Il provvedimento espulsivo emesso in assenza di elementi idonei a provare la fondatezza dell’accusa lede il principio di necessaria contestazione dell’illecito nonché del diritto di difesa del lavoratore e, in quanto tale, è illegittimo.

Nota a Cass. 18 settembre 2020, n. 19611

Sonia Gioia

Nel procedimento di applicazione di una sanzione disciplinare, il datore di lavoro, venuto a conoscenza dell’infrazione, è tenuto a contestare al prestatore l’addebito (art. 7, co. 2, L. 20 maggio 1970, n. 300, c.d. Statuto dei Lavoratori).

Ai fini della legittimità della procedura, la contestazione deve essere precisa (il fatto va indicato in maniera puntuale e specifica) e uniformarsi ai canoni dell’immediatezza (il datore di lavoro non può attendere un tempo più lungo di quello necessario ad acquisire e valutare ogni utile informazione) e dell’immutabilità, ossia della necessaria corrispondenza tra contestazione degli addebiti e fatti sanzionati. Ciò, al fine di consentire al prestatore di comprendere l’accusa e approntare un’adeguata difesa.

Questi, i principi sottesi alla pronuncia della Corte di Cassazione (18 settembre 2020, n. 19611, conforme ad App. Catanzaro n. 1340/2018), che ha ritenuto illegittima la massima sanzione disciplinare irrogata nei confronti di un dipendente bancario in violazione dei canoni di necessaria contestazione dell’addebito e del diritto di difesa.

Nello specifico, la società datrice aveva basato il provvedimento espulsivo unicamente sulla denuncia di una cliente, che asseriva di essere stata raggirata dal dipendente, senza, tuttavia, provvedere,  in sede di procedimento disciplinare, all’acquisizione di informazioni e documentazioni utili a provare la fondatezza degli illeciti contestati (in particolare, abusivo riempimento di moduli firmati in bianco dalla cliente, prelievi di denaro non autorizzati  e, poi, disconosciuti  dalla stessa). Circostanza, peraltro, dimostrata dal fatto che solo nel giudizio d’appello la società datrice aveva chiesto, tardivamente ed irritualmente, l’ammissione di prove, anche documentali, volte a confermare la genuinità delle accuse, tentando, così, di colmare le lacune della contestazione.

Al riguardo, la Cassazione ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto illegittimo il provvedimento disciplinare in quanto irrogato “in assenza di mezzi idonei a provare la fondatezza delle contestazioni” e a consentire al lavoratore l’esercizio del diritto di addurre le proprie giustificazioni in ordine agli illeciti addebitati, precisando, inoltre, che il controllo giudiziale deve riguardare i fatti e le circostanze poste alla base della contestazione e che non può servire ad integrare le carenze del procedimento disciplinare.

Licenziamento disciplinare: necessaria contestazione del fatto e diritto di difesa
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