Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 settembre 2020, n. 20161
Differenze retributive, Svolgimento del rapporto di lavoro
subordinato, Omessa pronunzia, Totale carenza di considerazione della domanda
e dell’eccezione, Mancata adozione di un qualsiasi provvedimento
Rilevato che
Il Tribunale di Ascoli Piceno, in parziale
accoglimento delle domande proposte da L.A. nei confronti di L.M., condannava
quest’ultimo al pagamento della somma di euro 22.269,22 a titolo di differenze
retributive connesse allo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato
intercorso fra le parti nel periodo 2002-2004.
Detta pronuncia veniva confermata dalla Corte
d’Appello di Ancona che perveniva alla reiezione del gravame proposto dal M.,
sul duplice rilievo della carenza di specificità dell’atto di appello e della
sua infondatezza.
Erano infatti rimasti incontestati alcuni dati
essenziali ai fini del decidere, quali lo svolgimento di attività lavorativa
non regolarizzata (dal 2001 al 2002), in relazione alla quale non era stata
allegata né provata “quantomeno l’entità della retribuzione effettivamente
corrisposta”; l’impossibilità di configurare in relazione al periodo
2002/2004, un rapporto qualificabile in termini di apprendistato;
l’impossibilità di “approfondire” la connessione del rapporto di
lavoro inter partes, con il contratto con il quale parte datoriale deduceva di
aver trasferito l’esercizio commerciale in cui l’attività veniva svolta,
connessione che avrebbe giustificato la misura della retribuzione corrisposta
alla lavoratrice.
Avverso tale decisione L.M. interpone ricorso per
cassazione sostenuto da sette motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Considerato che
1. Con il primo motivo si denuncia nullità della
sentenza per violazione dell’art.434 c.p.c. in
relazione all’art.360 comma primo n.4 c.p.c.
Si argomenta in ordine alla specificità del ricorso
in appello nel quale sarebbero state indicate tutte le modifiche alla
ricostruzione dei fatti elaborate dal giudice di primo grado, la violazione
commessa e la rilevanza ai fini della decisione. Ci si duole che la
declaratoria di inammissibilità dell’atto di gravame abbia privato l’appellante
di una valutazione nel merito della controversia.
2. Il motivo è privo di fondamento.
Ed invero, al di là di ogni considerazione in ordine
alla tecnica redazionale adottata per la formulazione del ricorso in appello ed
al rispetto dei requisiti di ammissibilità del ricorso previsti dal novellato art.434 c.p.c., s’impone l’evidenza della
infondatezza di detta prima doglianza, avendo la Corte di merito – diversamente
da quanto dedotto con la presente censura – in ogni caso, e con specifica
motivazione, respinto anche nel merito il ricorso in appello, affidando la
decisione anche ad una ratio decidendi che investe il merito del thema
decidendum, oggetto dei successivi motivi di censura formulati da parte
ricorrente, e la cui disamina si palesa dirimente ai fini della soluzione della
controversia.
3. Il secondo motivo prospetta nullità della
sentenza per violazione dell’art.112 c.p.c. in
relazione all’art.360 comma primo n.4 c.p.c.
Ci si duole della omessa pronuncia in ordine alla
sussistenza di un rapporto di apprendistato fra le parti, come emerso dalla
attività istruttoria espletata nel corso del giudizio di merito.
4. Con il terzo motivo è denunciato omesso esame
circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art.360 comma primo n.5 c.p.c., sempre con
riferimento alla questione della stipula di un contratto di apprendistato fra
le parti in relazione al periodo di lavoro 2002-2004. Si lamenta che la Corte
di merito non abbia tenuto conto delle prove testimoniali acquisite, non
esplicando il percorso logicomotivazionale seguito per pervenire alla conferma
dell’accoglimento della domanda attorea.
5. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi
per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono privi di
pregio.
Ed invero, è stato condivisibilmente affermato da
questa Corte il principio alla cui stregua “Dopo la riformulazione dell’art.360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.,
disposta dall’art. 54 del d.l. 22
giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7
agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella
totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta
all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un
qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di
rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario,
il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art.
360 cod. proc. civ. presuppone che un esame della questione oggetto di
doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso
sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure
che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto
materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel
“contrasto irriducibile tra affermazioni ;”’conciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa,
invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione (vedi ex plurimis, Cass. 8/10/2014 n. 21257).
Nello specifico, la struttura motivazionale che
innerva l’impugnata sentenza si sottrae ad entrambe le critiche, giacché
domande ed eccezioni formulate dalle parti sono state oggetto di specifica
pronunzia da parte dei giudici del gravame, i quali hanno ravvisato nella
obiettiva carenza di allegazione e di prova in ordine agli elementi costitutivi
del prospettato rapporto di apprendistato, così come della inconfigurabilità in
concreto di una connessione fra detto rapporto di lavoro e la cessione
d’azienda inter partes, le ragioni di reiezione delle eccezioni sollevate al
riguardo dalla parte datoriale.
In tal senso, pertanto, non solo non è configurabile
alcuna violazione dei dettami di cui al n.4 del comma primo art.360 c.p.c., ma neanche del successivo n.5,
giacché il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali
da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il
ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art.360, comma 1, n. 5, c.p.c. (vedi Cass.
10/6/2016 n. 11892, Cass. 26/9/2018 n.23153).
La ricostruzione del fatto operata dai giudici del
merito è infatti ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la
motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del
tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro
manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure
obiettivamente incomprensibili; mentre, secondo i condivisi dieta delle Sezioni
Unite di questa Corte (v. Cass. 7/4/2014 n.8053-8054)
non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario,
ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel
particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi
appena detti, così come verificatosi nella fattispecie in esame (vedi Cass. 11/12/2014
n.26097).
6. Con la quarta censura si denuncia nullità della
sentenza per violazione degli artt. 112, 324, 325, 329 c.p.c.in relazione all’art.360 comma primo n.4 c.p.c.
Si deduce che il giudice di prima istanza aveva
respinto le pretese azionate in relazione al rapporto di lavoro non
regolarizzato, relativo agli anni 2001-2002, e che la relativa statuizione non
era stata oggetto di censura da parte della lavoratrice. Sulla scorta di tali
premesse, si prospetta la violazione del giudicato interno da parte dei giudici
del gravame i quali, ciò nonostante, si sono comunque pronunziati sul punto,
argomentando in ordine alla non contestazione dello svolgimento della attività
di lavoro “in nero” da parte appellata.
7. La doglianza non è ammissibile.
Ed invero, secondo i principi affermati da questa
Corte, che vanno qui ribaditi, l’interesse all’impugnazione, manifestazione del
generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione
della domanda ed alla relativa contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. – va apprezzato in relazione
all’utilità concreta derivabile alla parte dall’accoglimento del gravame, e si
collega alla soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, mancando la
quale l’impugnazione è inammissibile, non potendo esaurirsi in un mero
interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica,
priva di riflessi pratici sulla decisione adottata (fra le tante: Cass.
10/11/2008 n. 26921 Cass. 25/6/2010, n. 15353 ed in motivazione, Cass.
20/7/2018 n.19435).
Orbene, nello specifico, in relazione alla
statuizione impugnata, non si profila alcuna situazione di soccombenza in capo
al M., non avendo la Corte territoriale comunque riformato la pronuncia del
giudice di prima istanza che detta pretesa azionata dalla lavoratrice, aveva
respinto.
8. Il quinto motivo attiene alla nullità della
sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in
relazione all’art.360 comma primo n.4 c.p.c.
Si denuncia “omessa pronuncia sulla domanda
formulata nell’atto di appello circa il conteggio delle differenze retributive
determinate dalla ctu a seguito dei chiarimenti resi all’udienza del
10/4/12”. Ci si duole che la Corte di merito non abbia statuito in ordine
alla rilevata erroneità della sentenza di primo grado per non aver tenuto conto
della decurtazione della somma di euro 4.960,32 erogata a titolo di
retribuzioni in favore della lavoratrice, accertata dal nominato ausiliare
all’esito dei chiarimenti resi in sede istruttoria.
9. Con la sesta critica si denuncia omesso esame
circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, ex art.360 comma primo 5 c.p.c., e ci si duole della
omessa disamina della questione attinente alle differenze retributive spettanti,
sollevata con il quinto motivo.
10. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi
siccome connessi, presentano profili di inammissibilità.
Ed invero, vanno richiamati i principi consolidati
nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di impugnazione per
cassazione, ed in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, la
parte che alleghi la mancata valutazione delle consulenze tecniche d’ufficio
espletate nei gradi di merito, ha l’onere di indicare compiutamente e, se del caso,
trascrivere nel ricorso, gli accertamenti e le risultanze peritali, al fine di
consentire alla Corte di valutare la congruità della motivazione della sentenza
impugnata (vedi ex aliis, Cass. 12/2/2014 n.3224).
I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di
inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c.,
nn. 3, 4 e 6, devono infatti essere assolti necessariamente con il ricorso e
non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il
controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica
mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla
base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della
cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale
fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e
trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del
principio di autosufficienza (cfr. Cass. 13/11/2018 n. 29093).
Nello specifico, entrambe le censure omettono di
riportare il tenore della CTU che si assume non sia stata rettamente
interpretata dai giudici del gravame, almeno nella parte di rilievo, onde non
si sottraggono ad un giudizio di inammissibilità per difetto di specificità.
11. Il settimo motivo prospetta nullità della
sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in
relazione all’art.360 comma primo n.4 c.p.c.
Si denuncia l’omessa pronuncia in ordine allo
specifico motivo di impugnazione concernente la statuizione inammissibilità
della domanda riconvenzionale proposta dall’odierno ricorrente in primo grado,
perché ritenuta tardiva dal Tribunale adito, vertendosi invece, in ipotesi di
mera eccezione riconvenzionale di compensazione atecnica, che non soggiace alle
preclusioni di cui all’art.416 c.p.c.
Si deduce al riguardo che “preliminare alla
possibilità di approfondimento del collegamento negoziale con la cessione
dell’esercizio commerciale, era la statuizione circa la ammissibilità della
eccezione di compensazione atecnica, sulla quale la Corte d’Appello di Ancona
non si è pronunciata”.
12. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
Ad integrare gli estremi del vizio di omessa
pronuncia non basta, infatti, la mancanza di un’espressa statuizione del
giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento
che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si
verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta
valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione,
dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata
col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con
l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (vedi Cass. 13/10/2017 n.
24155, Cass. 13/8/2018 n. 20718).
E, nello specifico, le condizioni enunciate dalla
ricordata giurisprudenza, sussistono, avendo i giudici del gravame argomentato
in ordine alla “impossibilità di approfondire il dedotto collegamento
negoziale con una cessione dell’esercizio commerciale, nell’assenza di
qualsiasi specifica deduzione in ordine a clausole contrattuali, e quindi nella
totale insussistenza della benché minima “traccia” che consenta di
risalire al contenuto del contratto complessivo, o dei contratti
collegati…”; tale statuizione atteggiandosi in termini di
incompatibilità logica rispetto alla eccezione di compensazione
“atecnica” che parte ricorrente assume di aver ritualmente sollevato
nel giudizio di primo grado.
In definitiva, al lume delle superiori
argomentazioni, il ricorso è respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza, liquidate come da dispositivo.
Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi del comma 1
quater art. 13 DPR 115/2002 –
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per
esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso articolo
13.