Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 settembre 2020, n. 19846

Sanzioni disciplinari, Sospensione per tre giorni dal lavoro
e dalla retribuzione, Illegittimità, Presentazione di difese scritte e
richiesta di audizione orale nel rispetto del termine di cinque giorni,
Mancata ripresa dell’attività lavorativa successiva alla sospensione cautelare
disposta in sede di contestazione disciplinare relativa al primo addebito

 

Fatti di causa

 

1. G.B. ha adito il giudice del lavoro chiedendo
l’accertamento della illegittimità di due sanzioni disciplinari, costituite
ciascuna dalla sospensione per tre giorni dal lavoro e dalla retribuzione,
irrogategli dalla datrice di lavoro A.G. s.r.l., e la condanna di quest’ultima
a corrispondergli le somme illegittimamente trattenute a tale titolo nonché a
titolo di assenza ingiustificata.

2. Il giudice di primo grado ha accolto la domanda.

3. La Corte d’appello di Perugia, in parziale
riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato legittima la sanzione
applicata con provvedimento datoriale del 29.9.2010 e per l’effetto
rideterminato in € 345,49 l’importo della somma al pagamento della quale era
tenuta la società.

3.1. La conferma della illegittimità della prima
sanzione, irrogata con lettera del 16.9.2010, è stata fondata, in dichiarata
adesione all’orientamento di legittimità espresso dalla sentenza di questa Corte n. 5864/2010, sulla
considerazione che, avendo il lavoratore, dopo la presentazione di difese
scritte, formulato richiesta di audizione orale nel rispetto del termine di
cinque giorni di cui all’art. 7
legge n. 300 del 1970, il datore di lavoro, prima di applicare la sanzione
disciplinare, avrebbe dovuto dare corso a tale audizione.

3.2. La valutazione di legittimità della seconda
sanzione, che ascriveva al lavoratore la mancata ripresa dell’attività
lavorativa una volta venuta meno la sospensione cautelare disposta in sede di
contestazione disciplinare relativa al primo addebito, è stata fondata sulla
acquisita consapevolezza da parte del B. della revoca della sospensione
cautelare; tanto rendeva ingiustificata, sotto il profilo oggettivo e
soggettivo, l’assenza dal lavoro nei giorni contestati, assenza sanzionata con
il secondo provvedimento disciplinare.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso G.B. sulla base di tre motivi; A.G. s.r.l. ha resistito con tempestivo
controricorso e ricorso incidentale affidato ad unico motivo che ha illustrato
con memoria depositata in relazione alla adunanza camerale fissata in
precedenza presso la Sesta Sezione civile di questa Corte.

4.1. Entrambe le parti hanno depositato memoria in
relazione alla adunanza camerale fissata in data 11.7.2019.

4.2. Entrambe le parti, in relazione all’odierna
udienza, hanno depositato memoria ai sensi dell’art.
378 cod. proc. civ.

5. La causa proviene da rinvio a nuovo ruolo
disposto all’esito dell’adunanza camerale dell’ll luglio 2019 in ragione del
rilievo nomofilattico di alcune delle questioni da trattare.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso principale G.B.,
deducendo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4
cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censura la sentenza
impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato. Sul presupposto che la Corte di merito aveva affermato che la
revoca della sospensione cautelare era intervenuta con la comunicazione scritta
del 16 settembre 2010, allorquando la società datrice aveva contestato al
dipendente l’assenza ingiustificata dal lavoro, deduce che la legittimità della
seconda sanzione disciplinare era stata fondata su un presupposto fattuale e
giuridico mai prospettato dalle parti e sul quale non si era svolto
contraddittorio, avendo la società datrice dedotto che la sospensione cautelare
era stata revocata oralmente.

2. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.,
omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, censura
la decisione per avere omesso di verificare se aveva avuto luogo l’incontro del
lavoratore con il rappresentante della società datrice e il consulente del
lavoro e se nell’ambito di tale incontro si era concordato il rientro in
servizio del B. sin dal lunedì mattina seguente; la rilevanza di tale
circostanza scaturiva dal fatto che il lavoratore, nella missiva di
giustificazione relativa al primo addebito, aveva rappresentato in relazione
alla disposta sospensione cautelare che non si sarebbe recato al lavoro senza
comunicazione scritta della relativa revoca. Contesta, inoltre, che dal tenore
della seconda contestazione disciplinare fosse dato evincere la revoca del
provvedimento cautelare di sospensione. Sotto altro profilo assume
contraddittorietà e illogicità della motivazione in quanto, avendo il giudice
di appello affermato che il B. aveva acquisito consapevolezza dell’obbligo di
rientrare in servizio solo con la contestazione disciplinare del 16.9.2010,
occorreva considerare non quest’ultima data ma quella, necessariamente
successiva, di recezione della relativa raccomandata effettuata a mezzo del
servizio postale.

3. Con il terzo motivo di ricorso, deducendo ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1375 cod.
civ., censura la sentenza impugnata per non avere considerato che, in
conformità del criterio di buona fede nell’esecuzione del contratto, la revoca
della sospensione cautelare avrebbe dovuto essere comunicata per le vie
formali, con le stesse modalità con le quali era stata applicata tale misura.

4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale A.G.
s.r.l., deducendo ai sensi dell’art. 360, comma 1.
3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300 del 1970 e
omessa motivazione, censura la sentenza impugnata per avere ancorato la
valutazione di illegittimità della prima sanzione disciplinare alla mancata
audizione orale del lavoratore; sostiene, infatti, che in base alla disciplina
di riferimento tale richiesta, per poter impegnare la datrice di lavoro, doveva
essere effettuata contestualmente alla presentazione delle giustificazioni
scritte; la Corte di merito aveva, inoltre, errato omettendo ogni sindacato sul
carattere pretestuoso e dilatorio della richiesta di audizione a fronte della
completezza delle difese articolate dal lavoratore in sede di giustificazioni
scritte.

5. Il primo motivo di ricorso principale non è
formulato con modalità idonee alla valida censura della decisione di secondo
grado sotto il dedotto profilo del vizio di attività del giudice di merito.

L’assunto dell’odierno ricorrente in ordine
all’ampliamento di ufficio da parte della Corte di merito dell’originario thema
decidendum con specifico riferimento alla questione della modalità di revoca
della sospensione cautelare applicata con la prima contestazione disciplinare
non è sorretto dalla trascrizione o esposizione per riassunto degli esatti
termini con cui le parti avevano formulato a riguardo le loro allegazioni in
fatto e deduzioni in diritto nella fase di merito e, prima ancora, dalla
indicazione degli atti difensivi o del verbale di udienza dai quali tali
allegazioni e difese risultavano. In tal modo il ricorrente si è sottratto
all’onere dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all’art. 366, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la cui
inosservanza è sanzionata con l’inammissibilità del motivo.

5.1. Come chiarito dal giudice di legittimità,
infatti, tale requisito, funzionale alla completa e regolare instaurazione del
contraddittorio, nonché alla comprensione dei motivi di ricorso ed alla
verifica dell’ammissibilità, pertinenza e fondatezza delle censure proposte, è
soddisfatto laddove il contenuto del ricorso consenta di avere una chiara e
completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e
dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti,
sicché impone alla parte ricorrente, sempre che la sentenza gravata non impinga
proprio per questa ragione in un’apparenza di motivazione, di sopperire ad
eventuali manchevolezze della stessa decisione nell’individuare il fatto
sostanziale e soprattutto processuale (Cass. 12/03/2020 n. 7025; Cass. 24/04/2018
n. 10072; Cass. 02/08/2016 n. 16103; Cass. Sez. Un. 22/05/2014 n. 11308).

6. Il secondo motivo di ricorso è infondato.

6.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che, anche
volendo ammettere che il B. attendesse, per rientrare al lavoro, una
comunicazione datoriale scritta, questa era intervenuta il 16 settembre,
allorquando la società aveva contestato al dipendente l’assenza dal lavoro; se
non altro dalla ricezione di quella missiva il B. non poteva più avere dubbi
sul fatto che A.G. s.p.a. riteneva ingiustificata la sua assenza e pretendeva
il suo rientro al lavoro. D’altra parte, la comunicazione datoriale del 10
settembre 2010, che aveva disposto la sospensione cautelativa del B. dal
lavoro, precisava che la sospensione veniva disposta << …in attesa di Sue
giustificazioni>> e tali giustificazioni erano pervenute alla società
nello stesso giorno <<sicché il lavoratore non poteva, stando il tenore
della comunicazione ricevuta, fondatamente ritenere che la sospensione
perdurasse. In ogni caso, proprio la prosecuzione dell’assenza, pur dopo
l’acquisita certezza (16 settembre) della sua ingiustificatezza conferma che
anche in precedenza il lavoratore avesse la medesima consapevolezza. La mancata
ripresa dell’attività lavorativa nei giorni dal 14 al 21 settembre costituiva,
pertanto, anche soggettivamente, un inadempimento, sicché la sanzione applicata
dalla datrice di lavoro (atto del 29.9.2010) era legittima…>>
(sentenza, pag. 5). Da tanto si evince che il giudice di appello ha ritenuto
che il lavoratore, già dopo avere reso le proprie giustificazioni scritte (in
relazione all’addebito contestato il 10 settembre), era in grado di rendersi
conto, stante il tenore delle comunicazione datoriale di sospensione cautelare,
adottata << in attesa di Sue giustificazioni >>, dell’obbligo di
rientro al lavoro ( una volta rese tali giustificazioni scritte) e che ciò era
comprovato, anche sotto il profilo soggettivo della consapevolezza, dal fatto
che il mancato rientro al lavoro era perdurato pur dopo che, con la recezione
della contestazione di cui alla missiva del 16 settembre, il B. aveva acquisito
<<certezza>> che la società considerava come ingiustificata la
mancata ripresa dell’attività lavorativa.

6.2. Tale accertamento non è incrinato dalla
deduzione di vizio di motivazione formulata con il motivo in oggetto posto che
le circostanze delle quali si denunzia omesso esame, oltre a non essere evocate
nel rispetto delle indicazioni dell’art. 366 comma
1, n. 6 cod. proc. civ., come prescritto (Cass.
Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053), sono prive di decisività.

6.3. E’ noto che l’attuale configurazione del vizio
di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 cod.
proc. civ., esige la deduzione di omesso esame di un fatto decisivo, e cioè
di un fatto inteso nella sua accezione storico fenomenica, principale o
primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto
azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), evocato nel
rispetto degli oneri di allegazione e produzione posti a carico del ricorrente
ai sensi degli artt. 366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. ( Cass. Sez. Un. n. 8053/2014 cit.).

6.4. Nel caso di specie, la circostanza
dell’incontro del B. con il rappresentante datoriale e il consulente del
lavoro, oltre a non essere evocata, come detto, mediante la puntuale
indicazione delle risultanze probatorie dalla quale la stessa emergerebbe, è
priva di concreto rilievo in quanto la sentenza impugnata ha collocato in un
momento temporalmente anteriore al preteso incontro con il rappresentante
datoriale (e cioè al momento dell’invio delle giustificazioni del lavoratore)
l’epoca del venir meno della sospensione cautelare (con correlativa insorgenza
dell’obbligo di rientro da parte del B.) ed ha tratto dalla complessiva
condotta dello stesso la conferma della consapevolezza in tal senso maturata a
riguardo dal lavoratore; in questa prospettiva rimane irrilevante l’assenza di
formale comunicazione al lavoratore della revoca della sospensione cautelare
posto che la richiesta dell’adozione di tale modalità di comunicazione, per
come pacifico, costituiva frutto di determinazione unilaterale del B., inidonea
in quanto tale a impegnare la società datrice al relativo rispetto. Da tutto
quanto ora osservato discende la assenza di decisività dell’ulteriore
circostanza, del cui omesso esame ci si duole, rappresentata dal fatto che la
lettera di contestazione del 16 settembre non conteneva alcuna revoca del
provvedimento di sospensione cautelare; ciò in quanto alla stregua
dell’accertamento del giudice di merito la sospensione cautelare era all’epoca
già venuta meno ed il riferimento alla missiva del 16 settembre ed alla
condotta del lavoratore nei giorni immediatamente successivi sono utilizzati,
nel contesto argomentativo della decisione, solo in funzione confermativa della
sussistenza dell’elemento soggettivo della violazione ascritta anche in
relazione al periodo anteriore alla recezione della richiamata lettera di
contestazione.

6.5. Neppure sussiste la prospettata illogicità
della motivazione in quanto il giudice di appello ha considerato il protrarsi
delle assenze del lavoratore, anche dopo la <<certezza>>
dell’obbligo di rientro al lavoro da questi acquisita con la missiva del 16
settembre, quale elemento che dimostrava, in via presuntiva, anche per il
periodo precedente, la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito
contestato; tale accertamento si sottrae alle censure articolate non
presentando la inferenza tratta dal giudice di merito alcuna incongruità o
illogicità.

7. Il terzo motivo di ricorso principale è
inammissibile.

7.1. Premesso, infatti, che la sentenza impugnata
non ha in alcun modo affrontato la questione, implicante accertamento di fatto,
circa la verifica della conformità della condotta della società a correttezza e
buona fede con riferimento al profilo della modalità di revoca della
sospensione cautelare, costituiva onere dell’odierno ricorrente, onere in
concreto non assolto, dimostrare se ed in che termini tale questione era stata
sollevata nelle fasi di merito.

7.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte,
infatti, qualora una determinata questione giuridica – che implichi
accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza
impugnata, il ricorrente per cassazione che proponga la suddetta questione in
sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per
novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione
della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio
precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la
veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione
stessa giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel
thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede
di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi,
non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. 09/08/2018 n.
20694; Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass.
28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).

8. Il motivo di ricorso incidentale articolato dalla
società A.G. s.r.l. è infondato.

8.1. Com’è noto, l’art. 7, comma 2, legge n. 300 del
1970 vieta al datore di lavoro di applicare sanzioni disciplinari al
lavoratore senza una previa contestazione scritta e senza “averlo sentito
a sua difesa”; il successivo comma 5 precisa inoltre che il provvedimento
disciplinare più grave del rimprovero verbale non può intervenire “prima
che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto
che vi ha dato causa”.

8.2. La giurisprudenza di questa Corte si è
ripetutamente confrontata con il tema delle modalità di articolazione del
diritto di difesa del lavoratore in presenza di contestazione di addebito e su
come l’esercizio di tale diritto interferisca con il termine di cinque giorni
di cui al richiamato comma 5 in relazione alla possibile preclusione per la
parte datoriale all’adozione del provvedimento disciplinare.

8.3. Un più risalente indirizzo interpretativo
(consolidatosi a partire da Cass. 16/01/1992 n. 467, in motivazione, al quale
sono riconducibili, fra le altre, Cass. 20/01/1998, n. 476, Cass. 06/07/1999, n. 7006. Cass. 28/11/2001 n.
15072) ritiene rimessa al lavoratore la scelta dei modi e delle forme
attraverso le quali esercitare le proprie difese. Secondo tale orientamento,
ove il lavoratore, pur avendo presentato giustificazioni scritte, chieda
contestualmente di essere sentito anche oralmente a propria discolpa il datore
di lavoro è tenuto a dare luogo a tale audizione atteso che, come puntualizzato
da Cass. n. 7006/1999 cit., la tempestiva
presentazione di <<giustificazioni scritte>> non consuma
l’esercizio del diritto di difesa del lavoratore salvo che lo scritto non
contenga alcuna richiesta di audizione.

8.4. Alcune pronunzie successive, tuttavia, pur non
negando la possibilità di audizione orale del lavoratore che avendo presentato
giustificazioni scritte chieda di essere sentito oralmente, hanno ritenuto
l’accoglimento di tale istanza condizionato alla non esaustività e completezza
di tali giustificazioni e riconosciuto alla parte datoriale la possibilità di
un sindacato in tal senso. In particolare, secondo Cass. 23/03/2002 n. 4187, il
datore di lavoro è obbligato a dar seguito a tale richiesta solo allorquando la
stessa risponda ad effettive esigenze di difesa non altrimenti tutelabili e non
quando, invece, la richiesta appaia dettata da fini meramente dilatori o sia
stata avanzata in modo equivoco, generico o immotivato ovvero emerga, anche in
base alla condotta tenuta dal lavoratore, che la sua difesa si è già esercitata
esaustivamente attraverso giustificazioni scritte non suscettibili, per la loro
compiutezza, di essere completate o solo convalidate da nuove e significative
circostanze, spettando comunque al giudice di merito stabilire in concreto,
attraverso un compiuto esame dei fatti di causa e dei comportamenti delle parti
nonché in ragione dei principi di correttezza e buona fede, se nella singola
fattispecie si sia o meno verificata una concreta violazione del diritto di
difesa dell’incolpato. In tale ordine argomentativo si pone anche Cass. 23/02/2005 n. 488 secondo la quale l’obbligo
del datore di lavoro di dar seguito alla richiesta del lavoratore sussiste solo
ove la stessa risponda ad esigenze di difesa non altrimenti tutelabili, in
quanto non sia stata possibile la piena realizzazione della garanzia apprestata
dalla legge; conseguentemente, la presentazione di ulteriori difese dopo la
scadenza del tempo massimo deve essere consentita solo nell’ipotesi in cui
entro questo termine il lavoratore non sia stato in grado di presentare
compiutamente la propria confutazione dell’addebito e la valutazione di questo
presupposto va operata alla stregua dei principi di correttezza e buona fede
che devono regolare l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro.

8.4. Successivi arresti, ormai consolidati, hanno
determinato il superamento dell’indirizzo sopra richiamato escludendo che la
richiesta di audizione orale formulata dal lavoratore che aveva presentato
giustificazioni scritte potesse essere sindacata dalla parte datoriale sotto il
profillo della sua rispondenza ad effettive esigenze difensive.

E’ stato infatti escluso che il datore di lavoro che
intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente possa
omettere l’audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa ed
inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione – nel termine di
cui all’art. 7, quinto comma,
della legge 20 maggio 1970 n. 300 – di giustificazioni scritte, anche se
queste appaiano già di per sé ampie ed esaustive (Cass.
22/03/2010 n. 6845; Cass. 09/01/2017 n. 204).
In questa prospettiva è stato ancor più esplicitamente chiarito che le garanzie
apprestare dall’art. 7 della
legge n. 300 del 1970 per consentire all’incolpato di esporre le proprie
difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportano per il datore
di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l’audizione
orale, ma solo un obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere
sentito di persona, sicché le discolpe fornite dall’incolpato per iscritto
consumano il suo diritto di difesa solo quando dalla dichiarazione scritta
emerga la rinuncia ad essere sentito o quando la richiesta appaia, sulla base
delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità: al di fuori di tali
ipotesi, un sindacato del datore di lavoro in ordine all’effettiva idoneità
difensiva della richiesta di audizione orale non può ritenersi consentito
neppure alla stregua dell’obbligo delle parti di conformare la propria condotta
a buona fede e lealtà contrattuale, il quale può assumere rilievo ai fini della
valutazione in ordine all’ambiguità della richiesta, ma non consente di dare
ingresso ad una valutazione di compatibilità della facoltà di audizione
esercitata dal lavoratore incolpato alla luce delle difese già svolte e della
sua idoneità ad utilmente integrare queste ultime ( Cass.
11/03/2010 n. 6845; Cass. 14/06/2011 n.12978).

In base a tale condivisibile indirizzo, quindi, la
specifica garanzia dell’audizione orale, una volta che l’espressa richiesta sia
stata formulata dal lavoratore, costituisce indefettibile presupposto
procedurale che legittima l’adozione della sanzione disciplinare; ciò anche
nell’ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a
difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte; le quali,
per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione, sono
ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le
giustificazioni che il lavoratore stesso eventualmente aggiunga o precisi in
sede di audizione.

8.5. Tanto premesso è da osservare che il diritto
del lavoratore che ne faccia richiesta, pur in presenza di giustificazioni
scritte, di essere sentito oralmente dal datore di lavoro, è in astratto
destinato ad interferire con la previsione comma 5 dell’art. 7 legge n. 300 del 1970
secondo la quale il provvedimento disciplinare più grave del rimprovero verbale
non può intervenire “prima che siano trascorsi cinque giorni dalia
contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa”. A riguardo la
giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermazione che il termine
di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito, prima della cui scadenza è
preclusa, ai sensi dell’art. 7,
quinto comma, della legge n. 300 del 1970, la possibilità di irrogazione
della sanzione disciplinare, è funzionale soltanto ad esigenze di tutela
dell’incolpato, mentre deve escludersi, in difetto di qualsiasi dato testuale,
che la previsione di tale spazio temporale sia stata ispirata anche
dall’intento di consentire al datore di lavoro un’effettiva ponderazione in
ordine al provvedimento da adottare ed un possibile ripensamento. In base a
tale considerazione, a composizione di un contrasto insorto nell’ambito della
sezione lavoro, le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che il
provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della
scadenza del termine suddetto allorché il lavoratore abbia esercitato
pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro
le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di
ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive (Cass. Sez. Un. 07/05/2003 n. 6900, seguita, fra le
altre, da Cass. 17/06/2003 n. 9682, Cass. 14/02/2004 n. 9682; Cass. 09/02/2012 n. 1884).

8.6. Non si pone in contrasto con la giurisprudenza
ora evocata la recente pronunzia di questa Corte la quale, escluso che il
decorso del termine di cinque giorni dalla contestazione concesso al
lavoratore, per la esplicitazione delle proprie difese, determini la decadenza
dalla facoltà per il lavoratore di chiedere l’audizione a difesa, ha ritenuto
illegittima la sanzione disciplinare comminata ignorando la richiesta
presentata oltre detto termine ma prima dell’adozione del provvedimento
disciplinare (Cass. 12/11/2015 n. 23140). Ed,
infatti, l’indirizzo richiamato sub paragrafo 8.5. si limita a riconoscere al
datore di lavoro una mera facoltà di adottare il provvedimento disciplinare
anche prima del decorso dei cinque giorni, ove il lavoratore abbia già
formulato le proprie difese, senza che ciò implichi, sul piano logico prima che
giuridico, la configurazione di una decadenza a carico del lavoratore dalla
possibilità di ulteriore esercizio del diritto di difesa.

8.7. In sostanziale continuità con le indicazioni
rivenienti dai più recenti arresti del giudice di legittimità deve essere
decisa la fattispecie in esame connotata da un punto di vista fattuale,
rispetto alle questioni già scrutinate da questa Corte, dal non essere la
richiesta del lavoratore di audizione orale, comunque effettuata nel rispetto
del termine dei cinque giorni, stata formulata in sede di giustificazioni
scritte ma solo in epoca successiva alla relativa presentazione.

8.8. Ritiene, pertanto, il Collegio che in assenza
di elementi di segno contrario desumibili dal dato testuale dell’art. 7, legge n. 300 del 1970
cit. ed in particolare dai commi 2 e 5, la soluzione della res controversa deve
essere coerente con la specifica finalità di tutela alla quale è preordinata la
garanzia procedimentale; in ragione di tale finalità, al lavoratore deve essere
riconosciuta la possibilità di piena esplicazione del diritto di difesa e,
quindi, anche la possibilità, dopo avere presentato giustificazioni scritte
senza formulare alcuna richiesta di audizione orale, di maturare “un
ripensamento” circa la maggiore adeguatezza difensiva della
rappresentazione (anche) orale degli elementi di discolpa. Al datore di lavoro
è precluso ogni sindacato, anche sotto il profilo della conformità e
correttezza a buona fede, della condotta del dipendente con riferimento alla
necessità o opportunità della richiesta integrazione difensiva essendo la
relativa valutazione rimessa in via esclusiva al lavoratore.

Non vi sono ragioni per limitare l’ampiezza di
esplicazione del diritto di difesa, che il legislatore ha voluto preordinato
alla tutela di interessi fondamentali del lavoratore (specie ove si consideri
che l’esercizio del potere disciplinare può comportare anche l’adozione della
sanzione espulsiva), in assenza di un apprezzabile interesse contrario della
parte datoriale, la quale riceve comunque adeguata tutela dalla stringente
cadenza temporale che regola il procedimento disciplinare.

La sentenza impugnata, laddove ha ritenuto
illegittima la (prima) sanzione per mancata audizione orale del lavoratore,
risulta, pertanto, conforme a diritto.

9. La soccombenza reciproca giustifica ai sensi
dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. la
compensazione delle spese del giudizio.

10. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, previsto per il ricorso principale ed il ricorso incidentale norma del
comma 1 bis dello stesso art.13
(Cass. Sez. Un. 20/09/2019 n.23535).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e il ricorso
incidentale, compensa le spese di lite.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 settembre 2020, n. 19846
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