L’accertamento della proporzionalità del licenziamento in tronco va effettuato tenendo conto degli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta.
Nota ad App. Milano 23 giugno 2020, n. 459
Matteo Iorio
In materia di licenziamento disciplinare, la verifica della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto al fatto contestato è operata dal giudice di merito con riferimento alle circostanze del caso concreto al fine di verificare la reale gravità dell’addebito sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano (23 giugno 2020, n. 459, difforme da Trib. Milano n. 3000/2019), che ha ritenuto sproporzionato il recesso per giusta causa intimato ad un lavoratore, con mansioni di capocantiere (ccnl Edilizia Industria), per non aver vigilato sulla corretta esecuzione delle opere edilizie e per non aver riferito ai superiori gerarchici in ordine all’andamento dei lavori, omettendo, in particolare, di segnalarne i difetti e le difformità dai progetti, poi riscontrati dall’impresa committente.
Al riguardo, la Corte territoriale ha precisato che, ai fini della valutazione della proporzionalità del provvedimento espulsivo rispetto al fatto contestato, occorre tener conto degli specifici elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie concreta, quali l’oggettiva, limitata consistenza dei fatti contestati, l’assenza di dolo del prestatore e di precedenti disciplinari a suo carico nonché la mancanza di ricadute pregiudizievoli per la società datrice.
Per tali ragioni, secondo i giudici milanesi, il provvedimento espulsivo deve ritenersi sproporzionato rispetto alla gravità delle mancanze imputate al dipendente.
Tuttavia, nel caso di specie, sotto il profilo sanzionatorio, diversamente da quanto richiesto dal lavoratore, l’illegittimità del licenziamento non comporta l’applicazione della tutela reale c.d. debole (art. 18, co. 4, Stat. Lav.) per “insussistenza del fatto contestato”, dal momento che una parte degli addebiti contestati al capocantiere è risultata provata.
Allo stesso modo, deve escludersi la medesima tutela, in quanto la fattispecie in oggetto non “rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” (art. 18, co. 4, cit.), in quanto “il lavoratore non ha neanche indicato a quali fattispecie di illecito disciplinare punibili con sanzione conservative siano riconducibili le mancanze accertate, non ha richiamato le relative previsioni della contrattazione collettiva, né ha prodotto in atti le disposizioni del ccnl in materia di sanzioni disciplinari conservative”.
Pertanto, il regime sanzionatorio applicabile è quello previsto dall’art. 18, co. 5, Stat. Lav. (c.d. tutela indennitaria piena), venendo in rilievo una delle “altre ipotesi in cui … non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro”.
In particolare, la Corte milanese giunge a tali conclusioni aderendo all’orientamento della Cassazione secondo cui: «qualora vi sia sproporzione tra sanzione e infrazione, spetta la sola tutela risarcitoria ove la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa; in tal caso il difetto di proporzionalità ricade, difatti, tra le “altre ipotesi” di cui al novellato comma 5 della L. n. 300 del 1970, art. 18, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed è accordata la tutela indennitaria cd. forte» (Così, Cass. n. 13553/2019, che richiama, tra le tante, Cass. n. 26013/2018, annotata in questo sito da F. ALBINIANO, Ingiurie e licenziamento; Cass. n. 25534/2018 e Cass. n. 23669/2014).