Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2020, n. 21316
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, Adeguamento del trattamento retributivo e normativo, Pagamento
di tutte le differenze retributive, lnterpretazione del giudicato esterno
anche direttamente dalla Corte di cassazione, Giudicato riprodotto nel ricorso
per Cassazione, Testo del giudicato erroneamente interpretato, Solo
dispositivo non sufficiente alla comprensione del comando giudiziale
Premesso
che con sentenza n. 691/2006, divenuta definitiva,
il Tribunale di Napoli, accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, con decorrenza 1/1/1981, tra il ricorrente e
le F.S. S.p.A. (poi T. S.p.A.), condannava la società all’adeguamento del
trattamento retributivo e normativo allo stesso spettante, secondo le
disposizioni di legge e dei contratti collettivi nazionali di lavoro
succedutisi nel tempo, nonché alla ricostruzione della carriera e
dell’anzianità di servizio, con la condanna al pagamento di tutte le differenze
retributive maturate, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
– che nel giudizio per la determinazione delle
differenze retributive il Tribunale di Napoli accoglieva solo in parte la
domanda del lavoratore, in quanto riconosceva unicamente le somme dovute a
titolo di scatti di anzianità (e ad altri istituti legati all’anzianità di
servizio) maturati in epoca successiva alla formalizzazione del rapporto di
lavoro;
– che tale pronuncia era per intero confermata, con
la sentenza n. 9047/2015, dalla Corte di appello di Napoli, la quale osservava,
a sostegno della propria decisione: – che non poteva ritenersi alcuna
automaticità tra l’accertata esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e
il diritto alle differenze retributive derivanti dalle previsioni collettive; –
che sarebbe stato onere del ricorrente allegare prima, e provare poi, le
effettive mansioni espletate nel periodo dedotto, con indicazione delle
relative modalità di svolgimento, anche al fine di consentire la verifica di
congruità della retribuzione ai sensi dell’art. 36
Cost., non essendo idoneo il mero rinvio ai conteggi sostanzialmente fatto
nel ricorso introduttivo; – che in particolare – rilevava ancora la Corte di
appello – “nulla si riferisce nell’atto introduttivo del giudizio di
quantificazione in ordine agli orari osservati ed alle diverse mansioni
(ausiliare di stazione?) che sarebbero state svolte nel tempo prima della
formale assunzione, il che, stante la genericità dei titolo giudiziale
pregresso, sarebbe stato necessario al fine di provare l’asserita ma non
provata equiparazione, sia in termini qualitativi che quantitativi, della
prestazione lavorativa espletata dall’1/1/1981 in poi con quella posta a
fondamento della retribuzione contrattualmente riservata ai dipendenti delle FS
appartenenti alle categorie rivendicate”;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il lavoratore con undici motivi, assistiti da memoria, cui ha resistito
T. S.p.A. con controricorso, anch’esso assistito da memoria;
– che il Procuratore Generale ha presentato le
proprie richieste, concludendo per il rigetto del ricorso;
Rilevato
che con il primo motivo viene dedotta la violazione
o falsa applicazione degli artt. 324 e 327 cod. proc. civ. per non avere la sentenza di
appello considerato che la pronuncia n. 691/2006 del Tribunale di Napoli,
passata in giudicato, aveva già compiutamente definito la pretesa fatta valere
in giudizio, così che non sarebbe più stato possibile, per la Corte
territoriale, esaminare la questione se fossero o meno dovute le voci
stipendiali indicate nel ricorso introduttivo e così come quantificate nei
conteggi ivi allegati;
– che con i motivi dal secondo al decimo la sentenza
di appello viene censurata per avere, riconoscendo unicamente l’aumento dovuto
agli scatti stipendiali e le sole altre differenze connesse all’anzianità di
servizio, violato o falsamente applicato: (2°) gli artt.
36 Cost., 2099 e 2103
cod. civ., nonché le disposizioni dei contratti collettivi nazionali di
categoria succedutisi nel corso del tempo in materia di determinazione della
retribuzione spettante al lavoratore; (3°) gli artt. 37 I. n. 34/1970, 6 I. n.
885/1980 e 4 I. n. 779/1985 in materia di soprassoldo domenicale; (4°) il
D.P.R. 15 gennaio 1980, n. 145 e la I. 24 dicembre 1985, n. 779 in materia di
premio industriale e sua rivalutazione; (5°) l’art. 1 I. n. 937/1977 in materia di
festività soppresse; (6°) la I. 1 agosto 1978, n. 448 in materia di premio di
produzione; (7°) il C.C.N.L. 1987/1989 e il C.C.N.L.
1990/1992 con riferimento alla indennità di utilizzazione e turno e alla
mancata corresponsione della indennità di disagiata residenza; (8°) il D.P.R. n. 1188 del 1977, l’art. 6 dell’Accordo 1
agosto 1987 (allegato al C.C.N.L. 1987/1989), l’art. 44 del C.C.N.L. 1990/1992, l’art. 7, comma 5, D.L. n. 384/1992,
convertito in L. n. 438/1992, l’art. 69 del C.C.N.L. 16 aprile 2003
con riferimento al lavoro straordinario; (9°) l’art. 44, punto 3, C.C.N.L.
1987/1989, l’art. 32, punto A), C.C.N.L. 1987/1989, l’art. 51, punto 3, C.C.N.L. 1990/1992,
l’art. 24 C.C.N.L. 16 aprile 2003
con riferimento alla indennità di festività in riposo; (10°) l’art. 2109, comma 2°, cod. civ. con riferimento al
compenso per ferie non godute;
– che con l’undicesimo motivo viene dedotto il vizio
di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. per
avere la Corte di appello omesso di esaminare un punto decisivo della
controversia e cioè il contenuto della sentenza n. 691/2006 del Tribunale di
Napoli, la quale aveva riconosciuto l’esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato a decorrere dall’1/1/1981 e il diritto del
ricorrente alla corresponsione delle differenze retributive al medesimo
spettanti da tale data, da calcolarsi avendo riguardo a tutta la normativa
applicabile ai dipendenti delle F.S.;
Osservato
Che il primo motivo risulta improcedibile, poiché,
nell’inosservanza dell’art. 369 n. 4 cod. proc.
civ., il ricorrente non ha depositato copia della sentenza, passata in
giudicato, n. 691/2006 del Tribunale di Napoli, nonostante che su di essa abbia
fondato il motivo ora in esame, né ha indicato il luogo preciso in cui essa fu
depositata nei gradi di merito;
– che è poi ininfluente l’intervenuta allegazione di
tale sentenza con il deposito della memoria illustrativa, atteso che “nel
giudizio di legittimità possono essere prodotti, dopo la scadenza del termine
di cui all’art. 369 cod. proc. civ. e ai sensi
dell’art. 372 cod. proc. civ., solo i documenti
che attengono all’ammissibilità del ricorso e non anche quelli concernenti
l’allegata fondatezza del medesimo” (Cass. n. 9685/2020; conforme n.
10967/2013);
– che, d’altra parte, è consolidato il principio di
diritto, per il quale “l’interpretazione del giudicato esterno può essere
effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena,
nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per
cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di
impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato
il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo
del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto
della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può
essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale” (Cass. n.
5508/2018; conformi, fra altre: n. 10537/2010; n. 6184/2009; n. 26627/2006);
– che è stato altresì ripetutamente affermato che
“nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato
esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per
cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena di
inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza
che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente
il riassunto sintetico della stessa” (Cass.
n. 2617/2015 e numerose conformi);
– che i motivi successivi, fino al decimo, risultano
inammissibili, essendosi il ricorrente limitato, in ciascuno di essi, alla
enunciazione delle norme di diritto che assume violate o erroneamente applicate
dalla Corte di appello nella sentenza impugnata e, tuttavia, senza far seguire
a tale richiamo (come pure sarebbe stato necessario, secondo giurisprudenza
costante: Cass. n. 16038/2013, fra le molte conformi) specifiche indicazioni
circa le affermazioni della sentenza in contrasto con le norme regolatrici
della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza
di legittimità o dalla prevalente dottrina;
– che risulta egualmente inammissibile l’undicesimo
motivo, dovendosi in proposito rilevare innanzitutto, su di un piano generale,
come il vizio di motivazione possa avere ad oggetto esclusivamente un “fatto
storico”, e cioè un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso
storico-naturalistico (Cass. n. 22397/2019), rimanendo ad esso estranee, e
quindi irrilevanti, deduzioni, argomentazioni o (come nella specie) attività di
qualificazione/interpretazione; fermo restando che il contenuto della sent. n.
691/2006 del Tribunale di Napoli, che – secondo il ricorrente – costituirebbe
il dato omesso e decisivo, ha, invece, formato oggetto di ampia considerazione
da parte della Corte di appello, che proprio sui limiti del relativo
accertamento ha fondato le proprie conclusioni;
Ritenuto
conclusivamente che il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano
come in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro
200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese
generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.