Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 ottobre 2020, n. 21204

Cartella esattoriale, Contributi lavoratori dipendenti e
somme aggiuntive, lnapplicabilità dei benefici contributivi previsti per i
lavoratori agricoli, Mancato rispetto delle norme sul collocamento e sulle
retribuzioni minime contrattuali, Mancanza di previa diffida obbligatoria,
Emissione dell’ordinanza ingiunzione in materia di illecito amministrativo,
Azione esecutiva con ruolo esattoriale

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza del 11.7.14, la Corte d’Appello di
Messina, in parziale riforma della sentenza del tribunale della stessa sede
dell’11.10.11, ha annullato la cartella esattoriale opposta dal sig. A. ed
accertato parte dei crediti azionati dall’Inps, a titolo di contributi lavoratori
dipendenti dal 2003 al 2006, oltre somme aggiuntive.

2. In particolare, la corte territoriale,
nell’accertare il credito dell’INPS per contributi e sanzioni in relazione a
numerosi dipendenti dell’A., ha rilevato l’inapplicabilità dei benefici contributivi
previsti per i lavoratori agricoli in ragione del mancato rispetto delle norme
sul collocamento e sulle retribuzioni minime contrattuali; la stessa corte ha
poi ritenuto che la mancanza di previa diffida obbligatoria condiziona
l’emissione dell’ordinanza ingiunzione in materia di illecito amministrativo ma
non anche l’azione esecutiva con ruolo esattoriale per contributi, come nel
caso; infine, con riferimento alla posizione di un singolo lavoratore, la
sentenza ha accertato la non debenza dei contributi, annullando la cartella
esattoriale opposta.

3. Avverso tale sentenza ricorre il sig. A. per
cinque motivi, cui  resiste con
controricorso l’INPS; l’INPS propone ricorso incidentale per un motivo,
rispetto al quale il datore è rimasto intimato.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo del ricorso principale si
deduce: ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c.,
vizio di motivazione e violazione dell’art. 5 d.l. 510/96, conv. in I. 608/96; ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli articoli 2697 c.c., 115
e 416 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., violazione della norma
per motivazione apparente; con il motivo, articolato nelle censure sopra
riportate, si lamenta in sostanza che la sentenza impugnata ha trascurato che
la sussistenza di accordi di riallineamento, l’adesione da parte del datore
agli stessi e la corresponsione di paghe conformi ai detti accordi erano tutti
fatti non contestati e pacifici.

5. Con il secondo motivo del ricorso principale si
deduce: ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5
c.p.c., vizio di motivazione e violazione degli artt.
101 c.p.c. e 5 d.l. 510/96,
conv. in I. 608/96; ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli articoli 2697 c.c., 115
e 416 c.p.c.; ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., violazione della norma
per motivazione apparente; con il motivo, articolato nelle censure sopra
riportate, si lamenta in sostanza che la sentenza impugnata ha trascurato di
verificare i singoli periodi di mancata corresponsione di paghe conformi al
contratto collettivo nonché i singoli lavoratori per cui ciò era avvenuto,
ricollegando la perdita del beneficio contributivo alla inottemperanza
datoriale genericamente considerata al contratto collettivo.

6. Con il terzo motivo del ricorso principale si
deduce -ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.-
violazione degli artt. 12 e 13
d.lgs. 124/04 e del d.lgs. 46/99, per esser
stata applicata nella cartella opposta la sanzione della revoca delle riduzioni
contributive e nonché la sanzione delle somme aggiuntive, senza che vi fosse
stata una previa diffida obbligatoria, diffida che condiziona la legittimità
della sanzione.

7. Con il quarto motivo del ricorso principale si
deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c.,
violazione degli artt. 420, 421 co. 2 e 437 c.p.c.,
in ragione del mancato esercizio di poteri istruttori officiosi
nell’acquisizione dei contratti di riallineamento e della relativa accettazione
datoriale, sebbene vi fosse stata anche sollecitazione specifica della
parte,  seppur inoltrata tardivamente.

8. Con il quinto motivo del ricorso principale si
deduce, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5
c.p.c., violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per aver la sentenza impugnata
compensato le spese di giudizio, nonostante la fondatezza della pretesa come
sarà dimostrato all’esito del giudizio di cassazione.

9. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili,
ricorrendo sia violazione del divieto di cumulo di motivi di ricorso plurimi
indifferenziati, sia violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

10. Sotto il primo profilo, questa Corte ha già
avuto modo di precisare in materia di ricorso per cassazione che
l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce
ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi
profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se
cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato,
come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il
compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle
a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass.
Sez. 5 – , Ordinanza n. 24493 del 05/10/2018,
Rv. 650743 – 01; Sez. 2 -, Sentenza n. 26790 del 23/10/2018, Rv. 651379 – 01).

11. Il motivo di ricorso nel cui contesto trovino
formulazione, al tempo stesso ed in modo indifferenziato, censure aventi ad
oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, come nella specie, senza
che siano ben individuabili le distinte censure proposte dal ricorrente e senza
evidenziare le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle
norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla
ricostruzione del fatto, è inammissibile in quanto affida alla Corte di
cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi le censure
rilevanti.

12. Gli anzidetti motivi del ricorso in disamina
sono inoltre inammissibili per violazione del principio di autosufficienza, in
quanto la parte -che ha dedotto fatti non contestati tra le parti o non
valutati dal giudice- non ha indicato, riproducendoli nel ricorso, da quali
specifici atti del processo fosse desumibile la non contestazione dei fatti
indicati e, per altro verso, da quali atti risultassero i fatti asseritamente
non valutati dal giudice, non consentendo a questa Corte di valutare la
fondatezza dei motivi.

13. Si è infatti ritenuto da questa Corte (Cass.,
Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24062 del 12/10/2017, Rv. 645760 – 01), quanto al
primo aspetto, che, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di
merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume
essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza
del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata
la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o
ritenuta pacifica).

14. Quanto al secondo profilo, si è detto da questa
Corte (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01) che,
qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza
impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non
solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in
virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto
del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono
investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio
di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione
di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito
né rilevabili di ufficio.

15. Il terzo motivo di ricorso è infondato, in
quanto la cartella non reca applicazione di alcuna sanzione amministrativa (per
le quali è competente peraltro l’Ispettorato del Lavoro), ma richiede il
pagamento – in favore dell’INPS – di contributi e somme aggiuntive, sicché non
occorreva alcuna preventiva diffida obbligatoria. Né può ritenersi, come
pretenderebbe parte ricorrente, che le somme aggiuntive siano delle sanzioni
amministrative, avendo questa Corte già affermato (Cass., Sez. L – , Sentenza n. 16262 del 20/06/2018, Rv. 649393 –
01), in tema di omesso o ritardato versamento di contributi previdenziali, che
le somme aggiuntive dovute dal contribuente hanno natura di sanzione civile e
non amministrativa, costituendo effetto automatico delle violazioni a cui
conseguono, con funzione di rafforzamento dell’obbligo contributivo e di
predeterminazione legale del danno cagionato all’ente previdenziale, sicché
alle somme aggiuntive non si applicano le norme della diffida obbligatoria.

16. Il quarto motivo è infondato. In linea con
quanto già affermato da questa Corte (Cass., Sez. L, Sentenza n. 25374 del 25/10/2017, Rv. 645890 –
01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 22534 del 23/10/2014, Rv. 633204 – 01), deve
ritenersi che nel rito del lavoro, l’uso dei poteri istruttori da parte del
giudice ex artt. 421 e 437 c.p.c., non ha carattere discrezionale, ma
costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è
tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di
ricorso per cassazione l’inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla
mancata attivazione di detti  poteri,
occorre dimostrare di averne sollecitato tempestivamente l’esercizio, indicando
una “pista probatoria” ed i relativi mezzi di prova, in quanto
diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema
del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle
precedenti fasi di merito.

17. Non è dunque sindacabile in sede di legittimità
il mancato uso dei poteri officiosi da parte del giudice ove la parte non abbia
sollecitato gli stessi tempestivamente e compiutamente, ossia nei termini
previsti per  l’espletamento di attività
istruttoria e con indicazione delle vie probatorie utili e disponibili. Nella
specie, a quanto consta, non vi è stata siffatta richiesta della parte né in
primo grado, né nell’atto di appello, essendo stata solo in sede di conclusioni
d’appello formulata una intempestiva richiesta, comunque carente del contenuto
prescritto.

18. Il quinto motivo è inammissibile perché non
attiene al regolamento delle spese della sentenza impugnata ma al regolamento
delle spese dell’intero giudizio che sarà effettuato all’esito del giudizio di
cassazione.

19. Con unico motivo di ricorso incidentale l’INPS
deduce -ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.-
violazione dell’articolo 24
d.lgs. 46/99, per avere la sentenza impegnata -in considerazione
dell’inesistenza di debito contributivo quanto alla posizione di un singolo
lavoratore- annullato la cartella opposta, anziché dichiararla solo inefficace
la cartella in parte qua

20. Il motivo è fondato, avendo questa Corte (Cass.,
Sez. L, Sentenza n. 19502 del 10/09/2009, Rv.
610115 – 01; Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 420
del 10/01/2014, Rv. 628773 – 01; Cass., Sez.
L, Sentenza n. 27824 del 30/12/2009, Rv. 611395 – 01) già affermato in tema
di riscossione di contributi previdenziali che, ove venga accertata, nel
giudizio di opposizione a cartella esattoriale con il quale si contesta la
sussistenza del credito, la sola parziale fondatezza dell’opposizione, non si
determina per questa unica ragione la totale inefficacia della cartella, ma il
giudice deve, anche d’ufficio, dichiarare l’inefficacia della cartella soltanto
in relazione alle somme non dovute, potendo imporsi una declaratoria di totale
inefficacia solo nel caso in cui, tenuto conto anche della normativa sostanziale
applicabile, l’ente creditore non abbia assolto all’onere di provare anche nel
“quantum” il suo credito.

21. Per tutto quanto detto, il ricorso principale
deve essere rigettato, mentre va accolto il ricorso incidentale; la sentenza
impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla
Corte di Appello di Catania per un nuovo esame ed anche per la liquidazione
delle spese del giudizio di legittimità.

22. Si dà atto della sussistenza del presupposti
processuali per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente
principale e della non sussistenza dei presupposti in relazione al ricorrente
incidentale.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso
incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e
rinvia alla Corte d’Appello di Catania anche per la liquidazione delle spese
del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 ottobre 2020, n. 21204
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