Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2020, n. 21309

Accertamento della natura subordinata del rapporto,
Invalidità delle rinunce per indisponibilità dei diritti, Autosufficienza del
ricorso per cassazione

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 10689 del 6.2.2015, la Corte di
Appello di Roma ha confermato la decisione del Tribunale della medesima sede
che aveva dichiarato inammissibile la domanda proposta da N.M. nei confronti
della C.L. s.p.a. nonché dell’INPS per l’accertamento della natura subordinata
del rapporto svoltosi nel periodo 1985 – 1990, essendo intervenuta
conciliazione giudiziale nell’ambito di precedenti giudizi aventi ad oggetto
l’accertamento della natura subordinata del rapportò di lavoro intercorso tra
le parti dal 1987 al 1990 e la condanna alle conseguenti differenze
retributive;

2. la Corte distrettuale rilevava che dalla lettura
dell’atto di conciliazione emergeva la rinuncia esplicita delle domande
proposte nei diversi giudizi promossi nei confronti della società e, in particolare,
dell’impugnativa del licenziamento (del 25.1.2001), delle differenze
retributive per il periodo 1990-1999, della natura subordinata del rapporto per
il periodo luglio 1987-luglio 1990; aggiungeva che nessun profilo di invalidità
delle rinunce, per indisponibilità dei diritti, era stato avanzato dalla
lavoratrice e che dovevano ritenersi transatte altresì le domande di danno per
omissione contributiva e di accertamento della natura subordinata del rapporto
per il periodo 1985-giugno 1987 in quanto, rispettivamente, la rinuncia
all’accertamento per il periodo 1987-1990 precludeva al giudice di verificare
il presupposto logico-giuridico della domanda di danno per omissione
contributiva e che le formule di chiusura della conciliazione’ (“evitare
contenziosi futuri” e rinunzia “anche alla proposizione di ulteriore
domande od azioni connesse al rapporto di lavoro intercorso con la società
C.L.”) esplicitavano la volontà di includere nella conciliazione anche il
limitato periodo intercorrente tra il 1985 e giugno 1987;

2. propone la M. ricorso affidato ad un motivo; la
società resiste con controricorso; l’INPS ha rilasciato procura speciale.

 

Considerato che

 

1. Con l’unico motivo di ricorso si denunzia – ai
sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5,
cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1966 e 2113
cod.civ. nonché manifesta illogicità della decisione per avere la Corte di
appello erroneamente interpretato l’atto di conciliazione giudiziale intercorso
tra le parti, atto che indicava chiaramente il lasso temporale (luglio
1987-luglio 1990) oggetto della transazione e dovendosi, le frasi conclusive
dell’accordo, riferirsi all’oggetto stesso, oltre a non potersi ritenere
inclusi diritti indisponibili di cui le parti non abbiano effettiva
consapevolezza;

2. il motivo è inammissibile sotto vari profili:

2.1. in primo luogo perché per la redazione del
ricorso risulta adottata la modalità cosiddetta “dell’assemblaggio”,
mediante la riproduzione integrale di una serie di atti processuali e una
esposizione dei fatti nonché delle ragioni che sostengono il motivo pari,
rispettivamente, a una e due pagine, modalità tale da richiedere una lettura
integrale degli atti processuali onde effettuare la selezione di quanto
effettivamente rilevante in ordine ai motivi di ricorso (circa la
inammissibilità di tale tecnica redazionale per violazione del principio di
specificità dei motivi, Cass. Sez. Un., n. 5698 del 2012, Cass. ord. n. 17002 del 2013);

2.2. inoltre, perché il ricorso non individua la
regola di ermeneutica contrattuale violata dal giudice del merito e
conseguentemente non indica le ragioni per le quali da detta regola
quest’ultimo si sarebbe discostato, limitandosi a contrapporre la propria
interpretazione dell’atto di conciliazione, con ciò eludendo l’orientamento
consolidato di questa Corte secondo cui il sindacato di legittimità non può
investire il risultato interpretativo, che appartiene all’ambito del giudizio
di fatto, ma afferisce solo alla verifica del rispetto degli artt. 1362 e seguenti cod. civ.. (in tal senso,
cfr. Cass. n. 2465 del 2015 n. 2465);

2.3. inoltre, la sentenza in esame (pubblicata dopo
l’11 settembre 2012) ricade, ratione temporis, nel regime risultante dalla
modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5),
cod.proc.civ. ad opera dell’art.
54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che
la decisione può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti, con conseguente sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede
di legittimità, sulla motivazione di fatto,

dovendosi interpretare, la norma, alla luce dei
canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle
preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di
legittimità sulla motivazione (Cass. Sez.Un. n.
8053 del 2014) ed avendo, invece, la sentenza impugnata, affrontato, con
argomenti logici e coerenti, tutti i profili oggetto delle censure avanzate
dalla ricorrente, con particolare riguardo alla ricostruzione ermeneutica della
conciliazione giudiziale e alla inclusione anche delle domande concernenti il pregiudizio
per omissione contributiva e il periodo di lavoro dal 1985 a giugno 1987;

2.4. infine, il ricorso è inammissibile perché la
Corte distrettuale ha rilevato che “nell’atto di gravame non si eccepisce
alcunché in merito alla validità delle rinunce sotto il profilo della
indisponibilità dei diritti ex art. 2113, 1° comma,
cc” e la ricorrente, riproponendo la questione, non indica in quale
atto difensivo e in quale momento processuale la questione sarebbe stata
introdotta, le ragioni del suo rigetto ed i motivi con i quali è stata
riproposta al giudice del gravame, con ciò violando gli oneri di
autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass., n. 23675 del 2013; Cass. n. 23073 del 2015);

3. in conclusione, il ricorso va dichiarato
inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato
dall’art. 91 cod.proc.civ.;

4. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese
di lite del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per
esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della
legge 24 dicembre 20012, n. 228 (ndr art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228), dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13, se dovuto.

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