Giurisprudenza – CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI – Ordinanza 27 maggio 2020, n. 130

Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Prestazioni
economiche da inabilità permanente, Menomazioni preesistenti all’entrata in
vigore del decreto ministeriale previsto dal comma 3, dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 e
già indennizzate, Previsione che la valutazione del grado di menomazione
conseguente a un nuovo infortunio o a una nuova malattia professionale avviene
senza tenere conto delle preesistenze, Mantenimento dell’eventuale rendita
corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie professionali verificatisi o
denunciati prima dell’entrata in vigore del citato decreto ministeriale., Decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38
(Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, a norma dell’art. 55, comma 1, della legge 17
maggio 1999, n. 144), art. 13,
comma 6, secondo e terzo periodo.

 

Svolgimento del processo

 

Lo svolgimento viene riportato nei limiti di quanto
devoluto al Giudice di II grado ex art. 346 codice
di procedura civile e 56
decreto legislativo n. 546-1992.

Con ricorso al Tribunale di Cagliari in funzione di
giudice del lavoro, il ricorrente ha esposto di aver contratto la asbestosi polmonare
e di aver infruttuosamente agito in via amministrativa presso l’Istituto
convenuto onde ottenere il riconoscimento delle provvidenze di legge, poiché
era stato riconosciuto un danno del 4%.

Ha quindi chiesto accertarsi il suo diritto al
riconoscimento di un indennizzo correlato al danno biologico determinato dalla
predetta tecnopatia, ed ha fatto presente di essere già indennizzato in rendita
per BPCO ex testo unico 1124-1965 nella misura
del 85%.

Fissata l’udienza di discussione, l’Istituto
convenuto si è ritualmente costituito in giudizio contestando la fondatezza del
ricorso. In particolare ha confermato che il ricorrente era titolare di una
rendita costituita ai sensi del testo unico n.
1124/1965 in ragione del 85 % per broncopneumopatia di origine
professionale e che il danno conseguente alla asbestosi era valutato
congruamente, poiché il grave danno respiratorio era già indennizzato dalla
rendita per BPCO, costituita in regime di testo unico.

La causa, istruita con produzioni documentali e
consulenza tecnica d’ufficio è stata decisa con sentenza n. 590 del 7 aprile
2017, che ha riconosciuto al ricorrente:

«… la rendita di cui all’art. 13 lettera a) del decreto
legislativo n. 38/2000 per asbestosi pleurica e polmonare, associata a
cuore polmonare cronico, fibrillazione atriale cronica, e bronchite
asmatiforme, commiserata ad un danno biologico del 75% con decorrenza dalla
domanda amministrativa, detraendo dai singoli ratei quelli della rendita già in
godimento per la broncopneumopatia cronica.»

Il Tribunale ha deciso aderendo alle conclusioni del
CTU, che aveva anche rilevato come il danno da bronchite cronica asmatiforme
non potesse essere scisso dal danno da asbestosi e che, pertanto, gli stessi
non potessero essere scissi, sia sotto il profilo medico, che medico-legale.

A seguito di ciò, prendendo atto dell’esistenza di
una duplicazione della valutazione del danno, ha disposto la detrazione dai
ratei della nuova prestazione di quelli che venivano percepiti per la rendita
già in godimento, aderendo con ciò ad un orientamento di questa Corte d’appello
al riguardo.

Propone appello l’INAIL, prospettando un’errata
interpretazione della disposizione dell’art. 13, 6° comma decreto legislativo
n. 38-2000 e affermando che la valutazione autonoma dell’asbestosi,
rispetto alla precedente broncopneumopatia, comportava una duplicazione del
danno e che l’unico modo per evitare tale duplicazione era quello di fare
riferimento al concetto di «danno d’apparato» e ritenere indennizzabile solo un
«maggior danno» riconducibile alla nuova tecnopatia.

Si costituisce in giudizio originariamente
l’appellato, ed oggi l’erede M. A. contestando le affermazioni e sostenendo che
l’interpretazione da dare all’art.
13, 6° comma di cui sopra fosse quella che la nuova malattia (asbestosi)
andasse valutata senza tener conto delle preesistenze, secondo la lettera della
legge e quanto già affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 6048-2018.

Propone perciò appello incidentale, chiedendo la
riforma della sentenza nella parte in cui disponeva la detrazione, a livello di
importo economico, dei ratei della precedente prestazione da quelli della
nuova, sostenendo perciò che spettassero entrambi per intero.

Resiste l’INAIL ribadendo la propria posizione.

La controversia è stata istruita con produzioni
documentali e chiarimenti richiesti al CTU del primo grado. Il procedimento è
proseguito con trattazione scritta ex art. 83, comma VII, lettera h)
decreto-legge n. 18/2020, convertito in legge
n. 27/2020, ed all’udienza del 20 maggio 2020, è stata riservata la
decisione, dopo la precisazione delle seguenti

 

Conclusioni

 

Per l’appellante, appellato incidentale:

1. In riforma della sentenza impugnata, dichiarare
che P. G. è affetto da asbestosi polmonare valutabile nella misura del 7% e
condannare l’INAIL alla liquidazione dell’indennizzo del danno biologico nella
misura corrispondente.

2. Spese secondo legge per i due gradi di giudizio.

Per l’appellato, appellante incidentale:

1. Respinga l’appello interposto dall’INAIL.

2. Condanni l’INAIL al pagamento delle spese legali
del presente giudizio disponendone la distrazione a favore dei difensori
anticipatari.

3. In accoglimento dell’appello indicentale, in parziale
riforma dell’appellata sentenza:

4. dichiari tenuto l’INAIL a liquidare l’indennizzo
in rendita per asbestosi e malattie associate cardiocircolatorie nella misura
del 75%, riconosciuta nel vigore del nuovo regime, a favore del sig. P. G. in
aggiunta alla rendita già in godimento per broncopneumopatia ex testo unico,
con decorrenza dalla data della domanda amministrativa, e per l’effetto lo
condanni al pagamento, a favore degli eredi dei ratei maturati e scaduti, fino
alla data del decesso, maggiorati degli interessi legali e rivalutazione
monetaria nei limiti di legge.

5. 4) Confermi nell’altro l’impugnata sentenza.

6. 5) Ai sensi dell’art.
152 disposizioni di attuazione del codice di procedura civile si dichiara
che il reddito imponibile dell’appellato, ai fini dell’imposta personale sul
reddito risultante dall’ultima dichiarazione, non è superiore a euro 22.987,64
come da dichiarazione sostitutiva di certificazione agli atti e, pertanto, in
caso di reiezione della domanda si chiede che le spese Respingere l’appello
proposto dall’INAIL

 

Motivi della decisione

 

Ricostruzione in fatto:

A seguito della richiesta di chiarimenti formulata
da questa Corte il consulente tecnico in primo grado ha ribadito e precisato:

«Il giorno 19 giugno 2019 io sottoscritto prof. M.
P. sono stato convocato dall’Ill.mo Presidente della Corte d’appello di
Cagliari, Sezione del lavoro, dott. Alfonso Nurcis, che mi ha conferito il
seguente incarico: il C.T.U. fornisca chiarimenti in relazione alla consulenza,
precisando:

1. – la data di verosimile insorgenza
dell’asbestosi;

2. – se la bronco pneumopatia per cui l’appellato è
indennizzato INAIL sia stata correttamente diagnosticata o se si trattasse sin
dall’origine dell’asbestosi;

3. – se tutti i danni valutati con riguardo alla
bronco pneumopatia siano stati valutati anche per l’asbestosi, con totale
duplicazione della valutazione…

 …

1) Data di verosimile insorgenza dell’asbestosi.

… Per rispondere al quesito posto dall’Ecc.ma Corte,
sulla scorta delle considerazioni e dei riscontri obiettivi disponibili, si può
prospettare che la data di insorgenza dell’asbestosi sia collocabile in un
periodo di qualche anno (l-5 anni) prima dell’anno 2010. Tale evenienza sarebbe
in linea con i dati anamnestici sulla durata dell’esposizione al rischio
“amianto” – che daterebbe dal 1964, e che si protrasse sino ai primi
anni ’90 – e le conoscenze scientifiche circa il tempo di latenza tra
esposizione al rischio e insorgenza della malattia.

2) Se la bronco pneumopatia per cui l’appellato è
indennizzato dall’INAIL, sia stata correttamente diagnosticata o se si
trattasse sin dall’origine di asbestosi.

La “bronco pneumopatia professionale” –
per la quale il signor P. è indennizzato INAIL in regime di testo unico, era
stata definita sin dal 1987 dallo stesso istituto assicuratore quale
“bronchite cronica asmatiforme da inalazione di gas e vapori
irritanti”, derivante dall’esercizio della professione di saldatore
industriale che il signor P. G. praticò ininterrottamente dal 1963 al 2001. Si
trattava, quindi, di una patologia professionale insorta in operario
specializzato saldatore industriale, molto ben qualificata sotto tutti profili:
anamnestico-lavorativo, clinico, funzionale e radiologico toracico. Tale
diagnosi doveva e deve ancor oggi essere confermata con criterio di certezza.
In conclusione devesi, sempre con criterio di certezza, escludere che la
diagnosi di broncopneumopatia professionale possa essere stata scambiata, nel
passato, per una asbestosi solo successivamente diagnosticata. Infatti, oltre
alla certezza che il signor P. fosse affetto da “bronchite cronica
asmatiforme da inalazione di gas e vapori irritanti” sin dal 1987,
possiamo, con criterio di tutta verosimiglianza ritenere, per i motivi
estesamente esposti nel capitolo precedente, che l’asbestosi sia insorta in
epoca ben più recente rispetto a quel lontano 1987: non prima, come si è già
chiarito, del 2005.

3) Se tutti i danni valutati con riguardo alla
bronco pneumopatia siano stati valutati anche per l’asbestosi, con totale
duplicazione della valutazione.

Nell’anteriore relazione di CTU, a proposito del
terzo quesito proposto dall’Ecc.ma Corte, così mi ero espresso: Sulla scorta di
quanto sopra riferito appare del tutto logico confermare la diagnosi di
asbestosi, che, però, a differenza di quanto sostenuto dall’INAIL, non può
essere definita semplicemente come “asbestosi pleurica”, ma deve più
correttamente essere classificata come asbestosi pleurica e polmonare.

Infatti, la sola dimostrabilità di un corpuscolo di
asbesto nell’espettorato sta significare, senza possibilità di diversa
interpretazione, che le fibre di amianto inalate dal P., in tanti anni di
lavoro rischioso, si sono accumulate all’interno del tessuto polmonare e tuttora
producono le reazioni tipiche di difesa d’organo, rappresentate dalla attività
di contrasto immunitario svolte dai macrofagi bronchiolo-alveolari, che
producono i classici corpuscoli di asbesto.

Peraltro, minimizzare il quadro asbestosico alle
sole placche pleuriche, come se i polmoni fossero indenni da ogni insulto
esogeno da parte dell’amianto, non ha senso, in quanto le fibre di amianto, per
poter produrre le placche pleuriche non possono che attraversare bronchioli ed
alveoli nei quali non è immaginabile che non rimanga alcuna traccia di danno
anatomico. Il coinvolgimento del parenchima polmonare è anche dimostrato dalla
esistenza di un deficit ventilatorio di tipo prevalentemente
“restrittivo” (FVC 59%, FEV1 49%, TLC 76%) con consensuale riduzione
del transfert del CO (DLCO 46%).

Circa il danno biologico, cosi proseguivo nella mia
anteriore relazione: Dovendo procedere alla valutazione del danno biologico
derivante dalla asbestosi, a parere dello scrivente CTU, si deve tener conto
dei seguenti elementi: – danno anatomico derivante dalle placche pleuriche e da
un nodulo polmonare, pari ad un danno biologico del 5% – danno funzionale,
calcolato sul parametro trovato maggiormente compromesso, il DLCO (meno 54%),
pari ad un danno biologico del 43% – l’associato danno cardiocircolatorio,
rappresentato da un cuore polmonare cronico in fibrillazione striale cronica
(riconducibile alla classe II NYHA), pari ad un danno biologico del 30%. Il
conseguente danno biologico complessivo può essere indicato pari al 75%.

Quanto sostenuto dall’INAIL a proposito del calcolo
del danno biologico da asbestosi non può essere condiviso in questa sede
peritale, per i seguenti motivi. – Il danno anatomico non può essere limitato
al danno da placche pleuriche ma deve essere considerato anche come danno
polmonare per i motivi sopra riportatati. – Il danno funzionale non può essere
ascritto alla sola bronchite asmatiforme già indennizzata in regime di testo
unico, per gli stessi motivi (il danno funzionale è prevalentemente restrittivo
e la riduzione patologica del DLCO sta ad indicare la esistenza di un danno a
livello di membrana alveolo-capillare, che non può essere attribuito alla
ostruzione bronchiale dovuta alla bronchite asmatiforme, ma piuttosto ad un
danno polmonare interstiziopatico, più verosimilmente da attribuire alla
asbestosi).

– Il danno derivante dalla bronchite asmatiforme non
può essere scisso dal danno da asbestosi in quanto le alterazioni anatomiche e
funzionati delle due malattie sono tra loro intrecciate e concatenate e quindi
non separabili sia sotto il profilo strettamente medico che sotto quello
assicurativo o medico-legale. – In ogni caso, la legge prescrive che nella
silicosi e nella asbestosi debbano essere valutate, ai fini dell’indennizzo,
anche le patologie “associate” dell’apparato cardiovascolare e
respiratorio.»

Da tutto quanto sopra riferito, derivano le seguenti
considerazioni, da ritenersi accertate in questa sede giudiziale:

1) l’asbestosi attualmente manifestatasi è patologia
professionale nuova, che si è instaurata in soggetto già da molti anni affetto
da un’altra patologia respiratoria professionale, rappresentata da bronchite
cronica asmatiforme da inalazione di gas e vapori irritanti;

2) la seconda malattia professionale dell’apparato
respiratorio, l’asbestosi pleurica e polmonare, incide a sua volta, sia sotto
il profilo anatomico che sotto l’aspetto funzionale respiratorio, sullo stesso
organo o apparato (quello respiratorio) che è già gravato da altra patologia
professionale preesistente;

3) l’attuale valutazione del danno biologico
derivante dall’asbestosi comprende a) il danno anatomico propriamente dovuto
all’asbestosi (le placche pleuriche ed i noduli polmonari), b) il danno
funzionale respiratorio che non è in alcun modo scindibile dal danno
preesistente dovuto alla bronchite cronica asmatiforme professionale, c) il
danno cardiaco associato alla asbestosi e provocato sia dalla asbestosi che
dalla bronchite cronica asmatiforme;

4) il danno funzionale respiratorio derivante dalla
sola bronchite cronica asmatiforme, già riconosciuto in termini di riduzione
della capacità lavorativa secondo le regole stabilite dal testo unico, non può
in alcun modo essere scisso e separatamente quantificato dal danno funzionale
respiratorio attualmente riscontrato, il quale ultimo deriva sia dalla
bronchite cronica che dall’asbestosi.»

In termini di certezza, pertanto, anche a seguito
dei chiarimenti resi, il defunto P. G. era in vita afflitto da due malattie qui
rilevanti: una broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO), già costituita in
precedenza, in base alla disciplina del testo unico
1124-1965 nella misura del 85%, ed una asbestosi, la cui insorgenza può
essere collocata dal 2005 in poi, che ha dato luogo ad una ulteriore rendita al
75% concessa in base alle previsioni del decreto
legislativo n. 38-2000.

Si tratta di due patologie distinte, pur se
influenti sul medesimo apparato, i cui effetti, in termini di danno, non
possono essere scissi e separatamente quantificati, né dal punto di vista
medico, né medico-legale, aderendo alle conclusioni del CTU, esenti da censure
di ordine logico o metodologico.

Quadro normativo.

La fattispecie è disciplinata dalla disposizione
dell’art. 13, 6° comma decreto
legislativo n. 38-2000, il quale ha innovato il sistema delle prestazioni
erogabili dall’INAIL sostituendo, per quanto qui rileva, il sistema di
valutazione medico-legale del danno.

Nel sistema del T.U.
1124-1965, infatti, si teneva conto del danno che gravava sulla «capacità
lavorativa», mentre in quello delineato dal decreto suddetto si ha riguardo al
«danno biologico».

La norma:

«6. Il grado di menomazione dell’integrità
psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando
risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti derivanti da fatti
estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di
cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere rapportato non
all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle
preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione in cui il
denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e il
numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica
residuato dopo l’ infortunio o la malattia professionale. Quando per le
conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di
cui al comma 3 l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in
capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo
infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere
conto delle preesistenze. In tale caso, l’assicurato continuerà a percepire
l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie
professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata.»

Dall’esame dell’art. 13, 6° comma, risulta che lo
stesso contiene la disciplina che regola il passaggio dal vecchio al nuovo sistema
di indennizzo, in relazione ai casi di interferenza che si possono verificare
nel caso dell’esistenza di menomazioni fisiche preesistenti, individuando due
diverse ipotesi: la prima è quella in cui, all’alto della richiesta di una
prestazione sotto il nuovo regime, ci siano menomazioni preesistenti
concorrenti, derivanti da fatti estranei al lavoro (e non è il caso che si
presenta), o da infortuni o malattie professionali verificatisi o denunciate
prima della data di entrata in vigore (neanche questo è il caso attuale) del
decreto ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, nel qual
caso la percentuale di danno relativa al nuovo danno è calcolata tenendo conto
che la capacità fisica è già diminuita per effetto della preesistenza. La norma
precisa infatti anche la formula matematica da applicare (c.d. formula di
Gabrielli).

La seconda è quella in cui non solo ci sia una
malattia o infortunio professionale preesistente, ma per lo stesso
l’interessato già percepisca una rendita o sia stato «liquidato in capitale» ai
sensi del testo unico: in questo caso, il nuovo danno va valutato «senza tener
conto delle preesistenze», quindi presumendo una integrità fisica del 100%. Si
prevede di seguito che l’interessato continui a percepire la prestazione già in
corso, senza modificazioni.

 

Principio di diritto

 

Il principio di diritto cui questa Corte si deve
occupare è quello derivante dall’applicazione del 6° comma di cui sopra,
secondo e terzo periodo, che è anche oggetto dell’appello incidentale.

La posizione dell’INAIL è che ci si debba discostare
dalla dizione testuale dei periodi sopra indicati, che comporterebbero una
duplicazione della valutazione dei medesimi effetti invalidanti, per arrivare
ad una nozione di «danno d’apparato», in relazione al quale propone di
scorporare i danni delle due diverse patologie, assegnando a quella nuova,
l’asbestosi, una percentuale di danno del 7% (sette per cento), a differenza
del 75% (settantacinque per cento) accertato dal CTU e dalla sentenza.

L’appello incidentale si rivolge verso la parte
della sentenza che dispone la detrazione dell’importo spettante in relazione al
danno preesistente (broncopneumopatia), da quello spettante per l’intervenuta
(asbestosi). Chiede infatti l’applicazione della disposizione in esame, per cui
la rendita già in godimento al 85% dovrebbe essere mantenuta ed ad essa si
dovrebbe aggiungere quella per la nuova malattia al 75%, liquidata col nuovo
regime del danno biologico.

Per effetto della disposizione, infatti, il nuovo
danno (asbestosi) va valutato «senza tener conto delle preesistenze», quindi
presumendo una integrità fisica del 100%. Si prevede di seguito che
l’interessato continui a percepire la prestazione già in corso, senza
modificazioni (rendita per broncopneumopatia al 85%).

A sostegno della propria tesi, ovvero sia quella
dell’applicazione testuale della disposizione, l’appellante incidentale
richiama due pronunce della Suprema Corte entrambe rese su sentenze di questa
Corte d’Appello: le nn. 6048 e 6774 del 2018, nello stesso senso. La seconda di
queste sentenze, entrambe di annullamento, è attualmente riassunta e pendente
davanti a questo ufficio, che è tenuto ad applicare il seguente principio di
diritto, individuato dalla stessa Cassazione nei seguenti punti della sua
sentenza:

«6. La fattispecie che ne occupa attiene alla
seconda parte dell’art. 13 comma 6
decreto legislativo n. 38/2000, su cui non constano specifici precedenti di
questa Corte. In base alla norma di legge risulta che qualora il lavoratore
goda di una rendita per una malattia professionale denunciata prima
dell’entrata in vigore della disciplina dettata dal decreto
legislativo n. 38/2000 (ovvero prima del 25 luglio del 2000) e
successivamente venga colpito da una nuova malattia professionale (non importa
se concorrente o coesistente) il grado di menomazione conseguente alla nuova
malattia professionale deve essere valutato senza tenere conto delle
preesistenti menomazioni, ed il lavoratore percepirà pertanto sia la rendita
già liquidata in base al TU 1124/65, sia la
prestazione per la nuova malattia da liquidarsi in base allo stesso art. 13 del decreto legislativo n. 38
del 2000.

7. La legge non contempla la distinzione pretesa
dalla difesa dell’Inail ed accolta dalla sentenza impugnata secondo cui in caso
di nuova malattia si dovrebbe distinguere l’ipotesi del danno concorrente e
quella del danno coesistente; né consente di enucleare una terza ipotesi di
valutazione delle preesistenze per il c.d “danno biologico
d’apparato” (rispetto a quelle regolate nel primo e nel secondo periodo
dell’art. 13, 6° comma). E’
perciò evidente che la soluzione presa dalla Corte d’appello cagliaritana, di
scorporare il danno biologico d’apparato ovvero il danno biologico per branco
pneumopatia da quello per silicosi, sia in contrasto con la regola dettata
dalla legge.»

Effetti dell’applicazione della norma.

In applicazione del principio di diritto alla
controversia, pertanto, l’appello dell’INAIL dovrebbe essere rigettato ed
accolto l’appello incidentale: la valutazione del 75% di danno biologico data
all’asbestosi non solo sarebbe corretta, ma anche non dovrebbe tener conto
dell’esistenza della preesistente rendita per broncopneumopatia al 85%.
All’appellato spetterebbe pertanto la rendita al 75% di danno biologico per
asbestosi, che andrebbe ad aggiungersi alla vecchia rendita in godimento del
85%, per broncopneumopatia.

Si assiste pertanto ad una duplicazione quasi totale
dell’indennizzo, sia pure sotto due diversi parametri di valutazione: da un
lato la perdita della capacità lavorativa, dall’altro il danno biologico.

A differenza di questa fattispecie, se il fatto
lesivo preesistente non fosse stato già indennizzato, come nella prima parte
del 6° comma («verificato o denunciato» è la dizione della norma), la
valutazione medico legale della nuova malattia avrebbe potuto tener conto della
preesistenza ed essere, quindi, unitaria e complessiva. Questa considerazione è
valida anche nella fattispecie in cui, anche a prescindere dall’esistenza di
un’esatta identità di malattia, le due patologie, una preesistente ed una successiva,
interessino gli stessi organi e parametri vitali da valutare e sia impossibile,
sempre dal punto di vista medico legale, scinderne le conseguenze sulla
funzionalità fisica. Ciò viene precisato anche perché questa Corte ha, pendenti
davanti a sé, altre controversie investenti questa problematica.

Norme costituzionali interessate.

Questa Corte dubita della conformità della
disposizione da applicare agli articoli 3 e 38 della Costituzione, sotto il profilo perciò
della disparità di trattamento e della violazione del principio di solidarietà
sociale, che deve essere ancorato ad uno stato di bisogno effettivo.

Per quanto riguarda la disparità di trattamento,
essa è evidente rispetto alla stessa fattispecie disciplinata dalla norma in
questione, nel primo periodo del 6° comma: nel caso di eventi precedenti e
domande già presentate prima dell’entrata in vigore, l’evento lesivo precedente
viene valutato unitariamente a quello successivo, ai fini di accertare il
complessivo danno, mentre nel caso che sia già stata erogata la prestazione (2°
e 3° comma), del danno precedente non si tiene conto e si presume la piena
efficienza fisica, calcolando su questa il danno nuovamente verificatosi, con
ciò creando una situazione di privilegio per questo secondo caso.

La ragione della differenziazione non può essere
rinvenuta nella tutela dei diritti acquisiti, poiché anche nella prima
fattispecie si è di fronte ad una situazione in cui esiste un diritto già
consolidato: la presentazione della richiesta di prestazione per l’evento
verificatosi consolida la pretesa di vederselo valutare ed eventualmente
indennizzare, ed è perciò anch’esso un diritto acquisito.

A ben vedere, la tutela ha la sola finalità di
mantenere fermo il criterio di valutazione medico legale applicato, ancorato a
parametri che si vorrebbe non confondibili con quelli relativi al danno
biologico, ma questo viene fatto differenziandosi dall’altra ipotesi in cui il
danno è preesistente ed anche la relativa denuncia, ma il criterio di
valutazione medico legale del danno precedente, sempre nel caso di un danno
successivo, viene mutato ed anche il primo viene coinvolto nella valutazione
complessiva, ancorata a parametri diversi dai precedenti, prevista
espressamente dal 6° comma nella prima parte.

Non si ravvisa alcuna giustificazione in questa
differenziazione, che nel caso dell’esistenza di una rendita già in essere
attribuisce un ingiustificato privilegio al percettore, poiché si ottiene l’effetto
di maggiorare la percentuale di danno indennizzato in relazione al nuovo evento
o malattia.

Questa Corte è consapevole che la legittimità della
disposizione è stata già indagata da codesta Corte, in particolare con la sentenza n. 426 del 2006, sempre in relazione al
secondo e terzo periodo del 6° comma in questione. In ogni caso, totalmente
diversa è la situazione di fatto posta a base della valutazione compiuta al
tempo: nella sentenza n. 426, in una
situazione in cui si percepiva già una rendita col regime precedente e si era
verificato un nuovo fatto lesivo col nuovo regime, che però non oltrepassava la
percentuale di danno indennizzabile, si desiderava giungere ad una valutazione
unitaria al fine di comprendervi anche il nuovo danno, che era invece sotto
soglia, al fine di ottenere una rendita maggiore.

Nella fattispecie in esame, invece, si assiste ad
una duplicazione dell’indennizzo, in tutto o in parte, e ciò, ad avviso di questa
Corte, confligge anche con l’art. 38 della
Costituzione, oltre che sempre con l’art. 3,
poiché la duplicazione dell’attribuzione spezza il collegamento sia con lo
stato di necessità, che con l’adeguatezza del rimedio predisposto dal
legislatore. Il meccanismo predisposto dal 6° comma dell’art. 13 decreto legislativo, in
definitiva, non è in grado di evitare duplicazioni di indennizzo, poiché il 2°
e 3° periodo, a differenza del 1° periodo del 6° comma stesso, nel quale nessun
problema di duplicazione si pone, impongono di far riferimento ad una piena
efficienza fisica, anche se in concreto già compromessa, portando pertanto a
valutare necessariamente due volte le conseguenze di una determinata patologia
o le conseguenze di patologie interessanti gli stessi organi o influenti sugli
stessi parametri vitali. Nel sistema generale vige invece il principio
dell’incompatibilità tra le prestazioni derivanti dallo stesso fatto lesivo (art. 1, 43° comma legge n. 335-1995)
ed anche tra prestazioni previdenziali ed assistenziali, anche se di diversa
origine e frutto di diverso sistema di valutazione (art. 3, legge n. 407-1990). La
possibilità di cumulo è inoltre rimessa a situazioni previste da norme
speciali, come nel caso dell’art.
12, legge n. 412-1991 che, nel modificare l’art. 3 legge n. 407-1990 appena
citato, esclude dal divieto di cumulo le prestazioni erogate ai ciechi civili,
ai sordomuti e agli invalidi totali.

Non si può neanche ritenere una valida
giustificazione la volontà di assicurare un trattamento di miglior favore,
poiché sarebbe stata realizzabile in altro modo, quale la possibilità di
conservare il trattamento più favorevole, prevista ad esempio dalle stesse
disposizioni appena citate.

Rilevanza della questione.

La questione è decisiva per l’esito della
controversia: se la si dovesse disciplinare applicando la previsione del 2° e
3° periodo del 6° comma, l’appello dell’INAIL dovrebbe essere respinto ed
accolto l’appello incidentale. L’appellato dovrebbe pertanto percepire
integralmente e senza decurtazioni l’importo della rendita al 75% per silicosi,
che si aggiungerebbe a quella già in essere per broncopneumopatia al 85%.

Se, invece le disposizioni di cui sopra dovessero
essere ritenute costituzionalmente illegittime e, in ipotesi, dovesse risultare
di generalizzata applicazione quella del 1° periodo del 6° comma, l’appello
dell’INAIL dovrebbe essere accolto e nuovamente determinato il danno
complessivo con l’applicazione della formula precisata, e di conseguenza
dovrebbe essere rigettato l’appello incidentale.

Si rileva che la Suprema Corte si è già pronunciata
in due occasioni, con le sentenze nn. 6048 e
6774 del 2018, entrambe su sentenze di questa Corte d’appello, ed entrambe di
annullamento delle pronunce impugnate, con l’affermazione del medesimo
principio di diritto. La seconda di queste sentenze è attualmente riassunta e
pendente davanti a questo ufficio (r.g. 190-2018), che in quest’ultima è tenuto
ex art. 384 codice di procedura civile ad
applicare il principio di diritto in discussione.

Nella presente controversia, R.G. 206-2017, pur non
proveniente da rinvio dalla Suprema Corte, si chiede l’applicazione del medesimo
principio di diritto e si richiamano espressamente le pronunce di quest’ultima
appena richiamate.

Per quanto riguarda pertanto l’applicazione della
suddetta previsione, si è di fronte ad un orientamento reiterato, che deve
essere ritenuto diritto vivente, e nei confronti del quale non paiono
percorribili altre soluzioni interpretative, vista l’inequivoca previsione
della norma. In particolare, non è percorribile l’interpretazione propugnata
dall’INAIL che, oltre ad essere totalmente in contrasto con la previsione della
legge, fa riferimento ad un criterio medico legale che, in causa, risulta
essere non esistente ed impraticabile con metodo scientifico.

Sulla base di queste considerazioni, sciogliendo la
riserva, si deve pertanto sospendere il presente procedimento e rimettere gli
atti alla Corte costituzionale, per la soluzione della questione, rilevata
d’ufficio.

 

P. Q. M.

 

Visti l’art. 134 Cost.
e la legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 13, 6° comma, secondo e terzo
periodo del decreto legislativo n. 38-2000 in relazione agli articoli 3 e 38 Cost.
nella parte in cui portano ad una duplicazione totale o parziale
dell’indennizzo, a differenza delle fattispecie disciplinate dal 1° periodo
dello stesso comma.

Dispone la sospensione del giudizio in corso e
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla
cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti del giudizio, al
Presidente del Consiglio dei ministri e di darne comunicazione al Presidente
del Senato e al Presidente della Camera.

 

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 30
settembre 2020, n. 40

Giurisprudenza – CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI – Ordinanza 27 maggio 2020, n. 130
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