Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20911

Contratto a tempo determinato, Nullità del termine,
Violazione delle procedure di reclutamento, Conversione del rapporto a termine
in rapporto a tempo indeterminato, Esclusione

 

Rilevato

 

1. Il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato la
nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra la A.R.S.T. –
(…) SPA (anche A.R.S.T., di seguito) – e P.P. con decorrenza dal 27 novembre
2009 e scadenza al 10 giugno 2009, scadenza prorogata al 31 dicembre 2010;
aveva dichiarato la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo
indeterminato; aveva condannato l’Azienda al risarcimento in misura pari a tre
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

2. la Corte di Appello di Cagliari, adita dalla
A.R.S.T. in via principale e dal P. in via incidentale, in riforma della
sentenza impugnata, ha dichiarato l’illegittimità dei termini apposti ai
contratti dedotti in giudizio “senza possibilità di conversione del rapporto
di lavoro” ed ha condannato l’A.R.S.T. a pagare al P. il risarcimento del
danno nella misura corrispondente a quattro mensilità dell’ultima retribuzione
ed ha rigettato l’appello incidentale proposto dal P.;

3. la Corte territoriale ha condiviso la sentenza
impugnata quanto alla ritenuta illegittimità della clausola di durata ed ha
evidenziato che la stessa mancava della necessaria specificità;

4. il giudice di appello ha ritenuto che la
conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo in rapporto di lavoro a
tempo indeterminato era impedita perché il divieto di assunzione in assenza di
procedura concorsuale previsto dalla L.R. n. 16/1974 doveva ritenersi vigente
anche successivamente alla trasformazione dell’A.R.S.T. in società per azioni,
avvenuta il 2.8.2007 ai sensi della l.r. n. 11 del 2005; tanto sul rilievo che
tale divieto era stato recepito nello statuto della società e ha aggiunto che
il medesimo divieto, che trovava ragione nel fatto che I’ A.R.S.T. era una
società per azione a totale partecipazione pubblica quale società in house
della regione e soggetta a controlli di quest’ultima, era coerente con le
disposizioni della legislazione nazionale, che con il d.l. 25.6.2008 n. 112 aveva disposto che le
società in house, che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica,
adottano con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del
personale nel rispetto dei principi di cui all’art. 35 del d. Igs n. 165 del
2001;

5. la Corte territoriale ha condannato l’A.R.S.T. al
pagamento dell’indennità risarcitoria parametrandola a 4 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla durata del rapporto, ed ha
richiamato le disposizioni contenute nel d.lgs n. 23 del 2015 in tema di
licenziamento non sorretto da giustificato motivo oggettivo ritenendo questa
fattispecie equiparabile a quella del contratto con termine illegittimo di cui
non possa essere disposta conversione;

6. avverso questa sentenza P.P. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al
quale I’ A.R.S T. ha resistito con controricorso;

Considerato

Sintesi dei moti del ricorso

7. con il primo motivo è denunciata violazione e
falsa applicazione della L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16 e della L.R. 7
dicembre 2005 n. 21, violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., violazione della L. Cost. 28 febbraio 1948, n. 3, illegittimità
costituzionale della L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost.
e della L. Cost. 26 febbraio 1948 n. 3;

8. il ricorrente assume che la Corte territoriale ha
male interpretato la L.R. Sardegna n. 16 del 1974, che pur stabilendo, all’art.
23, che le assunzioni devono avvenire “esclusivamente mediante concorso
pubblico”, non prevede la nullità dei contratti stipulati senza previa
procedura concorsuale e sostiene che tanto esclude il carattere inderogabile
della disposizione alla quale dovrebbe essere attribuita natura meramente
programmatica; assume che la I. r. n. 16 del 1974 non è più in vigore;

9. aggiunge che una diversa interpretazione
determinerebbe l’illegittimità costituzionale di tale normativa per contrasto
con la L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 3, che
dispone che la potestà legislativa della regione deve svolgersi in armonia con
la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con
il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali e delle
norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica, e per contrasto
con l’art. 117 Cost., che prevede che
l’ordinamento civile è di competenza esclusiva dello Stato;

10. asserisce che la disciplina dei contratti a
termine e delle conseguenze del loro abuso è dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001 e dalla I. n. 368 del 2001, di derivazione comunitaria in
quanto applicativa della direttiva 70/99/CE;

11. sostiene che è privo di rilievo il riferimento
alla I. n. 133 del 2008, art. 2 bis, c.d.
patto di stabilità, perchè successiva ai fatti di causa e perché non prevede il
divieto di conversione dei contratti a termine;

12. con il secondo motivo il ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione della l.r. n. 16 del 1974 e della l.r. n. 21
del 2005, nonché conseguente violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata
abrogazione delle prime due norme ad opera del D.lgs.
n. 368 del 2001) nella parte in cui viene negata la conversione del
contratto dichiarato nullo nel termine in contratto a tempo indeterminato;
omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia costituito dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per
concorso;

13. il ricorrente sostiene che: nella fattispecie
dedotta in giudizio trova applicazione il d.lgs. n.
368 del 2001; quest’ultimo ha abrogato per incompatibilità la l.r. n. 16
del 1974, a sua volta abrogata dalla l.r. n. 21 del 2005; il d.lgs n. 368 del 2001 regola i rapporti di lavoro
a tempo determinato di tutti i dipendenti pubblici e privati e aggiunge che non
può trovare applicazione il d.lgs. n. 165 del 2001,
perché I’ A.R.S.T. anche al momento della stipula del contratto dedotto in
giudizio era una società per azioni e che pertanto trova applicazione il d.lgs. n. 368 del 2001;

14. con il terzo motivo è denunciata la violazione
del principio di effettività del risarcimento del danno conseguente falsa
applicazione della liquidazione equitativa, vizio di motivazione, conseguente
violazione degli artt. 1218, 1219, 1223, 1224, 1225 e 1226 cod.civ.;

15. il ricorrente imputa alla Corte territoriale di
avere violato principio del diritto comunitario di effettività “(avente
efficacia dissuasiva)” del risarcimento del danno;

16. assume che: l’art. 36 del d.lgs. n. 165 del
2001, ove pure non ritenuto abrogato per incompatibilità dal d. Igs. n. 368 del 2001, deve essere disapplicato
perché, in difformità rispetto ai principi di diritto comunitario ed alla
giurisprudenza della CGUE, non indica in misura concreta l’entità del
risarcimento del danno; l’indennità risarcitoria deve essere commisurata a
tutte le retribuzioni maturate dalla scadenza del contratto in applicazione
delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 368 del
2001;

17. imputa alla Corte territoriale di avere
liquidato il danno in via equitativa e forfettaria con mero richiamo, senza
alcuna altra specificazione, del d. Igs. n. 81 del
2015 e in violazione delle norme del codice civile richiamate nella
rubrica;

in via preliminare

18. va respinta l’eccezione di inammissibilità del
ricorso formulata dalla controricorrente in quanto i requisiti imposti dall’art. 366 cod.proc.civ., rispondono ad un’esigenza
che non è di mero formalismo, in quanto finalizzati a consentire al giudice di
legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si
colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e
la portata delle censure;

19. non è, quindi, necessario che la sentenza venga
trascritta nei suoi esatti termini, essendo sufficiente che il ricorrente
individui e sintetizzi le ragioni sulle quali poggia la decisione e li confuti
con argomenti specificamente riferibili al “decisum”, ragioni che il
ricorrente ha esplicitato nelle prospettazioni difensive sviluppate a sostegno
dei vizi addebitati alla sentenza impugnata;

20. a prescindere dai profili di infondatezza e di
inammissibilità di cui si dirà innanzi (cfr. “infra” punti da 49 a 51
di questa ordinanza), va rigettata anche l’eccezione di improcedibilità, ovvero
di inammissibilità, del ricorso formulata dalla controricorrente sul rilievo
della mancata impugnazione della sentenza nella parte in cui ha considerato
preclusiva alla conversione del rapporto la disposizione contenuta nell’art. 18 c. 2 bis del d.l. n. 112 del
2008 convertito con modificazioni nella I. n.
133 del 2008 e integrato dall’art.
19 della l.n. 102 del 2009;

21. il ricorrente con i primi due motivi di ricorso
ha negato proprio la ricostruzione della disciplina di fonte legale, statale e
regionale, ritenuta applicabile dalla Corte territoriale al rapporto dedotto in
giudizio, disciplina che compete alla Corte di Cassazione di individuare;

esame dei motivi

22. è utile premettere che la sentenza impugnata ha
accertato, e sul punto non è stata formulata alcuna censura, (cfr. sentenza
impugnata, pg. 4 1° capoverso), che il P. ha lavorato alle dipendenze della
odierna controricorrente in virtù di un contratto a tempo determinato avente
decorrenza il 27.11.2009 e scadenza al 30.6.2010, scadenza successivamente
prorogata al 31.12.2010;

23. le censure che attengono alla questione relativa
alla conversione dei rapporti a tempo determinato in rapporti a tempo
determinato stipulati dalla A.R.S.T. (primo e secondo motivo), da scrutinarsi
congiuntamente in ragione della connessione logica che le avvince, sono già
state affrontate da questa Corte – in numerose pronunce (Cass. n. 6818/2018;
Cass. n. 6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018; Cass. n. 5395/2018; Cass.
n. 4897/2018; Cass. n. 4358/2018; Cass. n. 3621/2018) relative a fattispecie nelle
quali, come nel caso in esame, veniva in rilievo la stipulazione di contratti a
tempo determinato stipulati con la A.R.S.T. nella vigenza dell’art. 18 del d.l. 25 giugno 2008 n.
112, conv. con modd. dalla I. 6 agosto 2008 n.
133, disposizione citata nella sentenza impugnata;

24. nelle sentenze innanzi richiamate è stato
affermato che:

25. il d.l.
n. 112 del 2008, art. 18, convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008, nel testo applicabile
“ratione temporis” risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 102 del 2009, di conversione del D.L. n. 78 del 2009, al comma 1 estende alle
società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi-pubblici locali
i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal d.lgs. n. 165 del 2001, art.
35, comma 3, ed al comma 2 prescrive alle “altre società a
partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con
propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per
il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, «anche di
derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”;

26. il comma 2 bis (introdotto dall’art. 19 c. 1 del d.l. 1 luglio 2009
n. 78, convertito, con modificazioni, dalla I.
3 agosto n. 102 del 2009 e non applicabile “ratione tempris” alla
vicenda in esame) prevede che “le disposizioni che stabiliscono, a carico
delle amministrazioni di cui al D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165,
art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle
assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per
l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica
locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di
servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a
soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale nè
commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica
amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica
inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come
individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1,
comma 5”;

27. il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma
la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina
dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001, ha inteso
estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle
amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perchè
l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare
secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento
dei compiti che quell’interesse perseguono-(C.d.S. – Sezione Consultiva per gli
atti normativi n. 2415/2010);

28. la norma recepisce i principi affermati dalla
Corte Costituzionale già a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il
Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica
dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli
pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche “connotati
sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera
della finanza pubblica”;

29. la giurisprudenza costituzionale distingue,
dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost.
nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene
comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale
il D.L. n. 112 del 2008, art. 18,
costituisce attuazione; tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte Cost. n. 68/2011);

30. in tema di società partecipate le Sezioni Unite
di questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra
giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno evidenziato che la
partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la
quale, quindi, resta assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento
privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o
ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura
pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della
persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass.
S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n.
7759/2017);

31. detta ricostruzione sistematica è stata fatta
recentemente propria dal legislatore che del D.lgs. n. 165 del 2016, art. 1,
comma 3 (Testo Unico delle società a partecipazione pubblica) ha previsto
che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente
decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle
società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto
privato”;

32. quanto ai rapporti di lavoro l’art. 19 richiama al comma 1
“le disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile,
delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle
in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa
vigente, e dai contratti collettivi” facendo, però, salve le diverse
disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui
rileva, art. 19, comma 2,
impone alle società a controllo pubblico di stabilire “criteri e modalità
per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di
derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi
di cui al D.lgs. 30 marzo
2001, n. 165, art. 35, comma 3” ed al comma 4 prevede espressamente la
nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle
procedure di cui al comma 2;

33. il legislatore del Testo Unico, quindi, pur
ribadendo la non assimilabilità delle società partecipate agli enti pubblici e
l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle
disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165 del 2001,
ha previsto significative deroghe alla disciplina generale, che trovano la loro
giustificazione nella natura del socio unico o maggioritario e negli interessi
collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo
strumento societario;

34. dai principi affermati dalla giurisprudenza
costituzionale e di legittimità nonché dell’evoluzione del quadro normativo non
si può prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla
violazione dell’ art. 18 d.l. n.
112 del 2008, norma richiamata nella sentenza impugnata, e sui riflessi
della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di
contratti di lavoro flessibile;

35. quanto al primo aspetto, premesso che non può
dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in commento, l’omesso
esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle
selettive richiamate nel comma 1 determini la nullità del contratto ai sensi
dell’art. 1418 c.c., comma 1, perchè la
violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi,
la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente
inadempiente;

36. le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n.
26724 del 2017), nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali,
hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della
“tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e
norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase
prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia. altrimenti
stabilito dalla legge, genera responsabilità…. ma non incide sulla genesi
dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la
nullità”;

37. hanno, però, precisato che le norme che incidono
sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla
struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in
assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o
soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del
contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare
autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione
di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona
la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili; se il
legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e,
nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in
contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità
dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle
dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto
medesimo”;

38. l’omesso esperimento delle procedure concorsuali
o selettive non genera solo responsabilità contabile a carico dei dirigenti
delle società partecipate, posto che l’individuazione del contraente con
modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore, si risolve nella
mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per
l’assunzione;

39. in merito al rapporto fra procedura concorsuale
del D.lgs. n. 165 del 2001 e contratto di
lavoro, si è osservato che “sussiste un inscindibile legame fra la
procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica,
poiché la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del
quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità
delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma
inderogabile dettata dal d.lgs.
n. 165 del 2001, art. 35, attuativo del principio costituzionale affermato
dall’art. 97, comma 4, della Carta
fondamentale” (Cass. n. 13884/2016).

40. va esclusa la portata innovativa del D.lgs. n. 175 del 2016, art. 19,
comma 4, che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti
stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita
una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità
virtuali in quanto sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti
dal d.l. n. 112 del 2008, art. 18,
la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicché la
nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina
previgente (sulla possibilità che la norma sopravvenuta, seppure non di
interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014 e Cass. n. 20327/2016).

41. Va affermato che per le società a partecipazione
pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive
condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il
principio richiamato innanzi secondo cui anche per i soggetti esclusi
dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, art.
36, la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o
regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del
contratto a termine affetto da nullità;

42. diversamente opinando si finirebbe per eludere
il divieto posto dalla norma imperativa che, come già evidenziato, tiene conto
della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita
dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati
dall’art. 97 Cost., ai soli soggetti
formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che,
utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di
carattere generale;

43. dette conclusioni non contrastano con quanto
affermato da Cass. n. 23702/2013 perchè in
quel caso veniva in rilievo un contratto a termine stipulato in epoca
antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 112
del 2008 e, quindi, in un contesto normativo diverso da quello che
disciplina il contratto dedotto in giudizio;

44. le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze
nn. 28330/2011 e 7759/2017, ribadita la inapplicabilità del d.lgs. n. 165 del 2001, hanno solo escluso la
giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure
concorsuali e selettive previste dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, commi
1 e 2, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui vengono in rilievo;

45. non v’è il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita illegittimità
costituzionale della normativa per violazione dell’art.
3 Cost.;

46. la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da
tempo chiarito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per
far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste
ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo
indeterminato, purché rispettino i principi di equivalenza e siano
sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme
adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva (v. da ult.
C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13,
Papalia; Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre
2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler);

47. la Corte Costituzionale, che ha evidenziato la
assimilabilità al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le società
partecipate, ha ‘escluso che una difformità di trattamento con l’impiego
privato, rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al d.lgs. n. 368 del 2001, possa dirsi ingiustificata
ove vengano in rilievo gli interessi tutelati dall’art.
97 Cost., ed in particolare le esigenze di imparzialità e di efficienza
dell’azione amministrativa (Corte Cost. nn. 89/2003),
esigenza che ad avviso della stessa Corte stanno alla base della disciplina
dettata dal richiamato del D.L.
n. 112 del 2008, art. 18 (Corte Cost. n.
68/2011);

48. il Collegio ritiene di dare continuità ai
principi affermati nelle sentenze richiamate nel punto n. 23 di questa
ordinanza condividendone tutte le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate
ex art. 118 disp. att. cod.proc.civ., atteso
che il ricorrente nel ricorso e nella memoria ex art.
380 bis cod.proc.civ. non apporta argomenti decisivi che impongano la
rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato, posto che
la sentenza di questa Corte n. 5063 del 2018, invocata dal ricorrente nella
memoria, costituisce un precedente isolato, superato dalle sentenze nn. Cass. n. 6818/2018; Cass. n.
6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018; Cass.
n. 5395/2018;

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20911
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