Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 settembre 2020, n. 19979

Decreto ingiuntivo, Contributi e sanzioni relativi al
rapporto di lavoro dei giornalisti, Caratteristiche del lavoro subordinato
giornalistico, Messa a disposizione di energie lavorative per fornire con
continuità ai lettori un flusso di notizie in una specifica area
dell’informazione, Redazione sistematica di articoli o tenuta di rubriche,
Disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e
l’altra

 

Considerato in fatto

 

1.La Corte d’appello di Roma ha confermato la
sentenza del Tribunale di rigetto dell’opposizione proposta dalla soc S. Italia
srl avverso il decreto ingiuntivo emesso su istanza dell’INPGI per il pagamento
di contributi e sanzioni relativi al rapporto di lavoro dei giornalisti C.F. e
S.R. dall’ottobre 2002 al giugno 2003, ritenuto dall’Istituto di natura
subordinata .

La Corte ha affermato che la decisione del Tribunale
si era attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione
circa l’individuazione delle caratteristiche del lavoro subordinato
giornalistico. Ha rilevato, infatti, che la natura subordinata doveva essere
desunta, oltre che dalle pattuizione di un compenso fisso mensile, dalla
disponibilità di una postazione fissa e dalli utilizzazione strumenti messi a
disposizione da S., dall’affidamento e responsabilità di un particolare settore
informativo, dal rispetto delle direttive dei superiori gerarchici , dal
doversi coordinare con la direzione per la fruizione di ferie e permessi.

La Corte ha osservato , inoltre, che la società
aveva posto l’accento su circostanze non idonee a far escludere la natura
subordinata del rapporto.

2. Avverso la sentenza ricorre S. Italia con tre
motivi . Resiste l’INPGI. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc.

 

Ritenuto in diritto

 

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia
violazione degli artt. 1362, 2094, 2222, e seg
cc ; dell’art. 409 n 3 cpc, 1 e 2 CCNLG n 69
del 1963; degli artt. 115 e 116 cpc, dell’art 2697
cc con riferimento alla ritenuta sussistenza della subordinazione. Lamenta
che quanto affermato dalla Corte non trovava corrispondenza nel contenuto
effettivo delle dichiarazioni rese dai testi escussi , generiche ed inidonee a
fornire  elementi dirimenti ,né nei
contratti conclusi tra le parti ; violava le disposizioni normative e
collettive nonché i principi affermati dalla giurisprudenza.

4.Con il secondo motivo denuncia omessa ed
insufficiente esame delle risultanze istruttorie circa la natura subordinata o
meno delle prestazioni rese ovvero nullità della sentenza (art 360 n 4 e 5 ).

5.Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt 116, commi 8 e 20, L n 388/2000
e art 1189 cc . Afferma l’applicabilità di tale
normativa anche all’INPGI , salvo espressa eccettuazione . Afferma inoltre la
buona fede della società.

6. Il ricorso è infondato .

Circa i primi due motivi va rilevato che nella
sostanza la soc S. si duole che i giudici di appello abbiano affermato la
natura subordinata dell’attività svolta dai due giornalisti F. e R. .

Ciò tuttavia fa trascurando di considerare che così
si invoca una rivalutazione della ricostruzione fattuale operata dai giudici di
merito ai quali compete, anche attraverso il riferimento a materiali
istruttori, ricostruzione che è invece affidata al sovrano apprezzamento del
giudice di merito, in tal modo travalicando i limiti imposti ad ogni
accertamento di fatto dal novellato art. 360, co.
1, n. 5, c.p.c., come interpretato da Cass.
SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle
stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015,
oltre che dalle Sezioni semplici) di cui chi ricorre non tiene adeguato conto.

Come noto, nell’ambito delle controversie
qualificatorie in cui occorre stabilire se certe prestazioni lavorative siano
rese in regime di subordinazione oppure al di fuori del parametro normativo di
cui all’art. 2094 c.c., la valutazione delle
risultanze processuali che inducono il giudice del merito ad includere il
rapporto controverso nello schema contrattuale del lavoro subordinato o meno
costituisce accertamento di fatto censurabile in Cassazione, secondo un
pluridecennale insegnamento di questa Corte (tra molte, nel corso del tempo, v.
Cass. n. 1598 del 1971; Cass. n. 3011 del 1985; Cass. n. 6469 del 1993; Cass.
n. 2622 del 2004; Cass. n. 23455 del 2009; Cass. n. 9808 del 2011), solo per la
determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto,
mentre può essere sindacata nei limiti segnati dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c. tempo per tempo vigente, la scelta
degli elementi di fatto cui attribuire, da soli o in varia combinazione tra
loro, rilevanza qualificatoria (cfr., più di recente, Cass. n. 11646 del 2018 e
Cass. n. 13202 del 2019).

Invece la ricorrente, nei motivi in esame, prospetta
anche errores in iudicando, ma il vizio di violazione o falsa applicazione di
norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.
3 c.p.c., ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione
al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si
controverte (in caso positivo vedendosi in controversia sulla “lettura”
della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che
lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata
“male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente
comprensibile nella norma (Cass. n. 26307 del 2014; Cass. n. 22348 del 2007);
sicché il processo di sussunzione, nell’ambito del sindacato sulla violazione o
falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una
ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. che invece postula un
fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti, come è nel caso che ci
occupa.

7. In particolare risultano poi inappropriati i
richiami sia all’art. 2697 c.c. sia agli artt. 115 e 116 c.p.c.;
per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697
c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art.
360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia
attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse
onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla
differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece ove oggetto di
censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte
dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), come nella
specie laddove chi ricorre critica l’apprezzamento operato dai giudici del
merito circa l’esistenza della subordinazione, opponendo una diversa
valutazione che non può essere svolta in questa sede di legittimità; per
l’altro aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero
convincimento, posto a fondamento degli artt. 115
e 116 c.p.c., opera interamente sul piano
dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la
denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito
non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un
errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma
normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato
(tra le altre v. Cass. n. 23940 del 2017).

Così si è ribadito anche in controversie analoghe
(cfr. Cass. n. 4369 del 2017; Cass. n. 18018 del 2017; Cass. n. 26612 del 2019;
Cass. n. 26613 del 2019) che taluni rilievi,
pur formalmente ricondotti ad una pretesa violazione di legge, si sostanziano
in censure sulla congruità e logicità della motivazione, nonostante il
controllo sulla stessa non  rientri più
nel catalogo dei casi di impugnazione per cassazione a seguito della modifica
del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.; disposizione che
deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Com’è noto, a seguito della indicata modifica
legislativa che ha reso deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo della
motivazione è stato confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. il quale, a sua volta, ricorre
solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, c.p.c., configurabile solo nel
caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di
“motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 8053/14
cit.). Di talché, anche per questo verso, le censure mosse dalla ricorrente si
palesano inaccoglibili,  atteso che la
Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto
perplessa, le ragioni della decisione che deponessero nel senso della
sussistenza tra le parti di un vincolo di subordinazione.

Va, altresì rilevato che per la costante
giurisprudenza di questa Corte di legittimità, il carattere subordinato della
prestazione del giornalista presuppone la messa a disposizione delle energie
lavorative dello stesso per fornire con continuità ai lettori della testata un
flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, di
cui assume la responsabilità, attraverso la redazione sistematica di articoli o
con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa
giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa,
contando per il perseguimento degli obbiettivi editoriali sulla disponibilità
del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, ciò che
rende la sua prestazione organizzabile in modo strutturale dalla direzione
aziendale (cfr. fra le tante Cass. nn. 833 del
2001, 4797 del 2004, 11065 del 2014 e da
ultimo 8144 del 2017).

A tale parametro normativo si è attenuta la Corte
territoriale nello scrutinio delle risultanze istruttorie.

8. Con riferimento all’ultimo motivo vanno
richiamati i precedenti di questa Corte che ne escludono l’applicabilità Si è
affermato, infatti, che “In caso di omesso o ritardato pagamento di
contributi previdenziali all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti
Italiani (INPGI), privatizzato ai sensi del d.lgs.
n. 509 del 1994, la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 116 della I. n. 388 del 2000
non si applica automaticamente poiché l’Istituto, per assicurare l’equilibrio
del proprio bilancio, ha il potere di adottare autonome deliberazioni, soggette
ad approvazione ministeriale, fermo l’obbligo, a norma dell’art. 76 della I. n. 388 del 2000,
di coordinare l’esercizio di tale potere con le norme che regolano il regime
delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale
obbligatoria, sicché il nuovo regime sanzionatorio è inapplicabile alle
obbligazioni contributive riferite a periodi antecedenti al recepimento della
disciplina da parte dell’istituto.(cfr Cass. n
23051/2017, n. 838/2016, n. 12208/2011). Tale recepimento è avvenuto nel
2006.

9. Per le considerazioni che precedono il ricorso
deve essere rigettato con condanna della ricorrente a pagare le spese
processuali

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data
di proposizione del ricorso principale e del ricorso incidentale sussistono i
presupposti di cui all’art. 13 ,
comma 1 quater, dpr n 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare
le spese processuali liquidate in Euro 6.500,00 per compensi professionali ,
oltre 15% per spese generali ed accessori di legge nonché Euro 200,00 per
esborsi .

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis,
dello stesso art. 13 se dovuto.

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