differenza tra valore normale del bene e costo non ammortizzato, nel caso di
specie, l’intero valore normale del bene sarebbe assoggettato ad imposizione.
D’altra parte, stante l’applicazione del criterio di
cassa, i relativi costi sono stati dedotti nel corso degli anni, senza poter
essere in alcun modo capitalizzati.
Detta impostazione trova conferma anche nella ris. 16 febbraio 2006, n. 30, con la quale
l’Amministrazione finanziaria ha precisato che le spese relative all’acquisto
di un marchio sono deducibili secondo il principio di cassa, nel periodo
d’imposta in cui lo stesso è stato sostenuto.
Fatte queste premesse, ove si aderisse
all’impostazione dell’Agenzia delle entrate, il profilo applicativo di maggiore
complessità risulta essere la determinazione del valore normale, il quale
risulterebbe riferito a risorse intangibili, che per loro intrinseche
caratteristiche di esclusività e unicità sono difficilmente confrontabili con
beni similari, spesso inesistenti (si pensi, ad esempio, al marchio che
basandosi sull’esclusività ed originalità non dispone di una generica
quotazione di mercato).
Al riguardo, la dottrina aziendalistica ha
individuato alcuni criteri per la valutazione dei beni immateriali che vanno
dai costi sostenuti per la realizzazione, all’attualizzazione delle royalties
presunte ed altri criteri ancora.
Tali metodologie possono venire in considerazione
anche nella fattispecie in esame, fermo restando che, soprattutto parlando di
studi di dimensioni medio piccole, possono risultare sovradimensionate e
comunque difficilmente applicabili.
Ancora più complesso risulta il quadro
interpretativo in relazione al conferimento di clientela, tema che non risulta affrontato
in modo espresso dall’Agenzia delle entrate nelle richiamate risoluzioni,
ancorché costituisca la fattispecie più ricorrente e problematica.
L’art.
54, comma 1-quater, del Tuir si limita a stabilire che concorrono alla
formazione del reddito di lavoro autonomo anche i proventi percepiti a fronte
del trasferimento a titolo oneroso della clientela professionale. Nel silenzio
del legislatore sull’ambito applicativo della norma, può soccorrere la giurisprudenza
di legittimità (cfr. Cass. 9 febbraio 2010, n.
2860), la quale ha avuto modo di affermare che la cessione della clientela
non può configurare una cessione in senso tecnico (attesi il carattere
personale e fiduciario del rapporto tra prestatore d’opera intellettuale e
cliente e la necessità, quindi, del conferimento di un nuovo incarico del
cliente al cessionario), ma un complessivo impegno del cedente volto a favorire
– attraverso l’assunzione di obblighi positivi di fare (mediante un’attività
promozionale di presentazione e canalizzazione) e negativi di non fare (quale
il divieto di riprendere ad esercitare la medesima attività nello stesso luogo)
– la prosecuzione del rapporto professionale tra i vecchi clienti ed il
soggetto subentrante.
Pertanto, un contratto di cessione della clientela
può considerarsi validamente stipulato nei casi in cui il professionista
cedente si sia impegnato a favorire la prosecuzione del rapporto professionale
tra i propri clienti ed il soggetto subentrante e abbia in concreto assunto
obblighi positivi di fare e negativi di non fare che possano essere
autonomamente valutati ai fini della determinazione del corrispettivo.
Alla luce di quanto sopra, ove il conferimento venga
utilizzato come strumento di trasformazione o aggregazione, i singoli
professionisti continuano nella loro attività proseguendo, in linea di massima,
nel rapporto con i medesimi clienti.
Anche con riferimento alle STP, infatti, permane il
carattere personale della prestazione professionale dei soci, la quale deve
essere svolta solo da soggetti iscritti ad albi.
In proposito, resta applicabile quanto previsto
dall’art. 2232 c.c., in base a cui “il
prestatore d’opera deve eseguire personalmente
l’incarico assunto”, nonché il principio di diritto affermato dalla Corte di
cassazione (cfr. ex multis Cass. 26 luglio 2017, n. 18393) secondo il quale “la
responsabilità nell’esecuzione di prestazioni per il cui svolgimento è
necessario il titolo di abilitazione professionale è rigorosamente personale
perché si fonda sul rapporto tra professionista e cliente, caratterizzato
dell’intuitus personae, e perciò, anche se il professionista è associato ad uno
studio, (…), non sussiste alcun vincolo di solidarietà con i professionisti
dello stesso studio né per l’adempimento della prestazione, né per la
responsabilità nell’esecuzione della medesima”.
Valorizzando la posizione della Corte di cassazione
in base alla quale la cessione di clientela si sostanzia in una serie di
obblighi di fare e non fare da parte del cedente, in assenza di queste attività
a favore di un terzo, occorre chiedersi se nella fattispecie in esame si possa
propriamente parlare di cessione.
Nel caso del conferimento in STP, infatti, il
professionista, continuando a seguire personalmente il cliente, non pone in
essere alcuna delle attività individuate dalla Corte di cassazione, facendo
venire meno il presupposto impositivo individuato dalla norma (81).
6.2 La trasformazione dello studio professionale in
STP
Secondo l’orientamento prevalente, è possibile
trasformare lo studio associato in società, tanto di capitali quanto di persone
(82).
Dal punto di vista fiscale, il trattamento
dell’operazione è stato analizzato dall’Agenzia delle entrate con la risposta ad interpello 12 dicembre 2018, n. 107.
Secondo il richiamato documento di prassi, la
disciplina fiscale applicabile alla trasformazione in parola dovrebbe
rinvenirsi nei principi dettati dall’art.
171, comma 2, del Tuir (relativo alle trasformazioni eterogenee) per le
operazioni che comportano l’ingresso o la fuoriuscita dei beni dal regime
d’impresa (83).
La trasformazione viene, quindi, assimilata sul
piano fiscale ad un conferimento di beni. Di conseguenza, poiché il
professionista conferente produce reddito di lavoro autonomo, l’operazione di
trasformazione dovrebbe essere disciplinata in base al combinato disposto degli
articoli 9 e 54 del Tuir (84).
Per quanto, invece, attiene ai profili IVA
l’operazione risulterebbe in ogni caso fuori campo IVA, ciò in quanto – per
espressa previsione normativa – i passaggi di beni e servizi dipendenti da
trasformazioni di società ed enti non assumono rilevanza ai fini dell’imposta
ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett.
f) e art. 3, comma 4, lett. d) del D.P.R. n. 633/1972.
L’Agenzia delle entrate, per quanto si sia allineata
a precedenti di prassi, non sembra tenere nella dovuta considerazione le
ricadute negative di tale ricostruzione sul processo di aggregazione degli
studi professionali, auspicato da più parti e alla base dell’intervento della L. n. 183/2011 in materia di STP.
Assoggettando ad imposizione un atto che non ha
natura realizzativa, infatti, si introduce un’anticipazione del prelievo
tributario che oltre, al descritto effetto disincentivante, appare criticabile
sotto il diverso profilo del principio della capacità contributiva.
In tale prospettiva, non si può ignorare che l’art. 171 del Tuir è stato
introdotto in un contesto nel quale non era possibile per lo stesso soggetto “passare”
dal reddito di lavoro autonomo al reddito d’impresa, mentre invece era
possibile per un ente non commerciale trasformarsi in ente commerciale (85).
Per certi aspetti, l’art. 171,
comma 2, del Tuir sembra assumere anche una funzione di garanzia,
assicurando che il plusvalore che si è formato in capo all’ente non commerciale
venga tassato secondo le regole applicabili durante il periodo di maturazione,
dal momento che, per effetto della trasformazione, si crea una discontinuità di
regole fiscali generalmente penalizzanti. Si pensi ad un immobile posseduto da
più di cinque anni che entrerebbe nel regime del reddito d’impresa al valore
normale senza essere assoggettato ad IRPEF.
D’altra parte, a conferma di quanto riportato e cioè
che la trasformazione è solo parzialmente realizzativa, la relazione al DLgs. n. 344/2003 ricorda che “la qualificazione
della trasformazione eterogenea come conferimento ha richiesto, altresì, di
ampliare le fattispecie imponibili dell’art. 67 includendovi una nuova lettera
n) che contempli le plusvalenze derivanti dall’apporto-conferimento di beni
(partecipazioni, immobili, terreni, ecc.) in sede di trasformazione eterogenea;
con l’avvertenza, beninteso, che la
tassazione potrà avvenire solo ove ricorrano le condizioni previste dalle
precedenti lettere dello stesso articolo 67”.
Con riferimento alla fattispecie in esame, l’Agenzia
avrebbe potuto proporre per un’interpretazione evolutiva e sistematica che
tenesse in adeguata considerazione l’intervento della L. n. 183/2011 e la circostanza che questa
trasformazione di categoria reddituale non può determinare erosione di base
imponibile, dal momento che il reddito d’impresa, anche dopo l’intervento del D.L. n. 223/2006, continua a prevedere regole più
stringenti rispetto a quelle del reddito di lavoro autonomo.
A prescindere da quanto sopra e dalla necessità di
un’interpretazione evolutiva, anche nell’attuale contesto normativo, la tesi
dell’Agenzia delle entrate non è esente da critiche.
Si è, in primo luogo, rilevato che l’art. 171, comma 2, facendo
riferimento alle trasformazioni, effettuate ai sensi dell’articolo 2500-octies del c.c., non contemplerebbe
l’ipotesi in parola in quanto dalla richiamata previsione civilistica sono
escluse le società semplici e le associazioni professionali (86). Inoltre, tale
previsione fiscale dovrebbe regolare il passaggio dei beni da una sfera
“privata” a una sfera economica, circostanza che non si realizzerebbe per la
trasformazione in STP, perché i beni sarebbero già immessi in un circuito
economico.
In aggiunta a quanto sopra, è stata sottolineata la
stretta correlazione tra il comma 2 dell’articolo 171 e la lettera n) dell’articolo 67 del Tuir, in base al
quale costituiscono redditi diversi «le plusvalenze realizzate a seguito di
trasformazione eterogenea di cui all’articolo
171, comma 2, ove ricorrono i presupposti di tassazione di cui alle lettere
precedenti».
Secondo una parte della dottrina, la trasformazione
eterogenea sarebbe fiscalmente imponibile solo se ricorrono le condizioni per
la realizzazione di un reddito diverso di cui all’articolo 67 Tuir e tale
circostanza non potrebbe verificarsi nel caso di trasformazione di uno studio
professionale in STP in quanto le regole dell’articolo 67 Tuir non potrebbero
essere applicate quando i redditi vengono conseguiti nell’esercizio di una
professione,
Pertanto, secondo la richiamata prospettiva, in
assenza di realizzo o di destinazione dei beni a finalità diversa rispetto a
quella originariamente attribuita dal contribuente, la trasformazione di uno
studio professionale non determinerebbe un presupposto impositivo.
Da ultimo, è bene sottolineare che anche per la
trasformazione vengono in rilievo tutte le riflessioni sviluppate nel
precedente paragrafo con riguardo all’applicazione dell’art. 54, comma 1-quater, del Tuir.
PARTE TERZA –
TRATTAMENTO PREVIDENZIALE
I Regolamenti di Cassa Nazionale di Assistenza e
Previdenza dei Dottori Commercialisti e Cassa Nazionale di Previdenza
Ragionieri prescindono dalla natura del reddito della STP (impresa/lavoro
autonomo) e dalle regole applicate per ottenerlo (regime di cassa/competenza),
prevedendo quanto segue.
Il Contributo Soggettivo, secondo le aliquote
previste dai rispettivi regolamenti, è dovuto dal singolo professionista sulla
quota di reddito prodotto dalla STP nell’anno precedente, quale risulta dalla
relativa dichiarazione fiscale, ed attribuita al socio in ragione della quota
di partecipazione agli utili. A tal fine si prescinde dalla qualificazione
fiscale del reddito e dalla destinazione che l’assemblea della STP abbia
eventualmente riservato a detti utili, non rilevando l’eventuale mancata
distribuzione ai soci.
Con riferimento al Contributo Integrativo (4%), la
STP deve applicare la maggiorazione su tutti i corrispettivi rientranti nel
volume d’affari IVA in proporzione alla quota di partecipazione agli utili dei
soci iscritti all’Albo. Il singolo dottore commercialista, socio della STP,
deve versare annualmente alla Cassa il contributo integrativo,
indipendentemente dall’effettiva riscossione, calcolato sulla parte del volume
d’affari IVA complessivo della STP corrispondente alla percentuale di
partecipazione agli utili spettanti al professionista stesso. Qualora nella STP
siano presenti anche soci non professionisti, la percentuale di partecipazione
agli utili deve essere riproporzionata escludendo dal calcolo la quota di
partecipazione dei soci non professionisti.
In merito alla “duplicazione” del contributo
integrativo, sul volume d’Affari dei soci che emettono fatture alla STP per
prestazioni da quest’ultima fatturate al cliente finale, l’Assemblea dei
Delegati di CNPADC ha recentemente deliberato una modifica regolamentare che
prevede la decurtazione, dall’ammontare complessivo del contributo integrativo
da versare, dell’importo del medesimo contributo riferito ai corrispettivi
emessi dal professionista alla STP di cui è socio. Analoga delibera è stata
adottata dal Comitato dei Delegati di CNPR.
Tali delibere sono tuttavia ancora al vaglio dei
Ministeri vigilanti, chiamati ad approvare il relativo contenuto, pertanto non
ancora applicabili.
Per quanto riguarda la distribuzione di dividendi, i
Regolamenti dei rispettivi Enti previdenziali, si ribadisce, espressamente
prescindono dalla destinazione che l’assemblea della STP abbia eventualmente
riservato a detti utili, e pertanto non rileva l’eventuale mancata percezione
da parte dei soci.
Con specifico riferimento ai compensi dei soci
professionisti amministratori delle STP, ove il socio/amministratore sia munito
di propria Partita IVA, vale quanto già riportato: i compensi di amministratore
vengono de plano attratti nel reddito professionale del singolo dottore
commercialista e il reddito della STP risulta decurtato per un pari importo,
mentre resta la “duplicazione” del contributo integrativo giacché l’attesa
approvazione ministeriale delle modifiche ai Regolamenti, ut supra, si
riferisce solo alle prestazioni rifatturate dalla STP al cliente finale.
Nel caso di soci/amministratori senza propria
Partita IVA, i compensi percepiti costituiscono redditi assimilati a quelli di
lavoro dipendente (art. 50 lett. c
bis TUIR).
CONCLUSIONI
Nel documento che qui si conclude sono stati
esaminati i molteplici aspetti della normativa vigente in punto di società tra
professionisti.
L’analisi ha messo in luce talune criticità, note al
sistema, e derivanti da una legislazione disattenta che non ha posto la dovuta
organica attenzione per incentivare lo sviluppo di questo strumento
potenzialmente idoneo all’aggregazione di risorse professionali, anche sotto
profili di competenze specifiche e settoriali.
Hanno quindi trovato spazio interpretazioni
ministeriali e governative, talvolta non in senso univoco, che hanno generato
le criticità evidenziate nel documento e disincentivato, nei fatti, il ricorso
massivo a questo strumento di esercizio dell’attività professionale. Queste
criticità sono state oggetto di ripetuti interventi del CNDCEC anche nel
recente documento depositato nel corso dell’audizione in commissione Finanze
alla Camera con l’auspicio che gli stessi vengano accolti in sede di
conversione dei numerosi decreti emergenziali emanati in questo periodo.
I mercati sono in evoluzione e con essi anche la
domanda di servizi secondo le tendenze e le necessità degli operatori, anche e
soprattutto nel futuro che discenderà a seguito della crisi collegata alla
pandemia da Covid – 19.
Sarà quindi una domanda, anche diversa dal passato,
per rispondere alla quale in un regime di alta competizione non solo nazionale,
la professione dovrà poter contare su strumenti operativi e dimensionali che le
consentano di competere ed espandersi con efficaci modalità quali-quantitative
che permettano adeguate marginalità creando altresì una prospettiva per
l’inquadramento nelle STP dei giovani neo abilitati portatori di risorse, anche
specialistiche, e quindi contributori alla realizzazione di una dimensione
corporate delle attività professionali.
In questa
lungimirante quanto realistica previsione di sviluppo, in un quadro che vede e
vedrà impegnato il governo nazionale in una sostanziale ricostruzione del
modello economico, l’auspicio sopra formulato si indentifica in una espressa
domanda al legislatore nazionale che verrà reiterata nelle competenti sedi per
il potenziamento ed il concreto sviluppo delle società tra professionisti.
—
Note:
(1) Come è noto, l’art.
1 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020 n. 40 ha riconosciuto anche
alle società tra professionisti e alle associazioni professionali la
possibilità di accedere alla garanzia concessa dalla SACE al fine di assicurare
la necessaria liquidità per far fronte alla situazione emergenziale causata
dalla Pandemia.
(2) L’art. 12, comma 3, della legge n. 81/2018 prevede che è
riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere
dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti
la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in
forma di reti miste, di cui all’articolo
3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5,
convertito, con modificazioni, dalla legge 9
aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia.
(3) In tal senso, Cassazione Civile, SS. UU., del 19 luglio 2018,
n. 19282.
(4) In termini, Cassazione Civile, SS. UU., del 19 luglio 2018,
n. 19282.
(5) P.O. n.
199/2019.
(6) L’art. 9, comma
3, del D.M. n. 34/2013 prevede che “Il consiglio dell’ordine o del collegio
professionale, verificata l’osservanza delle disposizioni contenute nel
presente regolamento, iscrive la società professionale nella sezione speciale di cui all’articolo 8, curando
l’indicazione, per ciascuna società, della ragione o denominazione sociale,
dell’oggetto professionale unico o prevalente, della sede legale, del
nominativo del legale rappresentante, dei nomi dei soci iscritti, nonché degli
eventuali soci iscritti presso albi o elenchi di altre professioni.
(7) Cfr. art. 2233 c.c.