Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 settembre 2020, n. 26618
Reato dì lesioni colpose, Violazione delle norme
antinfortunistiche, Mancata previsione dei rischi connessi all’attività da
compiersi, Operazioni non prevedibili, non previste dal datore di lavoro e mai
analizzate dal responsabile per la sicurezza, Nozione di “prassi”, pur
sostanziandosi nella ripetizione di un comportamento, non necessariamente
dotata del carattere della quotidianeità
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza emessa
in data 8/10/2019, ha confermato la pronuncia del Tribunale di Busto Arstizio
con cui A.L., in qualità di Presidente del consiglio di amministrazione della
“A.T. S.p.A.”, ritenuto responsabile del reato dì lesioni colpose
commesse con violazione delle norme antinfortunistiche, segnatamente dell’art. 71, commi 2 e 3, d.lgs. n. 81
del 9 aprile 2008, è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia.
L’episodio per cui è processo, verificatosi il 25
agosto 2014, riguarda l’infortunio occorso a Z.L., alle dipendenze della
predetta società. Il lavoratore, mentre era intento ad estrarre una pedana
mobile dalla banchina dell’officina, nella fase di sollevamento della stessa,
era violentemente colpito al volto da una forca del carrello elevatore
manovrato da Z.G., riportando una frattura scomposta bilaterale della mandibola
che comportava una incapacità di attendere alle normali occupazioni per un
periodo superiore a quaranta giorni.
I giudici di merito ritenevano dimostrata la
responsabilità del ricorrente, datore di lavoro dell’infortunato, in relazione
alla mancata previsione dei rischi connessi all’attività da compiersi nella
fase di manutenzione delle pedane ed alla mancata attuazione di misure tecniche
organizzative idonee ad escludere tali rischi.
Nel corso della istruttoria si accertava, secondo la
ricostruzione offerta nelle due sentenze conformi, come te pedane fossero
sprovviste di sistemi di aggancio alle forche dei carrello elevatore. Era
quindi necessario, per il lavoratore, inserire uno spessore tra la pedana e la
banchina allo scopo di consentire l’operazione di sollevamento ad opera de!
manovratore del carrello, prodromica allo spostamento della pedana per il
trasporto in officina. Seguendo tale prassi rischiosa, la vittima, adagiata
sulle forche del carrello, aveva inserito un martello tra la banchina e la
pedana. Nel corso della operazione una delle forche perdeva la presa e,
oscillando, colpiva il lavoratore.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello di
Milano ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, per il tramite del suo
difensore, deducendo quanto segue (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Primo motivo: mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della sentenza. Omessa considerazione di plurime emergenze
processuali che contraddicono la tesi motiva seguita dai giudici di merito.
Illogica ricostruzione dell’occorso. Imprevedibilità delle scelte operate dal
lavoratore. Inosservanza dell’art. 546 cod. proc.
pen.
L’operazione di estrazione della pedana, si legge
nel ricorso, è stata erroneamente ritenuta dai giudici di merito come
un’attività di ordinaria manutenzione. In realtà, la manutenzione della pedana
doveva essere effettuata in loco e la decisione dello spostamento della stessa
fu conseguenza di una libera iniziativa intrapresa dal lavoratore. Il
dipendente si avvalse impropriamente del carrello elevatore destinato, secondo
l’organizzazione del lavoro stabilita nell’azienda, esclusivamente alla
movimentazione del materiale da caricare sui mezzi di trasporto. Lo spostamento
della pedana era quindi attività di carattere straordinario, non prevista nel
DVR perché estranea alle attività da compiersi ed il lavoratore avrebbe dovuto
rendere edotto il datore di lavoro prima di compiere tale operazione.
La Corte di appello sarebbe incorsa nel vizio di
travisamento della prova, affermando, in senso contrario alle emergenze
processuali, che si fosse instaurata la prassi rischiosa di spostare le pedane
per effettuare riparazioni e manutenzioni.
La sentenza sarebbe inoltre carente sotto il profilo
motivazionale: non si sarebbe offerta risposta ai rilievi della difesa e
sarebbero state ignorate le sue produzioni.
Secondo motivo: erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, cod. pen. e 41, comma 2, cod. pen.; insussistenza del reato
contestato; abnormità della condotta del lavoratore; interruzione del nesso
causale.
Diversamente da quanto affermato dai Giudici di
appello, il vaglio concreto e approfondito delle risultanze probatorie avrebbe
dovuto condurre alla esclusione della responsabilità del ricorrente, essendosi
interrotto il nesso causale tra condotta ed evento in ragione dell’abnormità
del comportamento serbato dal ricorrente.
L’estrazione della pedana e il trasporto in officina
per la riparazione non erano operazioni prevedibili, in quanto non contemplate
dal costruttore, non previste dal datore di lavoro e mai analizzate dal
responsabile per la sicurezza. Ove il dipendente si fosse attenuto alle
prescrizioni operative impartite dal datore di lavoro l’incidente non si
sarebbe verificato: l’infortunato, invero, avrebbe dovuto segnalare al datore
di lavoro la necessità dello spostamento della pedana per ricevere istruzioni
sulle corrette modalità operative. Il dipendente avrebbe quindi violato l’art. 20 d.lgs. n. 81/08 nel
quale sono elencati gli adempimenti a cui è tenuto. La scelta di agire
nonostante l’assenza di precise indicazioni datoriali costituirebbe
manifestazione di una libera iniziativa dell’infortunato, suscettibile di impedire
ogni forma di controllo del datore di lavoro il quale non può rispondere di
eventi riconducibili a fattori estranei ai prevedibili rischi.
Terzo motivo: erronea applicazione dell’art. 590 cod. pen. in relazione all’art. 71 d.lgs. n. 81/2008;
insussistenza del reato contestato; non configurabilità dei profili di colpa
descritti nella imputazione; assenza di responsabilità; insussistenza dei
profili oggettivi e soggettivi del reato contestato.
L’imputato, in qualità di datore di lavoro, non
avrebbe potuto prendere in considerazione l’operazione effettuata dalla persona
offesa perché essa non era contemplata tra le attività da compiersi. Si
trattava di una operazione ideata e posta in essere dal lavoratore di propria
iniziativa, con conseguente impossibilità, per il datore di lavoro, di
effettuare le valutazioni ex art.
71, comma 2, d.lgs. 81/2008. Analoghe considerazioni varrebbero in
relazione agli adempimenti di cui all’art. 71, comma 3, d.lgs. 81/2008,
non essendo possibile adottare idonee misure tecnico organizzative tese ad
elidere i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro in relazione ad
un’attività che non doveva essere posta in essere.
In sentenza sarebbero riscontrabili ulteriori
incongruenze con riferimento ai profilo della prevedibilità dell’evento, non
rapportata agli elementi conosciuti e conoscibili dal datore di lavoro al
momento del fatto.
Considerato in diritto
1. Le ragioni di doglianza sono infondate, pertanto
il ricorso deve essere rigettato.
2. In ordine al primo motivo di ricorso si osserva
quanto segue.
I giudici di merito hanno ritenuto che il lavoratore
infortunato avesse seguito una prassi rischiosa nello svolgimento del compito
di manutenzione di una pedana, rientrante tra le attività previste nell’azienda
di trasporti in cui era impiegato.
La difesa, pur non contestando le modalità di
accadimento del fatto, ha sostenuto che l’attività di spostamento della pedana
dalla sua sede fosse frutto di una iniziativa estemporanea del lavoratore, del
tutto estranea al processo lavorativo, che prevedeva invece la manutenzione in
loco delle pedane su cui erano collocate le merci da movimentare.
Secondo la prospettazione difensiva, l’erroneo
postulato dal quale hanno preso le mosse i giudici di merito, consistito
nell’avere considerato “prassi” l’attività di spostamento della pedana, sarebbe
frutto di una distorta interpretazione delle emergenze processuali e di un
travisamento della prova.
A sostegno della critica portata al ragionamento
spiegato in motivazione, si cita un passaggio delle dichiarazioni rese
dall’imputato (riportate a pagina 6 dell’atto di impugnazione), si menziona la
testimonianza resa da C.A., si pone l’accento sulla qualificazione adoperata in
sentenza dal Tribunale, che ha definito “sporadica” l’attività
intrapresa da! lavoratore.
L’assunto difensivo non può essere accolto. Il Tribunale
e la Corte di appello hanno offerto congrua motivazione in ordine alle ragioni
poste a fondamento della conforme decisione di condanna ed hanno illustrato in
modo puntuale gli elementi dai quali hanno desunto che, nell’ambito dei
processo lavorativo dell’azienda, si fosse instaurata l’erronea prassi del
sollevamento delle pedane mediante utilizzo di un carrello elevatore, attrezzo
inidoneo allo scopo per la mancanza di idonei Sistemi di aggancio.
A questo proposito i giudici hanno richiamato il
contenuto della testimonianza assunta dalla persona offesa e dal dipendente
Z.A., addetto al servizio manutenzione dell’azienda dall’anno 2003, il quale ha
precisato che gli interventi di poco conto sulle pedane venivano effettuati sul
posto e che, tuttavia, ove si rendesse necessario praticare delle saldature o
dei controlli più approfonditi, gli interventi si effettuavano presso
l’officina, dove le pedane erano trasportate a mezzo del carrello elevatore
(cfr. deposizione del teste Z. riportata alle pagine 6 e 7 della sentenza di
primo grado).
Non è ravvisabile in atti, alla stregua delle
argomentazioni proposte della difesa, il vizio del travisamento della prova.
Secondo consolidato orientamento di questa Corte, il
ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1, c.p.p. intenda far valere il
vizio di <<travisamento della prova>> deve, a pena di
inammissibilità: (a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale
fonda la doglianza; (b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio
che da tale atto emerge e che risulta asseritamene incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verità
dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocatom nonché dell’effettiva
esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali
probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (d) indicare le
ragioni per cui l’atto invocato asseritamene inficia e compromette, in modo
decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo
profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativi
del provvedimento impugnato (così Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035 –
01).
Ebbene, le argomentazioni poste a fondamento
dell’asserito travisamento della prova non sono idonee a disarticolare il
ragionamento probatorio declinato nella sentenza impugnata, essendo solo
apparentemente incompatibiii con la ricostruzione offerta dai Giudici di
merito, il fatto che il Tribunale abbia definito “sporadica”
l’operazione compiuta dal lavoratore non esclude concettualmente la nozione di
“prassi”, la quale, pur sostanziandosi nella ripetizione di un
comportamento, non necessariamente deve essere dotata del carattere della
quotidianeità. Al riguardo i Giudici di merito hanno posto in rilievo,
valorizzando la testimonianza particolarmente qualificata del dipendente
addetto al servizio manutenzione, come la modalità del sollevamento della
pedana mediante utilizzo del carrello elevatore trovasse applicazione
allorquando si presentava la necessità di spostare l’elemento per effettuare
riparazioni più complesse in officina.
Le dichiarazioni rese dall’imputato, nella parte
richiamata nel ricorso, non sono inconciliabili con le argomentazioni offerte
dai giudici di merito nelle due sentenze conformi. Il ricorrente ha
riconosciuto che l’operazione nel corso della quale si è verificato
l’infortunio del dipendente aveva carattere “straordinario” ed
“occasionale”.
Tali affermazioni rivelano la consapevolezza della
esistenza di problematiche inerenti alla fase di manutenzione delle pedane nel
processo lavorativo che non potevano essere ignorate nel DVR.
Come adeguatamente rappresentato dai Giudici di
merito, la fase della manutenzione delle pedane doveva essere disciplinata nel
documento di valutazione dei rischi, essendo preciso obbligo del datore di
lavoro, ai sensi dell’art. 28
d.lgs. n. 81 del 2008, prevedere e indicare in modo specifico i fattori di
pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda in relazione alle
singole lavorazioni da compiersi (ex multis Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016,
Rv. 267253-01: “In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha
l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità,
secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica,
tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda,
avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla
singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e
sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei
rischi previsto dall’art. 28 del
D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure
precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e
la sicurezza dei lavoratori”).
In relazione a tale obbligo è del tutto ininfluente
il carattere non quotidiano dell’attività di manutenzione delle pedane da
operarsi presse l’officina, essendo essa afferente ad un aspetto strutturale e
comunque permanente del processo lavorativo dell’azienda, come si ricava in
modo evidente dalle dichiarazioni rese dal teste Z.A.
Per altro verso, il fatto che il ricorrente abbia
affermato di non avere avuto conoscenza della modalità rischiosa con cui erano
sollevate le pedane non può costituire causa di esonero da responsabilità,
incombendo sul datore di lavoro il compito di vigilare, anche mediante la
nomina di un preposto, sulle modalità di svolgimento del lavoro in modo da
garantire la corretta osservanza delle disposizioni atte a prevenire infortuni
sul lavoro (cfr. in argomento Sez. 4, n. 10123 del 15/01/2020, Rv. 278608 – 01,
così massimata: «In tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di
lavoro deve vigilare per impedire l’instaurazione di prassi “contra
legem” foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in
caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia
omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa
instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione
delle norme antinfortunistiche»).
Inadeguato, ai fini della valida proposizione del
vizio del travisamento della prova, risulta il richiamo alla testimonianza di
C.A.. Il breve riferimento al passaggio nel quale il teste afferma che,
nell’arco di un decennio, non si era mai verificato un simile intervento,
estrapolato dal contesto della intera dichiarazione, non consente di saggiare
realmente la prospettata contraddizione (cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008,
Rv. 241023 – 01: «In forza della regola della “autosufficienza” del ricorso,
operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di
legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare
la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale
contenuto delle dichiarazioni rese da! testimone, non consentendo la citazione
di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto»).
Del tutto generica è infine la doglianza attinente
alla prospettata carenza motivazionale. La Corte di distrettuale ha offerto
compiuta risposta ai motivi di gravame formulati dall’interessato in sede di
appello e la lamentata omessa analisi dei rilievi difensivi non è suscettibile
di rivelare specifiche lacune motivazionali.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo di
ricorso.
Il comportamento imprudente del lavoratore non può
essere causa di esclusione della responsabilità del datore di lavoro ove., come
nel presente caso, questi non abbia adottato tutte le misure idonee a prevenire
i rischi collegati a
Il comportamento imprudente del lavoratore non può
essere causa di esclusione della responsabilità del datore di lavoro ove, come
nel presente caso, questi non abbia adottato tutte le misure idonee a prevenire
i rischi collegati a tali prevedibili comportamenti imprudenti (Sez. 1, n. 27871 del 20/03/2019, Rv. 276242 – 01:
“In tema di infortuni sul lavoro, perché possa ritenersi che il comportamento
negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione
delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un
“rischio eccentrico”, con esclusione della responsabilità del
garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che
sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento
imprudente, così che, solo in questo caso, l’evento verificatosi potrà essere
ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del
garante. (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto
esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità de! datore
di lavoro in quanto la mancata attuazione delle prescrizioni contenute nel Pos
e la mancata informazione del lavoratore avevano determinato l’assenza delle
cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti
assegnati al lavoratore infortunato)”].
Deve aggiungersi, conformemente a quanto
rappresentato dai giudici di merito, come l’attivazione di un rischio
eccentrico rispetto a quelli rientranti nella sfera di governo del datore di
lavoro non sia ipotizzabile in presenza di evidenti lacune e criticità del
sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro nelle fasi delle
lavorazioni. Ciò in quanto, secondo orientamento conforme della giurisprudenza
di questa Corte, le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul
lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che
possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed
evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli, (così,
ex multis Sez. 4, n. 10265 del 17/01/2017, Rv. 269255; Sez. 4 n, 22813 del
21/4/2015 Rv. 263497; Sez. 4, n. 38877 del 29/09/2005, Rv. 232421 ).
Risulta quindi evidente come non sia possibile
inquadrare nell’ambito di una condotta abnorme il comportamento serbato dal
lavoratore, non essendosi realizzato tale comportamento in un ambito avulso dal
procedimento lavorativo a cui era addetto e non potendosi sostenere che si
trattasse di una condotta assolutamente eccentrica rispetto alla sfera di
rischio governata dal ricorrente. La Corte distrettuale ha puntualmente
osservato che la mancata previsione nel DVR dei rischi connessi alla
manutenzione delle pedane – rientrante nelle fasi di lavorazione dell’azienda
ha fatto in modo che il lavoratore seguisse una prassi scorretta, tollerata e
non regolata dall’imputato.
Quanto alla possibilità che la persona offesa sia
incorsa nella violazione dell’art.
20 d.lgs. 81/08 e d’uopo rilevare come, in tema di infortuni sul lavoro,
l’eventuale colpa concorrente dei lavoratori non possa spiegare alcun effetto
esimente per i soggetti aventi l’obbligo di garantire la sicurezza, resisi
responsabili di violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica (così
Sez. 4, n. 10121 del 23/01/2007, Rv. 236109 – 01).
4. Nel terzo motivo di ricorso la difesa postula la
inesigibilità delle condotte specificamente contestate nella imputazione,
relative all’art. 71, comma 2 e
3, d.lgs. 81/08.
Anche tale rilievo deve essere ritenuto non
pertinente. Acclarata la necessità della previsione dei rischi esistenti in
relazione all’attività di manutenzione delle pedane e la doverosità
dell’adozione di una procedura idonea a scongiurare tali rischi, nei caso di
interventi che richiedevano lo spostamento delle pedane presso l’officina,
sarebbe stato preciso obbligo del datore di lavoro mettere a disposizione dei
dipendenti attrezzature adeguate in relazione ai rischi derivanti dal loro
impiego [in argomento si veda Sez. 3, n, 46784 del 10/11/2011, Rv. 251620 – 01:
«L’obbligo di “ridurre al minimo” il rischio di infortuni sui lavoro
(art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008,
n. 81) impone ai datore di lavoro di verificare e garantire la persistenza
nel tempo dei requisiti di sicurezza delle attrezzature dì lavoro messe a
disposizione dei propri dipendenti (art. 71, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81),
non essendo sufficiente, per ritenere adempiuto l’obbligo di legge, il
rilascio, da parte di un organismo certificatore munito di autorizzazione
ministeriale, della certificazione di rispondenza ai requisiti essenziali di
sicurezza»].
In ordine alla prevedibilità dell’evento, non può
fondatamente sostenersi che ii ricorrente non fosse in grado, sulla base degli
elementi conoscitivi in suo possesso, di stabilire la necessità di individuare
una procedura che mettesse al riparo il lavoratore da! rischio collegato allo
spostamento delle pedane. Come adeguatamente motivato dai giudici di merito,
l’attività di manutenzione era necessità di costante rilevanza: un’accorta
valutazione delle esigenze collegate alla fase lavorativa in questione avrebbe
imposto la introduzione di procedimenti sicuri per la rimozione della pedana.
L’evento imprevedibile, quale causa di esonero della
responsabilità del datore di lavoro in caso dì infortunio, ai sensi dell’art. 41, comma 2, cod. pen., secondo
giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve essere esorbitante rispetto al
procedimento lavorativo e, pertanto, collocarsi al di fuori di ogni aspettativa
di governo del rischio spettante al datore di lavoro (cfr. ex multis Sez. 4, n.
15124 del 13/12/2016, dep. 27/03/2017, Rv. 269603 – 01: “In tema di
prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa de! lavoratore possa
ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta
del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia
imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio
eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare
della posizione di garanzia”).
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.