Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 ottobre 2020, n. 21317

Verbale conciliativo stipulato in sede sindacale,
Risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni maturate, Accordo
conciliativo, da qualificarsi quale contratto preliminare, Proroga della data
di assunzione, Inerzia del lavoratore, Disinteresse allo svolgimento della
prestazione con conseguente insussistenza di un pregiudizio da risarcire,
Interpretazione del contratto, Criteri ermeneutici governati da un principio
di gerarchia interna, Canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli
interpretativi-integrativi, Rendere palese la comune intenzione delle parti
stipulanti, senza limitarsi al senso letterale delle parole

 

Rilevato che

 

1. – Con sentenza n. 469 depositata il 30.12.2014 la
Corte di appello di Trieste, confermando la pronuncia resa dal Tribunale di
Udine, ha respinto la domanda proposta da G.T. nei confronti di I. s.p.a. per
l’accertamento del diritto ad essere assunto, sulla base di un verbale conciliativo
stipulato in sede sindacale il 29.5.2007, sin da novembre 2007 (data di
cessazione di un periodo di malattia) e per la condanna al pagamento del
risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni maturate;

2. la Corte territoriale, respingendo l’appello
principale del lavoratore e l’appello incidentale della società, ha ritenuto
che l’accordo conciliativo, da qualificarsi quale contratto preliminare,
avrebbe consentito anche al T. (lavoratore a termine presso la I. Informatica e
Sistemi s.r.I.) la proroga della data di assunzione (fissata per il 18.9.2007 a
tutti i colleghi aventi, peraltro, un contratto a tempo indeterminato), proroga
tempestivamente richiesta dal lavoratore e correttamente documentata tramite
invio di certificati, e che l’inerzia tenuta dal T. per circa quattro anni non
sarebbe stata sufficiente (da sola) a provare la volontà di rinuncia alla
costituzione del rapporto di lavoro ma dimostrava il disinteresse allo
svolgimento della prestazione con conseguente insussistenza di un pregiudizio
da risarcire (in assenza di domanda di costituzione di un rapporto di lavoro);

2. avverso la sentenza, la società I. s.p.a. propone
ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi; il sig. T. resiste con
controricorso.

 

Considerato che

 

1. La società ricorrente, con i primi tre motivi,
denuncia, in relazione agli artt. 360, primo comma,
n. 3, cod.proc.civ. violazione e falsa applicazione delle norme dettate in
materia di interpretazione degli atti negoziali (artt. 1362 e ss cod.civ.),
rilevando che l’uso – nel verbale conciliativo – del termine
“preavviso” (per consentire una eventuale proroga della data di
assunzione presso I.) consentiva di assumere il T. solamente in caso di
insorgenza di eventuali proroghe della scadenza del contratto a termine
intrattenuto con la società I. s.r.l. (regolarmente cessato il 17.9.2007) e non
per altre arbitrarie ragioni (come la malattia), che a fronte di un tenore
letterale chiaro e incontrovertibile non vi era alcun bisogno di ricorrere al
criterio del comportamento successivo delle parti (concernente la richiesta
della I. di fornire i certificati medici relativi allo stato di malattia),
evincendosi, inoltre, chiaramente che sussisteva il medesimo termine sia per  comunicare che per documentare lo stato di
forza maggiore che consentiva la proroga del termine di assunzione;

2. con il quarto motivo la società denuncia, in
relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 cod.civ. non essendo condivisibile la
sentenza impugnata ove – ai fini di escludere la risoluzione per mutuo consenso
del rapporto di lavoro – ha trascurato di valutare complessivamente la condotta
del T. (che, in quasi quattro anni, non ha mai inviato una lettera alla società
né fatto alcuna telefonata), e potendosi delineare una situazione di abuso del
diritto;

3. la clausola n. 3 dell’accordo conciliativo
stipulato tra le parti prevedeva – nonostante la durata a tempo determinato del
contratto con il precedente datore di lavoro (I. s.r.I.) – che “le parti
confermano che alla data 18.9.2007, così individuata in ragione del preavviso
dovuto all’attuale datore di lavoro, potrà essere posticipata su iniziativa
scritta dell’interessato, in caso di forza maggiore correlata ad eventi di
natura personale (malattia, infortunio) debitamente documentati, che nel corso
del preavviso dovessero riguardare il sig. T. G.; in tal caso il posticipo sarà
di durata pari al prolungamento del preavviso. Nello stesso modo ed in pari
misura potrà essere anticipata al verificarsi di documentata risoluzione del
rapporto di lavoro attualmente in corso in epoca anteriore al 18.9.2007”;

4. i primi tre motivi del ricorso non sono fondati,
in quanto – senza indicare l’errore ermeneutico compiuto dalla sentenza
impugnata – tendono a censurare la interpretazione data dalla Corte
territoriale alla clausola sopra riportata e a sostenere che la parola
«preavviso» doveva essere riferita solamente alle vicende riguardanti lo
specifico rapporto di lavoro (a termine) in corso fra T. e I. s.r.I., non già a
tutti gli eventi che, se il rapporto di lavoro tra queste due parti avesse
richiesto un preavviso (al pari di tutti gli altri colleghi del T., assunti a
tempo indeterminato), ne avrebbero consentito una proroga;

5. questa Corte ha affermato che, in materia di
interpretazione del contratto, sebbene i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod.civ. siano governati da un
principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente
interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da  escluderne la concreta operatività quando
l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la
“comune intenzione delle parti stipulanti”, la necessità di
ricostruire quest’ultima senza “limitarsi al senso letterale delle
parole”, ma avendo riguardo al “comportamento complessivo” dei
contraenti comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un
rilievo centrale,  non sia
necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacché il
significato delle dichiarazioni negoziali non è un “prius”, ma l’esito
di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle
parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed
extratestuali, indicati dal legislatore (Cass. n. 14432 del 2016);

6. in particolare, è stato precisato che nell’ottica
dell’art. 1362 cod.civ. la comune intenzione
delle parti desunta dal loro comportamento anche successivo al contratto è un
criterio integrativo di quello letterale (nel senso  che serve a chiarirlo), non già ad esso
alternativo o, peggio, sussidiario (Cass. n. 24560 del 2016; ex pluribus, Cass.
n. 261 del 2006);

7. nella sentenza impugnata – operandosi la
ricognizione della comune volontà delle parti contraenti alla luce del
complessivo regolamento negoziale – si è posto in risalto che il contenuto
contrattuale faceva effettivamente riferimento al “preavviso” per
individuare la data di assunzione e di eventuale proroga, pur a fronte di un
rapporto di lavoro a termine con il precedente datore di lavoro (con scadenza
17.9.2007, dunque non suscettibile di alcun preavviso), ma si è evidenziato che
il richiamo a tale istituto poteva spiegarsi quale strumento utilizzato per
garantire la parità di trattamento tra tutti gli ex dipendenti della I. s.r.l.
al fine di estendere convenzionalmente anche a T. la possibilità di rinvio
dell’assunzione al pari degli altri colleghi (in possesso di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato) e si è aggiunto che tale interpretazione era
confortata altresì dal comportamento successivo delle parti (in quanto alla
comunicazione del lavoratore, il 17.9.2007, dello stato di malattia era
corrisposta la richiesta della I. dell’invio della relativa documentazione,
successivamente inviata dal T.) e da un’esegesi in senso conservativo
dell’assetto negoziale;

8. si tratta di interpretazione congrua e
plausibile, alla quale il ricorrente oppone (inammissibilmente, in quanto
surrogantesi ad attività che è riservata al giudice del merito) la propria,
senza, però, dare reale contezza di errori nell’applicazione dei canoni
ermeneutici da parte della Corte territoriale;

9. questa Corte ha ripetutamente affermato che, per
sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al testo
negoziale non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando
di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è
consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal
giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata
privilegiata l’altra (Cass. n. 9120 del 2015; Cass. n. 10044 del 2010; Cass. n.
15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n.
10131 del 2006);

10. invero, il ricorso in sede di legittimità –
riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere
confutativo – laddove censuri l’interpretazione del negozio accolta dalla
sentenza impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è
suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità
dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa
dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti
presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche
implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non
potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso
sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di
giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del
2006; conforme, più di recente, Cass. n. 12360 del 2014 e n. 8586 del 2015);

11. il quarto motivo di ricorso non è fondato posto
che la giurisprudenza di questa Corte – cui va data continuità – è da tempo
consolidata nello statuire che la mera inerzia del lavoratore non è di per sé
sufficiente a far ritenere una 
risoluzione del rapporto per mutuo consenso (Cass.
n. 22489 del 2016; da ultimo, Cass. n. 29427
del 2017; Cass. n 5952 del 2018; Cass. 24140 del 2019);

12. affinché possa configurarsi una tale risoluzione
è invece necessario che sia accertata – oltre all’inerzia del lavoratore – una
chiara e certa volontà comune di porre fine ad ogni rapporto lavorativo sulla
base di ulteriori e significative circostanze della cui allegazione e prova è
gravato il datore di lavoro (ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo
consenso);

13. la sentenza impugnata si è conformata
all’indirizzo giurisprudenziale consolidato rilevando che la società si era
limitata ad allegare l’inerzia del T.;

14. in conclusione, il ricorso va rigettato e le
spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono il
criterio della soccombenza dettato dall’art. 91
cod.proc.civ.;

15. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato previsto dal d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228, art.
1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il
ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a
pagare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00
per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.

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