Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20715

Tributi, IRAP, Avvocato, Omesso versamento di imposta
dichiarata, Ritrattazione della dichiarazione presentata, Assenza del
presupposto di autonoma organizzazione, Onere di prova a carico del
contribuente

 

Rilevato che

 

Emerge dalla sentenza impugnata che il contribuente
F.L., esercente la professione di avvocato, ha impugnato una cartella di
pagamento relativa al periodo di imposta dell’anno 2008 per omesso pagamento
IRAP, deducendo di esercitare la propria professione in uno studio privo di
struttura organizzata e allegando che, in concreto, le prestazioni svolte dai
professionisti associati non creassero valore aggiunto al proprio reddito
professionale.

La CTP di Palermo ha rigettato il ricorso e la CTR
della Sicilia, con sentenza in data 13 febbraio 2018, ha accolto l’appello del
contribuente.

Ha osservato il giudice di appello che, benché il
contribuente svolgesse la professione all’interno di una associazione di
avvocati esercenti l’attività di custodi – circostanza costituente indizio
dell’esistenza di una stabile organizzazione ai fini IRAP – il contribuente ha
dedotto di non avere svolto alcuna attività professionale all’interno dello
studio, circostanza in relazione alla quale l’Ufficio non ha fornito prova
contraria.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a
un unico motivo, articolato sotto due distinti profili; l’intimato non si è
costituito in giudizio.

La proposta del relatore è stata comunicata,
unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi
dell’articolo 380-bis cod. proc. civ.

 

Considerato che

 

1 – Con l’unico motivo si deduce sia violazione e
falsa applicazione degli artt. 2,
comma 1, d. Igs. 15 dicembre 1997, n. 446, 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,
2697 cod. civ. – nonché violazione dell’art. 36 d. Igs. 31 dicembre 1992,
n. 546 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4
cod. proc. civ. – sia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art.
360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ.

1.1 – Sotto il primo profilo, il ricorrente deduce
violazione delle regole di distribuzione dell’onere della prova, nella parte in
cui la sentenza impugnata ha ritenuto di imporre all’amministrazione finanziaria
l’onere di provare l’effettivo svolgimento di attività professionale
all’interno dei locali dell’Associazione professionale ove opera il
contribuente. Deduce l’Ufficio ricorrente che la cartella aveva ad oggetto
l’imposta dichiarata e non versata, sicché era onere del contribuente dare la
prova dell’assenza delle condizioni per l’applicazione dell’imposta, onere non
assolto per effetto della mera affermazione di non avere svolto alcuna attività
all’interno dei locali della suddetta associazione professionale.

1.2 – Sotto il secondo profilo, il ricorrente deduce
che sarebbe stato trascurato l’esame da parte del giudice di appello della
circostanza in fatto – evidenziata dallo stesso ricorrente sin dal ricorso di
primo grado (ricorso introduttivo allegato al ricorso per cassazione indicato
sub. n. 1) – di svolgere la professione forense all’interno dello studio
professionale unitamente al padre, circostanza che di per sé integrerebbe la
prova della sussistenza di una autonoma organizzazione.

2 – Il ricorso è fondato in relazione ad entrambi i
profili.

2.1 – Si premette che, pur non essendo stata
prodotta la cartella di pagamento oggetto di impugnazione, risulta accertato
dalla sentenza impugnata che il contribuente esercita la professione
all’interno di uno studio associato («dalla documentazione versata agli atti
emerge che il contribuente appellante esercita la propria professione di
avvocato nel medesimo immobile in cui si trova l’associazione di avvocati
esercenti l’attività di custodi»), circostanza in relazione alla quale il
contribuente ha contestato il presupposto impositivo in ragione della
insussistenza della stabile organizzazione («Il contribuente deduceva che la
propria attività professionale, benché esercitata in uno studio professionale,
risultava essere priva di struttura organizzata con modesto uso di beni
strumentali […] e che le prestazioni dei singoli associati non creavano
valore aggiunto al proprio reddito di avvocato»).

2.2 – Deve, quindi, ritenersi accertato dalla CTR
che l’IRAP è stata richiesta al contribuente sul presupposto che questi
svolgesse attività professionale all’interno di uno studio associato.

2.3 – Va, ulteriormente, rilevato, in relazione alla
dedotta violazione di legge relativa alle regole di distribuzione dell’onere
della prova, che nella specie non si verte in tema di richiesta del
contribuente di rimborso di IRAP versata in assenza di presupposti, bensì in
tema di impugnazione di cartella di pagamento emessa a seguito della
liquidazione dell’imposta dichiarata e non versata dal contribuente («cartella
[…] con la quale l’Amministrazione Finanziaria richiedeva […] ex art. 36 bis del d.P.R. 600 del 1973
la somma complessiva di euro 7.600,57 per omesso pagamento dell’imposta IRAP»).
Il recupero a tassazione dell’IRAP non versata consegue, pertanto, alla
presentazione di dichiarazione dei redditi con esposizione di debito IRAP di
cui è stato omesso il versamento.

2.4 – Nel qual caso, «in applicazione delle regole
generali sulla distribuzione dell’onere probatorio stabilite dall’art. 2697 cod. civ., spetta al contribuente che
ritratta la propria dichiarazione fornire la prova del fatto impedivo della
obbligazione tributaria (asserita mancanza della autonoma organizzazione)»
(Cass., Sez. V, 9 marzo 2018, n. 27127), determinandosi, altrimenti,
un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di
un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla
restituzione, e coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed
averne indicato l’ammontare in dichiarazione, ne omettono il versamento (Cass., Sez. V, 9 marzo 2018, n. 5728).

2.5 – Fatte tali premesse, deve ritenersi che la
sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi in materia
di distribuzione dell’onere della prova. A fronte della contestazione
dell’Ufficio di debenza di IRAP per il fatto che il contribuente svolgesse
l’attività professionale all’interno di uno studio associato, spetta„al
contribuente provare ai fini della insussistenza del presupposto impositivo
dell’IRAP che il luogo di svolgimento della propria attività professionale non
abbia alcun collegamento con la ivi presente associazione professionale,
laddove la sentenza impugnata ha erroneamente posto a carico dell’Ufficio
l’onere di provare la sussistenza della stabile organizzazione.

2.6 – Né può costituire assolvimento dell’onere
della prova la mera dichiarazione della parte di avere «dedotto di non avere
svolto alcuna attività all’interno di uno studio associato», asserzione (come
nota il controricorrente) «labialmente» affermata, senza accertamento in fatto
e senza indicazione di alcun supporto probatorio.

3 – Fondato è, altresì, l’ulteriore profilo
denunciato dal ricorrente, nella parte in cui la sentenza impugnata avrebbe
omesso di considerare la circostanza in fatto, secondo cui il ricorrente
svolgeva la professione in un luogo in cui operava professionalmente anche un
proprio congiunto (genitore), anche egli avvocato.

3.1 – Lo svolgimento dell’attività professionale in
forma collettiva fa, normalmente, conseguire agli aderenti vantaggi
organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta quali, ad esempio, le
sostituzioni in attività – materiali e professionali – da parte di colleghi di
studio, l’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni, la
possibilità di conferenze e colloqui professionali (Cass., Sez. V, 15 gennaio
2019, n. 766), con conseguente presunzione di sussistenza di autonoma
organizzazione, come rilevato in punto di diritto dalla stessa sentenza
impugnata.

3.2 – Ove, poi, vi sia prova del fatto che il
professionista si

avvalga della collaborazione di altro professionista
(specie ove sia coniuge o parente), sussiste di per sé il presupposto
dell’autonoma organizzazione, pur in assenza di un formale rapporto di
associazione professionale (Cass., Sez. VI, 18
gennaio 2018, n. 1089). Nel qual caso, non è l’Ufficio a dover provare la
sussistenza dei requisiti della stabile organizzazione, ma il contribuente a
dovere dare la prova contraria della insussistenza o del venir meno dei
requisiti di imponibilità IRAP.

4 – Va, pertanto, richiamato il principio di diritto,
enunciato dalle Sezioni Unite, secondo cui l’esercizio di professioni in forma
societaria costituisce ex lege presupposto dell’imposta regionale sulle
attività produttive, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di
un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio
dell’attività (Cass., Sez. U., 14 aprile 2016, n.
7371); nel qual caso spetta al contribuente provare l’insussistenza dello
svolgimento della professione in forma associata, ovvero l’insussistenza della
fruizione di benefici organizzativi recati dalla associazione professionale.

5 – La sentenza impugnata non ha fatto corretta
applicazione di tali principi. Il ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi la
sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione,
anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con
rinvio alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, anche per la
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20715
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