Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 settembre 2020, n. 20257

Licenziamento per superamento del periodo di comporto,
Possibilità per il dipendente di sostituire le assenze per malattia con il
godimento di un periodo feriale, Ipotesi di facoltà non “incondizionata”,
Potere del datore di lavoro di stabilire la collocazione temporale delle ferie

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 3 luglio 2018, la Corte
d’Appello di Catanzaro ha respinto il reclamo proposto da P.B. avverso
l’ordinanza con cui il Tribunale aveva disatteso l’opposizione da lui avanzata
nei confronti del provvedimento di rigetto del ricorso proposto avverso il
licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto dalla C.
S.p.A.;

– in particolare, a fronte della doglianza del
lavoratore, secondo cui il periodo di comporto non sarebbe stato superato ove
fossero state concesse le ferie, la Corte ha ritenuto che, in ordine alla
possibilità per il dipendente di sostituire le assenze per malattia con il
godimento di un periodo feriale, si versa in ipotesi di facoltà non
“incondizionata” ma che, invece, va bilanciata con il potere del
datore di lavoro di stabilire la collocazione temporale delle stesse ferie,
armonizzando, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ.,
le esigenze dell’impresa con gli interessi del lavoratore;

– avverso tale pronunzia propone ricorso P.B.,
affidandolo a due motivi;

– resiste, con controricorso, la C. S.p.A..

 

Considerato che

 

– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione
degli artt. 2109, 2110
cod. civ., nonché 36 CCNL commi 10,11,15 in relazione agli artt. 360 commi 3 e 5 cod. proc. civ. per non aver
i giudici di merito ritenuto prevalente l’interesse del lavoratore alla
prosecuzione del rapporto con trasformazione del periodo di malattia in ferie;

– con il secondo motivo si deduce la violazione
dell’art. 244 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360 commi 3 e 5 cod. proc. civ. per
non aver la Corte ammesso la prova articolata in sede di gravame diretta a
dimostrare di aver diligentemente richiesto non solo le ferie, ma il cumulo dei
giorni di assenza onde poter valutare ulteriori rimedi atti alla conservazione
del posto di lavoro;

– entrambi i motivi, che possono scrutinarsi insieme
per l’intima connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati;

– con riguardo, infatti, alle doglianze confluenti
nel comma 5 dell’art. 360 n.5, va rilevato che
in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma
1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 co 1, lett. b), del DL 22
giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione
alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che,
al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità
rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito
motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato
“in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi
in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza
della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale;
motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione
perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano
la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di
validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– nel caso di specie, sebbene parte ricorrente
lamenti in entrambi i casi una violazione di legge, in realtà le argomentazioni
da essa sostenute si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione
compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali
mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi
precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo
all’attenzione del giudice di legittimità la determinazione del superamento del
periodo di comporto il relazione al godimento delle ferie;

– orbene, attiene alla violazione di legge la
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando
necessariamente una attività interpretativa della stessa;

– nella specie, la stessa piana lettura delle
modalità di formulazione del motivo considerato ed il riferimento ad una
diversa valutazione circa l’ammissione dei mezzi istruttori, di spettanza
esclusiva del giudice di merito, induce ad escludere, ictu oculi, la deduzione
di una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della
fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad
ottenere una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda;

– va d’altra parte rilevato che in base all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., non sono
impugnabili per omesso esame di fatti storici le sentenze di secondo grado in
ipotesi di c.d. doppia conforme, ogni qualvolta, come nel caso di specie, nei
due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in
base alle “stesse ragioni”(cfr., ex plurimis, Cass. n. 29222 del 12
novembre 2019);

– per quanto concerne la dedotta violazione di
legge, va, invece, affermata la correttezza dell’iter argomentativo del giudice
di secondo grado il quale, da una parte, ha valorizzato l’esigenza di
armonizzazione fra le necessità dell’impresa e quelle del lavoratore,
escludendo, quindi, l’obbligo per la prima, tout court, di concedere le ferie
in sostituzione della malattia e, dall’altro, ha ritenuto del tutto generica la
prova articolata e, pertanto inammissibile;

– nel caso di specie, infatti, la Corte evidenzia
come il ricorrente non si sia peritato in alcun modo di spiegare per quale
motivo quando, diversi mesi prima, il suo superiore gerarchico lo aveva
invitato, così come gli altri suoi colleghi, ad indicare il periodo di
godimento delle ferie prescelto entro il termine del 15 febbraio, non avesse
ritenuto di optare per alcun periodo, né avesse spiegato per quali ragioni non
fossero state da lui rispettate le modalità formali per le richieste di ferie
adottate dall’organizzazione aziendale (consistenti nella compilazione del
modulo cartaceo con l’indicazione del complessivo periodo richiesto ed il
deposito entro il termine stabilito);

– è evidente che la richiesta di rivisitazione di
tale percorso argomentativo si tradurrebbe in un giudizio di fatto,
inammissibile in sede di legittimità, non essendo stata prospettata, peraltro,
da parte ricorrente, alcuna violazione dei principi di correttezza e buona fede
di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. in quanto incidenti sulla mancata
concessione delle ferie;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;

– non ricorrono i presupposti per la condanna per
lite temeraria ai sensi dell’art. 96 comma 3 cod.
proc. civ. non versandosi in ipotesi di ricorso basato su motivi
manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o
completamente privo dei requisiti di cui all’art.
366 cod. proc. civ.;

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dell’articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi euro 5250,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 -bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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